Le quote rosa funzionano davvero o rischiano di diventare uno strumento di «pink washing» che non intacca il vero potere maschile in azienda? Dalla legge Golfo-Mosca sono passati quasi 12 anni. Ed entro il 2026 nelle quotate con più di 250 dipendenti almeno il 40% degli amministratori non esecutivi e il 33% di quelli esecutivi dovranno essere donne. Lo prevede la direttiva Women On Board approvata lo scorso novembre dal Parlamento Europeo.

Sul tema ClassCnbc ha messo a confronto due opinioni diverse. Da una parteRoger Abravanel - director emeritus di McKinsey, autore di Meritocrazia e membro del cda di imprese globali quotate - è stato paladino della prima ora dell'ingresso delle donne nei cda, ma ora pensa sia il tempo di superare la norma e sostituirla con altri criteri. Dall'altra parte Maria Pierdicchi - una carriera di successo nel mondo della finanza, attuale consigliere indipendente in Unicredit e Autogrill e già presidente di NedCommunity - è convinta che le quote rosa non abbiano esaurito il loro ruolo e che per migliorare la governance la spinta delle donne sia essenziale.

Domanda. Abravanel, quando 15 anni fa propose una norma per l'ingresso di almeno due donne nei cda, queste erano il 4% nelle società pubbliche e il 5% in quelle private. Ora sono il 41%. Quote e meritocrazia sono cresciute insieme?

Abravanel. La mia proposta era più meritocratica di quanto sembrasse perché non aveva senso escludere metà della popolazione per selezionare le élite che devono sedere in un cda.Proposi una «affermative action», una norma di autodisciplina societaria. All'epoca fui molto criticato ma poi la politica si è appropriata dell'idea con la legge bipartisan Golfo Mosca.

D. Con le quote rosa è migliorata anche la qualità della governance?

Pierdicchi. E' sicuramente migliorata perché le donne hanno portato un contributo di professionalità e competenza nei cda: si sono aggiunte centinaia di giuristi, avvocati, commercialisti e fiscalisti, economisti, esperte di contabilità e audit; risorse che hanno dato contributi importanti al funzionamento dei board.

Abravanel. Alcuni studi dimostrano di sì, altri il contrario, ma di certo le donne hanno portato un contributo di soft skills, indipendenza e coraggio, soprattutto nella compliance con le regole. E nei cda si è rotto il fronte degli amici dell'azionista di riferimento.

Pierdicchi. In realtà per rispondere è necessario anche capire bene i criteri da considerare. La creazione di valore per gli azionisti è solo uno di questi. Le donne hanno portato diversità e nuove esperienze che costituiscono sempre un arricchimento. Ma soprattutto portano valore in termini di attenzione agli stakeholder. Per me il bilancio è molto positivo.

D. Missione compiuta, quindi?

Pierdicchi. Siamo arrivati alla parità di genere nei cda ma non nelle posizioni di vertice, che sono ancora molto maschili; basta vedere quanto poche sono le ceo donna in tutto il mondo. C'è ancora molto da fare e togliere le quote rosa è pericoloso perché si può tornare indietro rapidamente. Una grande azienda italiana si è delistata da poco e, venuti meno gli obblighi di legge, ha immediatamente riportato il cda a totalità maschile. Quindi direi che siamo ancora in una fase di transizione, nella quale certe aziende magari delle quote rosa non hanno più bisogno, ma altre sì.

Abravanel. Concordo: la vera parità di genere non è stata raggiunta. I dati dicono che nel mondo occidentale il 30% delle posizioni di vertice delle imprese sono coperte da donne, ma si tratta di posizioni funzionali e non power leadership positions, le quali continuano a essere coperte da uomini. Le donne sono responsabili di audit, compliance, risorse umane, legale, comunicazione. Ma i direttori finanziari, i chief operating officer, i vice-president marketing and sales e soprattutto il ceo sono ancora maschi. Incidentalmente, questa è anche la ragione del gap di retribuzione tra donne e uomini, perché a parità di posizioni la retribuzione è simile, ma gli uomini coprono posizioni meglio retribuite.

D. Quindi vincoli e quote servono per cambiare?

Abravanel. Credo che tenere le quote rosa serva a poco e rischi di offrire l'opportunità di fare «pink washing», ossia compensare con una parità di facciata lo squilibrio sostanziale che persiste fuori dai cda. Le «azioni positive» servono per forzare temporaneamente una situazione bloccata. Quando proposi almeno due donne nei cda, nei miei comitati nomine eravamo solo uomini e a nessuno veniva l'idea di cercare una donna. Adesso le donne ci sono e ci pensano loro a proporle.

Pierdicchi. Non sono d'accordo. Io lavorerei soprattutto sul cambio culturale, ma direi sicuramente che la legge serve ancora per un po'.

Abravanel. Legge o non legge, si deve cambiare la narrativa.

L'obiettivo è una buona governance e per averla bisogna preparare più donne nelle posizioni senior.

D. Come?

Pierdicchi. Partirei cercando di migliorare la qualità della selezione e del funzionamento dei cda, che oggi si occupano troppo di compliance e poco di strategia e succession management. E' vero che le donne nei cda mediamente danno più valore su problematiche giuridiche, legali e amministrative che nelle discussioni strategiche di business perché non hanno l'esperienza di ceo o di altre posizioni di power leadership, come le chiama Roger, ma il loro contributo di competenze e di soft skills continua a essere utile. Le sfide delle imprese dei prossimi 20 anni richiedono un enorme salto qualitativo dei nostri cda. La «G» di «governance» nell'acronimo Esg è la lettera chiave, e purtroppo negletta, per affrontare le sfide della sostenibilità, della geopolitica, della trasformazione digitale .

Abravanel. Come dice Maria, la compliance deve contare sempre meno e i cda devono occuparsi di controllare il ceo, contribuire con idee e esperienza per aiutarlo e sopratutto sfidarlo in maniera costruttiva.

La sfida di genere non è più la piena parità nei cda ma costruire programmi di sviluppo professionale che nei prossimi anni portino più donne con esperienza di power leadership ai vertici e nei board delle imprese. Non sta succedendo in molte imprese italiane, neanche dove il presidente è una donna. Proprio per er questo insistere per andare dal 30 a 50% di quote rosa nei cda distrae dalla vera sfida e rischia di diventare controproducente rispetto all'obiettivo di raggiungere una parità di genere sostanziale.

pev

 

(END) Dow Jones Newswires

April 17, 2023 03:04 ET (07:04 GMT)

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