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Modificato il 14/3/2015 18:55
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remolcador
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Iscritto da: 03/5/2009
Órgiva, 10 marzo, ore 21.
Fisso uno scorcio di montagna che intravedo dal giardino e quel pezzetto che scorgo assomiglia a una collina che vedevo da casa mia.
Il viaggio è stato più breve del previsto (sono partito mercoledì 4 alle 4 del pomeriggio e sono arrivato venerdì sera a mezzanotte) ma molto più avventuroso: a Barcellona c'è stato un tentato furto, con scasso riuscito, a danno della Panda. Un 'mosso d'esquadra' (in altre parole un vigile catalano) mi ha montato un sacchetto della spazzatura nero, offerto da un barista, al posto del finestrino del lato passeggero in frantumi, fissandolo a tempo di record con un rimasuglio di nastro da pacchi omaggio di un duo di algerini in viaggio per Alicante, forse gli stessi che mi avevano rotto il vetro, in un rigurgito di rimorso, chissà. Accompagnato dalla musica del sacchetto sferzato dal vento, che devo dire ha retto benissimo, anche se a destra non mi faceva vedere nulla, sono arrivato fino a Castelló de la Plana dove ho tentato per due volte di trovare un monta-vetri, la seconda con successo grazie a uno zelante 'guardia civil', che mi ha tracciato una mappa da fare invidia per la precisione a qualunque carabiniere, suo equivalente italiano.
Il montavetri si chiamava Ángel e il vetro me l'avrebbe anche montato, a trovarne uno: il modello è fuori produzione e l'unica fonte di approvvigionamento possibile i mitici desguaces, gli sfasciacarrozze spagnoli. Ce n'era uno vicino e in quel momento passava un romeno che ci stava andando a piedi e a richiesta mi ha accompagnato. Vai a vedere se ne trovi una nel cortile, mi ha detto uno a cui ho chiesto se avevano la portiera destra di una Panda Giung o di una Panda Giang, che sarebbe sempre la mia Young, ma con gli spagnoli ci vuole una pronuncia decisamente iberica, altrimenti vanno in corto-circuito. C'era una Seat Marbella, una replica locale, e ho convinto un 'trabajador' algerino, che non sapeva come fare ad arrivare a sera fingendo di lavorare, a smontare il vetro, che però era in due pezzi: uno il finestrino vero e proprio, l'altro il vetro piccolo del deflettore. Ahimé, la Fiat anche stavolta era stata un passo avanti alla sua emula Seat e la mia vecchia Panda aveva già i finestrini senza deflettore ai tempi che la Marbella ancora li sognava. Insomma, il vetro non era compatibile con il mio finestrino, niente da fare.
Con i due pezzi in mano mi sono avvicinato a un vecchio lavorante spuntato dal nulla e gli ho chiesto se avessero una Panda da qualche parte. Mi ha detto di guardare fuori, che forse c'era una Marbella. Sì, questi sono i vetri proprio di quella, ho detto, ma non vanno bene per la mia Panda. Allora mi ha indicato il bancone dietro cui c'erano quattro tizi che evitavano accuratamente qualunque domanda (non ho mai capito perché dai rottamai ci sia tanto affollamento di personale del tutto inetto), dicendomi con aria rassicurante di chiedere a Ricardo, che senz'altro mi avrebbe risolto il problema. Qual è Ricardo? Quello alto alto. Lo spilungone aveva una sconsolante faccia da scemo e sulle prime ha fatto lo scemo davvero, facendo finta di non essere lui, ma io gli ho detto che era troppo alto per non essere Ricardo. La cosa dev'essergli piaciuta perché si è messo d'impegno a pigiare i tasti di una lercia tastiera e dopo una serie di tentativi ha girato il monitor verso di me e mi ha mostrato con aria trionfante la foto della portiera destra di una Panda con il finestrino come il mio, annunciandomi che forse ce l'aveva uno di Jaén, a cinque o sei ore di macchina. Vado a Granada e passo proprio da lì, se ce l'hanno lo vado a prendere subito, ho detto. Ricardo ha telefonato, poi mi ha passato il tizio con cui mi sono messo d'accordo: 35 neuro la portiera intera, 25 neuro il vetro smontato, IVA esclusa. Al pomeriggio rimanevano chiusi al pubblico, ma mi avrebbero tenuto il pezzo e se avessi chiamato al mio arrivo potevo passare a prenderlo.
— Facciamo 25 in tutto solo il vetro, va bene?
— Ok.
— Arrivo!
Ho abbandonato la costa. C'era da arrivare nella Mancha, attraversare le sue distese solitarie e inerpicarmi fino a Jaén, nel cuore dell'Andalusia interna, prendere questo bendito cristal e dopo sarebbe stata tutta una discesa fino a Granada; ancora qualche qualche tornante e sarei arrivato finalmente a Órgiva. Sulla mappa facilona dell'Europa che ho usato durante il viaggio sembrava tutto a portata di mano, ma la Spagna è grande, porca miseria, molto più grande della miseria più grande: a mezzanotte mi avevano rotto il vetro a Barcellona, a mezzogiorno ero dal rottamaio di Castelló de La Plana, al telefono con quello di Jaén, e sono arrivato a Jaén nel tardissimo pomeriggio. Ho visto una specie di officina e sono entrato dentro direttamente con la macchina per chiedere informazioni.
Installiamo vetri, mi ha detto un tizio di nome Tomás, notando i pezzettini di vetro rimasti sul bordo del finestrino (il sacchetto di plastica nero l'avevo tolto da un pezzo, per vederci meglio ma anche per non prendere una multa, mentre il guardia civil mi spiegava la strada per andare dal primo rottamaio, e con berretto di lana, cappuccio in testa, due felpe e riscaldamento a manetta, mi sono fatto il tragitto fino a Jaén maledicendo l'aria fredda che entrava dal buco. Per scrupolo Tomás ha controllato, ma un vetro come il mio, nuovo, ce l'avevano solo sull'isola di Tenerife, e se anche fossi tornato da lui con il vetro del rottamaio non avrebbe potuto montarmelo, perché la ditta installava solo vetri nuovi e lui come dipendente doveva stare alle disposizioni. In un raptus di generosità, però, mi ha detto che poteva montarmi provvisoriamente un finestrino di plastica dura trasparente.
— Quando e quanto?
— Subito e gratis.
— Minchia!
Con una rapidità impressionante, ha ripulito l'abitacolo dai vetri con un aspiratore, ha sagomato con le forbici un foglio di metacrilato, l'ha infilato nella portiera e fissato con del nastro adesivo nero, poi mi ha spiegato la strada per arrivare dal rottamaio. Io ormai ero cotto e alla prima rotonda già mi ero dimenticato la direzione da prendere. Ho visto un carro attrezzi fermo sulla strada per un intervento e ho accostato. Aspetta che tiro su questa macchina poi ti faccio strada, mi detto quello del carro attrezzi, cui in parole povere ho spiegato che ormai ero da rottamare anch'io.
Sistemato il prezioso vetro in modo che non si rompesse accidentalmente, ho fatto una gran pisciata dietro un cespuglio a bordo strada, incurante delle strombazzate di un furgone che non poteva entrare nel deposito del rottamaio a causa della mia parcheggiata alla napoletana proprio davanti al cancello d'accesso. C'era un bar di fianco e sono andato a farmi una birra con stuzzichino in omaggio: un euro e mezzo, evviva la Spagna, non è vero che son tutti ladri! Ormai erano quasi le otto di sera e ho telefonato agli inglesi, che mi aspettavano in giornata, spiegando il contrattempo e facendo presente che ero ancora a Jaén. Noi andiamo a letto alle undici, mi hanno detto. Ok, tranquilli, non voglio disturbare nessuno: ci vediamo domattina.
Verso mezzanotte ero da uno dei due benzinai di Órgiva, dove con due soldi ho comprato una Cruzcampo da un litro, pane a fette, formaggio e salame, poi sono andato in avanscoperta. Era tutto come sulla 'street view' delle mappe di Google: l'angolo con un uccello dipinto su una pietra, il cancello con la scritta "La Paloma", e tornando in paese il parchetto sul fiume con un bar scalcinato.
Il barista si chiamava Miguel e incurante dell'ora e del freddo serviva ancora da bere, intabarrato, insieme al figlio classe 1994. Assomigliava a Jean Reno, solo più basso e non ricordando in quel momento il nome dell'attore gli ho chiesto se avesse presente il protagonista di "León", che subito, forse per via del depistante nome francese, non gli diceva nulla, ma poi si è ricordato quando gli ho accennato la trama. Ha insistito perché mettessi la macchina dentro al recinto dove di solito mette la sua e dopo aver ascoltato ancora i vaneggiamenti di un cliente orrendamente ubriaco il bar ha finalmente chiuso e siamo andati tutti a dormire, loro nel minuscolo bar, poco più grande della mia Panda, io in macchina.
La mattina verso le otto mi ha svegliato la voce poderosa di un tizio con un cappello da moschettiere che teneva banco nel banco all'aperto e, sorseggiando non so bene quale torcibudella superalcolico, parlava di marrani e di marrane, termini da queste parti evidentemente ancora in auge. Mi sono alzato e ho raggiunto i due unici clienti di quell'ora: l'ubriacone vociante e un taciturno con i capelli da rasta e un mega joint, che più rasta di così non si poteva, penzolante in mano. Ho preso un paio di caffè, serviti con disinvoltura dal dito incerottato di Miguel, l'unica parte della sua mano ancora vagamente chiara, ma non troppo. Per scaldarmi, mi sono messo qualche minuto al sole che filtrava tra le piante sulla riva del ruscello, e un quarto d'ora dopo, alle nove in punto, ho suonato al campanello di casa "La Paloma".
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