La risposta di Vladimir Putin alle sanzioni di Europa, Uk e Stati Uniti, è arrivata puntuale. Un decreto fresco di firma del Cremlino impedisce ai paesi considerati ostili, tra cui l'Italia, di vendere pacchetti azionari nei settori dell'energia e delle banche fino alla fine dell'anno.

La lista dei gruppi e degli asset congelati, scrive il Messaggero, dovrebbe essere definita e resa nota questa settimana con il contributo della governatrice della Banca centrale russa Nabiulina. Ma nel mirino, evidentemente, ci sarebbe soprattutto il gigante americano ExxonMobil che stava portando avanti l'uscita dal costoso progetto Shakalin-1 insieme a Rosneft che sarebbe rimasta con il cerino in mano perdendo l'operatore del giacimento al quale contribuiscono, ma con ruoli minori, anche giapponesi e indiani. Guardando all'Italia, nella stretta sull'energia rientrerebbe, secondo quanto riportato dal quotidiano Kommersant, anche l'Enel. Temporaneamente congelata sarebbe infatti l'uscita degli azionisti stranieri da gran parte dell'industria energetica, con riferimento in particolare al già annunciato accordo per la cessione da parte del gruppo italiano a Lukoil e al fondo Gazprombank-Frezia della sua partecipazione del 56,43% in Enel Russia (che possiede tre centrali da 5,6 GW e due parchi eolici).

erto, la decisione non sarà ufficiale finché non ci sarà l'elenco delle società che rientrano nel divieto. Poi, l'ultima parola spetterà a Putin: il decreto lascia la possibilità di chiudere le transazioni con un permesso speciale del Presidente. Enel ha comunicato a metà giugno di aver raggiunto l'accordo per l'uscita dalla Russia con un'operazione da 137 milioni di euro, ma ad oggi era ancora in attesa del via libera delle autorità russe alla finalizzazione, condizionata proprio dall'ok locale. E a questo punto è difficile che l'operazione si chiuda nel quarto trimestre dell'anno. Secondo Kommersant, che indica tra le operazioni congelate anche l'accordo per la vendita di asset russi della finlandese Fortum, i problemi non finirebbero peraltro con i mancati incassi. Se le aziende europee saranno costrette a rimanere, nelle condizioni attuali dovranno infatti concentrarsi sul trovare un modo per mantenere e riparare le apparecchiature occidentali di fronte alle pesanti restrizioni imposte. Al di là delle partecipazioni industriali, in attesa della lista delle società congelate rimangono però anche le banche, compresa Unicredit, che ha già ridotto significativamente la propria esposizione ed è al lavoro per vendere e non svendere le proprie attività a paesi terzi non colpiti dalle sanzioni. L'espostizione dell'istituto verso Mosca è diretta con l'Unicredit Bank Russia e indiretta attraverso l'attività della controllata tedesca Hvb e del Corporate & Investment banking (Cib) che opera in 50 paesi. Discorso simile per Intesa Sanpaolo che ha fortemente limitato l'esposizione nel Paese e sta valutando la propria presenza.

La prima banca europea ad uscire dalla Russia ad aprile è stata Société Générale. Il gruppo francese ha venduto l'intera quota in Rosbank e delle filiali assicurative a Interros Capital, incassando una perdita di oltre tre miliardi. L'americana Citi, dopo aver ceduto le attività di consumer banking in Russia, ha deciso invece di mantenere la licenza bancaria.

Intanto scatta da oggi l'embargo totale sulle importazioni di carbone dalla Russia. Con l'entrata in vigore della misura sanzionatoria decisa dai governi dell'Ue ad aprile, al termine del periodo di grazia di quattro mesi richiesto in particolare dalla Germania, cadono tutte le deroghe e l'Europa non potrà più acquistare il combustibile fossile da quello che finora è stata il suo principale fornitore.

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