Il settimanale "L'Espresso" pubblica i documenti delle "mega tangenti Eni", carte che rivelerebbero "il fiume di soldi versati dal gruppo italiano ai familiari di un ministro algerino e ai politici nigeriani corrotti". Sarebbe la mazzetta piu' grande della storia: 1,5 miliardi di usd.

Escono dai Panama Papers i nuovi documenti che svelano il fiume di tangenti pagate dall'Eni per lavori ottenuti in Algeria e Nigeria, si legge in un'anticipazione dell'inchiesta pubblicata sul numero in uscita domani. Nel solo quinquennio 2007-2011 il colosso italiano avrebbe sborsato un miliardo e mezzo di dollari a societa' offshore, controllate da faccendieri, tesorieri e familiari di politici dei due Paesi africani.

In particolare, secondo le indagini giudiziarie in corso a Milano, sarebbero stati erogati piu' di 400 mln di usd, usciti dalle casse della Saipem, oggi posseduta dalla Cassa Depositi e Prestiti, per appalti in Algeria del valore di 11 mld, e piu' di un miliardo da quelle dell'Eni, in cambio della licenza per sfruttare il ricco giacimento petrolifero nigeriano chiamato OPL 245.

Sono le ultime carte dello studio legale Mossack Fonseca di Panama ad aprire il libro sulla maxi-tangente africana, venti volte piu' grande dello storico mazzettone Enimont scoperto dai magistrati di Mani Pulite nel 1993-1994.

L'Espresso, in collaborazione con il network americano International Consortium of Investigative Journalists, ha rintracciato 12 delle 17 offshore panamensi al centro dello scandalo Saipem-Sonatrach. Scandalo che ruota intorno alla figura di Farid Bedjaoui, nipote di un ex ministro degli Esteri algerino: regista di un'operazione volta a ripulire il "tesoro" legato a contratti per la costruzione di gasdotti e impianti per il metano.

La' dove l'inchiesta milanese si era fermata al fiduciario svizzero di Bedjaoui, e al sequestro della corrispondenza con il suo cliente, ora la documentazione Mossack Fonseca porta alla luce i rapporti diretti con tre offshore registrate a Panama: Collingdale Consultants Inc, Carnelian Group Inc, e Parkford Consulting Inc, beneficiate di milioni di dollari provenienti da vari conti di Bedjaoui. Societa' di cui a volte risulta essere azionista Khaldoun Khelil, figlio dell'ex ministro algerino dell'Energia Chakib Khelil, e a volte procuratrice Najat Arafat, moglie dello stesso Chakib Khelil.

E' esattamente di un miliardo e 92 milioni di dollari la presunta tangente che porta all'accordo sull'investimento nigeriano OPL 245, firmato dall'Eni e dall'allora presidente Goodluck Jonathan. La cifra vola su un conto bancario a Londra, per essere poi frazionata in vari tronconi. Il grosso, pari a 801 milioni di dollari, nel 2011 arriva alla Malabu Oil & Gas Ltd, un'offshore che copre Dan Etete, ex ministro del petrolio di Lagos. In seguito, tra il 23 agosto e il 6 settembre di quell'anno, la Malabu riversa 523 milioni a tre offshore, tutte riconducibili, secondo l'accusa, ad Abubakar Aluyo, un politico nigeriano vicino all'ex presidente Jonathan. Soldi comunque poi prelevati in contanti, che non hanno lasciato tracce.

Gli italiani entrano in scena perche', in un processo intentato a Londra da un mediatore nigeriano, Emeka Obi, contro Etete, per rivendicare una fetta della torta, era venuto fuori che fossero presenti anche interessi di nostri connazionali. L'unico fatto certo e' che Obi, al quale la corte inglese ha riconosciuto il diritto ad una quota di 112 milioni di dollari, ha versato 20 milioni di franchi svizzeri che i pm di Milano collegano a una offshore del finanziere italiano Gianluca Di Nardo, partner di Luigi Bisignani, intercettato in un'altra indagine mentre chiede ai vertici dell'Eni di non escluderlo dall'affare nigeriano.

red/gug

 

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July 28, 2016 11:23 ET (15:23 GMT)

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