"L'approvazione della riforma" delle banche popolari che, con attivi di 8 miliardi di euro, dovranno trasformarsi in società per azione entro 18 mesi "è auspicabile non perchè lo impongono i regolatori o i mercati internazionali" ma "perchè lo suggerisce il buon senso".

Lo ha detto Salvatore Rossi, direttore generale di Bankitalia durante un'audizione alle Commissioni Finanze e Attivitá Produttive della Camera sul decreto di riforma delle banche popolari. "L'economia italiana continuerá ad avere bisogno anche di banche piccole e cooperative, che sappiano interpretare i migliori valori di comunitá che i territori sanno esprimere, al servizio del tessuto di risparmiatori e di imprese che restano piccole. Ma anche loro dovranno adoperarsi per trovare soluzioni organizzative che le rendano piú sane ed efficienti".

"Bankitalia auspicava da tempo un intervento del legislatore", ora arrivato con il decreto legge che consente di "facilitare gli aumenti di capitale quando necessari" e di "migliorare la gestione". In particolare, "il primo e principale effetto positivo che ci attendiamo dalla riforma è che metta in condizione le maggiori banche popolari di aumentare il loro capitale nella misura e, soprattutto con la rapiditá che possono essere richieste dalle circostanze, rivolgendosi a una platea piú ampia di risparmiatori e investitori".

Inoltre, secondo Rossi, la riforma delle popolari "migliora la gestione" perchè "i limiti al possesso azionario, il voto capitario, i vincoli alla rappresentanza in assemblea possono ostacolare un vaglio corretto ed efficiente della banca, introducendo elementi di opacitá nelle relazioni tra soci e amministratori".

"Per intermediari della dimensione e della complessitá delle 10 maggiori popolari italiane" cioè: B.Popolare, B.P.Milano, B.P.E.Romagna, Ubi B., Creval, BancaEtruria, B.P.Sondrio, B.P.Vicenza, Veneto Banca e B.P.Bari, "la forma societaria cooperativa è un handicap, che va rimosso al piú presto". Rossi ha poi criticato le popolari italiane maggiori affermando che "si sono "notevolmente allontanate dal modello di "banca del territorio" a cui erano e restano informate le tante banche cooperative presenti in altri paesi europei". Infatti, "le banche che mantengono un legame con il territorio" hanno "il contatto diretto con la clientela di riferimento che genera vantaggi informativi nella selezione del merito di credito e riduce la rischiositá dei prestiti". "Adoperando parametri quantitativi ragionevoli - ha proseguito - rileviamo in Italia quasi 300 "banche del territorio", con una quota del mercato nazionale del 4% in termini di attivo, del 6% in termini di prestiti alle imprese". Però "nessuna delle 10 maggiori popolari si avvicina a questo modello. Ad esempio, esse hanno in media sportelli in 60 provincie, un numero vicino a quello (circa 70) delle prime tre banche italiane".

"La soglia degli 8 miliardi" di attivi per trasformare le banche popolari in Spa "appare ragionevole alla luce dei dati, aggiornati alla metá dello scorso anno, sulla dimensione delle 37 banche popolari oggi presenti", ha sottolineato.

Infine, la riforma delle popolari "non è stata scritta da Bankitalia" che invece "ha collaborato alla riforma di questo Governo" come "tutte le volte che ci viene chiesto e anche in questo caso", ha proseguito Rossi. "Stavamo lavorando a una riforma che auspicavamo da tanto tempo, lungo queste linee", ha aggiunto mentre sul tipo di provvedimento utilizzato dal governo, cioè il decreto legge, per il riordino del settore ha tagliato corto dicendo: "non entro nel merito".

pev

eva.palumbo@mfdowjones.it

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