Gruppo Riva (DAN)

- 26/5/2013 11:17
duca minimo N° messaggi: 38149 - Iscritto da: 29/8/2006
Grafico Intraday: Danieli & C Officine Meccaniche SpaGrafico Storico: Danieli & C Officine Meccaniche Spa
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Il gruppo ha origine dalla società “Riva & C.”, costituita dai fratelli Emilio ed Adriano Riva nel 1954 con lo scopo di commercializzare rottami di ferro, destinati alle acciaierie a forno elettrico del Bresciano. Nel 1957 è realizzato il primo stabilimento produttivo con forno elettrico a Caronno Pertusella (VA), dove nel 1964 è installata una macchina di colata continua curva, prodotta dall’azienda impiantistica Danieli ed ancora in fase di collaudo; il collaudo ha esito positivo e l’adozione prima dei concorrenti della colata continua diventa la più importante fonte di vantaggio competitivo dell’impresa, che negli anni successivi inizia il suo processo di espansione. In seguito la colata continua è adottata anche dai siderurgici bresciani, i produttori di “tondino” (tondo per cemento armato) con i quali Riva è spesso accomunato. Nel 1966 è acquisita la Acciaierie del Tanaro nel cuneese, nel 1970 la S.E.E.I nel bresciano, nel 1971 Riva entra nella Siderurgica Sevillana in Spagna, nel 1976 nella Iton Seine in Francia. Nel 1981 è acquisita la Officine e Fonderie Galtarossa di Verona. Caratteristica dei Riva, nel corso di questa fase di crescita, è quella di non creare mai una holding di famiglia che consolidi le loro attività, così che l’importanza economica del loro gruppo non appare nelle statistiche ufficiali[3]. Nel gruppo lavorano in posizioni dirigenziali i figli di Emilio (Fabio, Claudio, Nicola e Daniele), di Adriano (Angelo e Cesare) e uno dei figli di Fabio Riva.

Struttura e dati societari

Il Gruppo Riva è formato da diverse società operanti nel settore siderurgico, core business del gruppo; le quali sono affiancati da società finanziarie. Il 100% del gruppo è della famiglia Riva che lo controlla, per il 39,9%, tramite una capogruppo con sede a Lussemburgo denominata "Utia".[4] Tuttavia il gruppo sta affrontando un grande processo di ricapitalizzazione che andrà a incidere anche sul restante 60,1% del capitale.[5] Il 100% dell'intero gruppo è tuttavia da attribuire ad Angelo ed Emilio Riva e relativi figli. Il gruppo si è concentrato, in cinquant'anni di storia, ad una forte espansione nel settore siderurgico che lo ha portato alla realizzazione di molte acquisizioni, la più importante di queste è avvenuta nel 1995 con l'acquisto dell'Ilva da parte del Governo Italiano. L'intero gruppo possiede (2011) 36 siti produttivi, di cui 19 in Italia dove viene prodotto il 62% dell'acciaio dell'intero gruppo e dove l'azienda realizza circa il 67% del fatturato. Altri siti si trovano in Belgio, Francia, Germania, Spagna, Grecia, Tunisia e Canada. Fanno parte del gruppo anche 24 strutture correlate divise fra centri di servizio e società commerciali.[2]



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21 di 22 - 14/9/2013 20:34
duca minimo N° messaggi: 38149 - Iscritto da: 29/8/2006
un sequestro per 8 miliardi e 100 milioni di euro «funzionale alla confisca per equivalente», cioè legato alla quantificazione dei danni ambientali prodotti dall’ILVA alla città di Taranto e basato sulle relazioni dei periti consegnate alla Procura e al gip. Il grande sequestro è stato fatto in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle imprese, che dal 2011 comprende anche i reati ambientali e che prevede “la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”.
22 di 22 - 14/9/2013 20:42
duca minimo N° messaggi: 38149 - Iscritto da: 29/8/2006
Associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Sono solo alcune delle gravissime ipotesi di reato contestate dalla procura di Taranto ad alcuni membri del “governo ombra” dell’Ilva di Taranto. Una struttura scoperta dalla Guardia di finanza che ha eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare su disposizione del gip Patrizia Todisco. In carcere sono finiti Alfredo Ceriani, 74enne fiduciario della famiglia Riva e responsabile dell’area a caldo con il compito di massimizzare la produzione, Giovanni Rebaioli, 69enne gestore dell’area parchi e impianti marittimi, Agostino Pastorino, di 60 anni con il compito responsabile dell’area Ghisa e di tutti gli investimenti nella fabbrica ed Enrico Bessone, dipendente di Riva Fire – holding che controlla Ilva spa – e responsabile dell’area manutenzione meccanica delle acciaierie.

Agli arresti domiciliari, invece, è finito Lanfranco Legnani, considerato dagli inquirenti il direttore ombra dello stabilimento siderurgico. Dalle indagini svolte dal nucleo di Polizia tributaria delle fiamme gialle, guidate dal tenente colonnello Giuseppe Micelli, si tratta di un vera e propria governance parallela che dal 1995 a oggi avrebbe imposto le logiche della proprietà ai vari reparti pur non avendo alcuna responsabilità ufficiale. Nella sua ordinanza il gip spiega che l’impianto accusatorio è talmente solido da “non lasciare dubbi” e che ciascuno dei destinatari delle misure avrebbe innegabilmente offerto il suo contributo al disegno criminoso che ha portato nei dodici mesi scorsi a diversi provvedimenti dell’autorità giudiziaria.

Una struttura talmente necessaria alla famiglia Riva che alla nomina del direttore dello stabilimento Vincenzo Lupoli, questi durante il primo incontro a Milano con Daniele Riva, figlio di Emilio e fratello di Fabio e Nicola già indagati, avrebbe chiesto spiegazioni ottenendo come risposta che “tale presenza e il loro impiego erano scontati, senza possibilità di variazione dai compiti rispetto al passato in quanto persone di loro fiducia”. Inquietante, infine, appare la lettura della parte finale del provvedimento in cui i magistrati chiariscono che “l’obiettivo che da sempre ha accomunato i fiduciari è quello caro alla proprietà ovvero quello legato alla produzione, fulcro su cui si muove il solo ed unico interesse dei Riva”. Un obiettivo da perseguire a qualunque costo. Magari sacrificando la salute di operai e cittadini di Taranto.

Nella richiesta di arresti il pool di inquirenti composto dal procuratore Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile e Remo Epifani ha spiegato che la struttura dei “fiduciari” include coloro che hanno “governato sino a poco tempo fa lo stabilimento di Taranto, dando disposizioni su tutte le iniziative e le attività adottate all’interno dello stesso che, poi, venivano eseguite o realizzate dal direttore o dai vari capi area le cui decisioni, comunque, dovevano essere sempre avallate e condivise dai primi”.

Dai numerosi interrogatori svolti dai finanzieri di Taranto, al comando del colonnello Salvatore Paiano, è emerso che “il fiduciario rappresenta la proprietà” e che “costoro risultano inseriti in una struttura di tipo piramidale con, alla base, i dipendenti e, al vertice, la proprietà”. La procura ha poi suddiviso in quattro fasce la collocazione dei fiduciari: Lanfranco Legnani, al vertice con l’incarico di direttore ombra, poi i fiduciari “apicali” di cui facevano parte “persone molto vicine alla famiglia Riva” con la quale intrattenevano rapporti quotidiani. Tra questi Cerani, Rebaioli, Pastorino, ma anche Cesare Corti e Giuseppe Casartelli. Subito dopo ci sono i fiduciari “intermedi” con compiti tecnico-operativi destinatari di incarichi ufficiali attribuiti mediante conferimento di delega: Bessone, finito in carcere, e altri come Livio Barale, Ennio Chiolini, Mario Mazzari e Antonello Binezzi. Infine vi erano “le figure base” che comprendono tecnici destinati ai vari reparti con compiti operativi di esecutori degli ordini impartiti dagli apicali e includono Giacomo Simonetti, Francesco Forestiero e Vielmi.
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