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22/6/2022 16:59
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Carlo Marroni per “il Sole 24 Ore”.
La ricostruzione, ad un certo momento, si fissa su un particolare: «Una volta gli emissari di Fincantieri uscirono dalla stanza, e incrociarono quelli di Leonardo che entravano». È il racconto di un alto dirigente straniero del settore difesa, che a distanza di tempo è ancora un po' stupito che le due maggiori imprese italiane del settore, entrambe controllate dallo Stato, si muovessero per conto proprio. Ma qualche volta hanno agito coordinate, con risultati ottimi. Vanno forte anche da sole, certo, ma ai piani superiori - il Governo, che detiene i pacchetti azionari di controllo - si torna a ragionare anche su una prospettiva diversa.
Il dossierPrimavera-estate 2022, si torna a parlare di fusione tra Leonardo, la ex Finmeccanica, e Fincantieri: un dossier che circola da tempo ma che è sempre rimasto tale, per opposizione dei management, scarso appeal finanziario, debolezza di ogni ipotetico business plan in caso di unione forzata di due realtà con business anche molto diversificati.
Ma le cose cambiano, a partire dallo scenario globale. È in corso una guerra nel cuore dell'Europa, i paesi Nato inviano a valanga armi all'Ucraina, le spese militari sono destinate a salire vertiginosamente (il 2% del Pil è diventato quasi un parametro di Maastricht, ormai).Mario Draghi è stato chiaro: «Spendiamo molto ma senza coordinamento, e in Europa importiamo il 60% (dagli Usa). Serve cambiare rotta». La linea generale è questa, che a valle si declina anche con accordi stretti tra operatori del settore, quindi soprattutto Francia e Germania.
Quindi, il sottotesto del tutto è che serve un campione nazionale di dimensioni forti e contenuti avanzati per dialogare alla pari.
Questo è il quadro, e infatti gli input per una fusione (usiamo questa parola, ma vedremo che può assumere significati diversi dal merger "secco" tradizionale della finanza, come per le banche per esempio) arrivano dalla politica.Sono società quotate in Borsa, e quindi la cautela è massima ma - a quanto risulta al Sole 24 Ore - dentro le stanze del governo l'ipotesi è oggetto di riflessione, in particolare nei dicasteri della Difesa, dello Sviluppo Economico e al Mef, nell'ottica proprio dei maggiori investimenti nel settore difesa e di integrazione transnazionale, in una logica di collaborazione-competizione.
Insomma, all'estero si stanno muovendo, qualcosa va fatto anche da noi. La domanda a questo punto è: cosa fare? Partiamo da un elemento, confermato pure da ambienti militari, che poi sono i committenti principali: «Quando le due aziende si muovono insieme sono vincenti», e il pensiero vola alla Fremm, la fregata venduta a mezzo mondo, compresa la Marina degli Stati Uniti.
Le criticità
Il dossier è complesso, perché, anche se si resta nell'ambito del militare, sono due realtà molto diverse: una produce la piattaforma navale, gli scafi - ma anche in un'ottica avanzata di integrazione - l'altra la (vasta) parte elettronica da combattimento.
Fincantieri fattura 6,9 miliardi e concentra il 75% circa del giro d'affari sulle navi da crociera, mentre la parte militare è circa il 20%: portaerei, cacciatorpediniere, corvette, sottomarini, pattugliatori e soprattutto le fregate.Per tornare alla Fremm - scaturita anche da una collaborazione italo-francese - è il frutto di una joint venture con Leonardo, la Orizzonte Sistemi Navali (51% Fincantieri, 49% Leonardo), che opera come integratore di sistema a livello Whole Warship lungo tutto il ciclo di vita della nave.
Per Leonardo, che fattura 14,1 miliardi, la situazione è al rovescio, visto che la gran parte del business è nel campo militare - elicotteri, naturalmente anche civili, velivoli, elettronica, sistemi difesa - compresa la scommessa decisiva per il futuro della cybersecurity.I sistemi sviluppati da Leonardo nel Combat Management System rappresentano oltre il 40% dei componenti di una nave e oggi sono a bordo di oltre mille unità in tutto il mondo. Per la società i sistemi d'arma navale, secondo fonti di mercato, rappresentano un fatturato del 2-3% sul complessivo, ma certamente con grosse prospettive di crescita in questa fase storica.
Nel frattempo Leonardo si muove, e a gennaio ha acquistato per 606 milioni il 25,1% di Hensoldt, società tedesca leader nei sensori per la difesa e sicurezza, con un grosso portafoglio ordini.Insomma procede la concentrazione nel core business - un altro tassello è l'operazione annunciata ieri per Drs-Rada - e in quest' ottica è anche la messa in vendita, anche se per ora non è definita, di Oto Melara-Wass, verso cui hanno espresso interesse sia il consorzio franco-tedesco Knds sia la stessa Fincantieri e successivamente la tedesca Rheinmetall ha fatto un'offerta non vincolante per l'acquisto del 49% di Oto Melara, nel progetto di una collaborazione industriale, con l'obiettivo di partecipare ai programmi dei nuovi carri armati (il nuovo carro leggero per l'Esercito Aifv e Mgcs).Quindi un quadro in movimento nell'asse Italia-Germania-Francia (chissà se Macron, Draghi e Scholz ne hanno parlato nella nottata sul treno per Kiev), ma certamente nella strategia del governo c'è la creazione in un Polo Nazionale per la Difesa, al momento un'idea.
«È ingenuo pensare che un polo militare italiano possa essere competitivo da solo, però quando andiamo a discutere di industria della difesa europea dobbiamo presentarci al meglio delle possibilità per giocare le nostre carte. Abbiamo eccellenza, qualità, competenza, dobbiamo assolutamente farlo, è l'indirizzo dato dal Governo, anche perché è evidente che la domanda di difesa in Europa sarà particolarmente cospicua e accelerata nei prossimi anni» ha detto poche settimane fa il ministro Giancarlo Giorgetti.
Il collega della Difesa, Lorenzo Guerini, è per ora rimasto più sul generale: «Il percorso di una Difesa europea deve migliorare la performance a livello comunitario per metterci in condizione di competere con player globali, ma senza rinunciare alla nostra dimensione strategica nazionale. L'Italia vuole essere protagonista di un salto tecnologico, ma ogni scelta sarà subordinata a questo principio».
Le variabili manageriali
E qui entrano in campo le variabili manageriali delle due aziende, decisive per il successo di una eventuale fusione. L'opposizione della precedente guida di Fincantieri, l'ad Giuseppe Bono, che è stato per venti anni capo indiscusso e di grande successo, ora vede una posizione certamente più dialogante del nuovo ceo, Pierroberto Folgiero, riguardo ad un polo nazionale: «I temi societari sono appannaggio dell'azionista, che sta sviluppando una visione industriale e di lungo periodo.A me interessa moltissimo la creazione di valore, perché se c'è questa, poi c'è anche l'operazione. Noi siamo concentrati sugli aspetti iniziali, sullo studio delle sinergie, dei vantaggi a lungo termine, commerciali, produttivi, occupazionali» ha detto di recente.
Certo, la società - che pure è stata il pivot della ricostruzione del Ponte Morandi assieme a l colosso delle costruzioni Webuild - ha un suo reticolo internazionale, a partire dalla dall'accordo con la Francia che ha portato alla nascita di Naviris sulle navi militari (l'esito della vicenda Stx sul civile è noto), ma ora lo sguardo va oltre, verso i sottomarini e la possibilità di intese con i leader tedeschi, come ThyssenKrupp.
Insomma, sembra che l'aria sia cambiata - lo percepisce anche il mercato finanziario - ma la strada non è certo semplice. Alessandro Profumo, da cinque anni alla guida di Leonardo con ottimi risultati, spinge per la creazione di un polo di aggregazione per un gruppo di dimensioni europee dell'elettronica della difesa, ma anche per la collaborazione con Fincantieri, muovendosi in modo più coordinato, uno per l'elettronica l'altra per la parte navale.
Ma sulla fusione? «Mi sembrerebbe un uso sbagliato del tempo. Prendiamo Fincantieri: fanno navi per i settori civile e militare. Tra di loro ci sono sinergie. Mentre non mi pare che ci siano tra chi fa elettronica per la difesa e chi costruisce scafi» ha detto in una recente intervista.
Aggregazioni verticali
L'idea che spunta - e non solo nelle due aziende, ma anche nel mercato finanziario - è la possibile ricerca di «aggregazioni verticali», dove le sinergie sarebbero forti e immediatamente attivabili. Insomma, fusioni «a geometria variabile», mirate al polo nazionale della difesa, e in grado di poter andare verso aggregazione europee, con i due giganti al piano superiore, Leonardo e Fincantieri, e su tutti lo Stato e la sua golden power.
Analisti fanno notare che esperimenti verticali di grande efficacia sono già in atto: Mbda, consorzio europeo per i missili (Leonardo, Airbus e Bae System) o le due joint venture in campo spaziale sempre tra Leonardo e la francese Thales.
Ma resta comunque l'interrogativo di fondo: se l'azionista-governo decidesse di andare avanti con la fusione, cosa ci si potrebbe aspettare? Ai prezzi di poco antecedenti i ribassi delle ultime sedute - si legge in un report di Equita - la combinazione porterebbe lo Stato a controllare il 36% circa del nuovo soggetto (il Mef controlla il 30% di Leonardo e il 71% di Fincantieri attraverso Cdp) e un rapporto debito/Ebitda nel range 2-2,4.
Questo riflette la diversa struttura finanziaria delle due imprese, derivante sia dal finanziamento delle operazioni - le navi civili vengono pagate alla consegna, per quelle militari c'è l'anticipo e una sorta di stato avanzamento lavori - sia i margini, che nel militare sono decisamente più alti.Di fondo resta dal mondo della Borsa la valutazione che una grande diversificazione del business non paga, e che gli elementi-chiave in questo settore sono avere prodotti di punta (frutto anche di un necessario investimento massiccio nella ricerca e sviluppo) e poter contare su un portafoglio commesse forte - entrambi ce l'hanno - che permetta di operare in un'ottica di medio-lungo termine. In definitiva quello che tutti si aspettano ora, e prima di tutto, è un forte impulso di politica industriale. La finanza seguirà, come l'intendenza.
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22/6/2022 17:36
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Iscritto da: 04/8/2008
Rosario Dimito per “il Messaggero”
I buoni rapporti rinsaldati tra Italia e Stati Uniti con Mario Draghi alla guida del governo stanno dando i loro frutti. Al terzo tentativo Leonardo coglie un obiettivo strategico di grande rilevanza riportando, dopo sette anni, sui listini del Nasdaq e di Tel Aviv la controllata americana Drs attraverso la fusione con Rada Electronic Industries, azienda israeliana focalizzata su radar proprietari e sistemi avionici legacy, quotata al Nasdaq.
Martedì notte il gruppo della difesa e sicurezza italiana guidato da Alessandro Profumo ha siglato un accordo vincolante per la storica integrazione che aumenta le dimensioni e il valore di Drs, fornitore dell'intelligence Usa.L'operazione - comunicata ieri prima dell'apertura di Piazza Affari - prevede che, per effetto della fusione, Leonardo Drs acquisirà il 100% di Rada in cambio dell'assegnazione a favore degli attuali azionisti della società basata a Netanya del 19,5% di Leonardo Drs. Di quest' ultima, Leonardo, tramite Leonardo Holding, continuerà a possedere l'80,5%. Perfezionata l'operazione, entro il 2022, Leonardo Drs sarà quindi quotata sia al Nasdaq che al Tase (Borsa di Tel Aviv).
PRIMO RELISTING
«Come promesso, abbiamo focalizzato il portafoglio di Leonardo Drs e ora stiamo rafforzando Drs con Rada nei core business strategici, con ulteriore potenziale di crescita, espansione dei margini e opportunità nel gruppo Leonardo», ha detto Profumo visibilmente soddisfatto di un'operazione che fa premio sulle ingiuste critiche recenti. «Abbiamo concordato un'operazione di fusione all-stock, cogliendo anche l'opportunità di quotare Drs nell'attuale contesto di volatilità dei mercati».
Nel marzo 2021, Leonardo aveva lanciato e poi rinviato l'Ipo del 25% di Drs in quanto, nonostante l'interesse degli investitori, le avverse condizioni di mercato non avevano consentito un'adeguata valutazione. Drs era stata acquistata a maggio 2008 per 5,2 miliardi di dollari, tolta dal listino nel 2015 e un paio di anni dopo era stato avviato un primo relisting.
La focalizzazione del portafoglio ha visto, nel marzo 2022, la cessione del business Global Enterprise Solutions (Ges) a Ses per 450 milioni di dollari e, il mese dopo, la sigla dell'accordo vincolante per la cessione della partecipazione nella joint venture Advanced Acoustic Concepts (Aac) a Tdsi, controllata della società francese Thales.Con l'operazione con Rada, Leonardo sta compiendo un significativo passo avanti da un punto di vista strategico, rafforzando l'azienda sul proprio core business dei sensori e sistemi integrati, con conseguente maggiore crescita dei volumi e della redditività. La transazione «possiede un valore forte, strategico e finanziario per Leonardo», ha commentato ancora Profumo davanti agli analisti.
IL MERCATO APPROVA
Rada è un fornitore leader di radar tattici militari software-defined avanzati, che servono mercati interessanti e in forte crescita, tra cui la protezione delle infrastrutture critiche, la sorveglianza delle frontiere, la protezione militare attiva e le applicazioni contro i droni. Nel 2021, Leonardo Drs ha proseguito la crescita: nuovi ordini a quota 2,2 miliardi di euro, ricavi in crescita a 2,4 miliardi e incremento del 23% nell'Ebitda a 218 milioni.Ieri il titolo Leonardo ha chiuso a Piazza Affari con un guadagno del 3,5% a 10,08 euro spinto anche da giudizi positivi degli analisti dopo l'accordo.
Tra i principali vantaggi dell'operazione gli esperti di Equita Sim citano il rafforzamento della leadership nella Force Protection, mercato in rapida crescita, la gamma di prodotti complementari, ampliando le opportunità di business internazionali e la possibilità per Rada di accedere a opportunità nei mercati e programmi europei ed export.Con l'operazione Drs verrà quotata e il 100% rappresenterebbe circa il 50% della market cap di Leonardo con il titolo Leonardo che tratterebbe a forte sconto rispetto alla media dei player dell'aerospazio e difesa europei.
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vvb