Quasi quasi conviene farsela in bicicletta. Teoricamente un normale pedalatore ce la fa in 17 ore. Ma un ciclista dilettante può arrivare anche prima del treno della mattina. Che per coprire i 300 chilometri di distanza fra Trapani e Ragusa ci mette 13 ore e 8 minuti. Questo dice l'orario di Trenitalia: partenza da Trapani alle ore 6.50, arrivo a Ragusa alle 19.58. Con tre cambi. Un caso limite, ovvio. Però in Sicilia è tutto più lento. Sono lenti i treni e sono lente anche le strade. Va così ed è sempre andata allo stesso modo. Certamente il problema delle infrastrutture non è limitato all'isola. Ci sono zone dell'Italia, soprattutto meridionale, messe anche peggio. Se possibile. Ma la Sicilia ha una particolarità davvero unica.

Da decenni, scrive MF-Milano Finanza, si discute se fare o meno un grande ponte che la colleghi al continente. Per questa opera sono stati già spesi più o meno 350 milioni di euro di fondi pubblici, senza contare i riflessi prodotti dalle polemiche sull'unico ponte che, anziché unire due terre separate dal mare, ha finora diviso i sostenitori dagli oppositori. Al netto di argomentazioni serissime, quali sono il rischio sismico per una costruzione del genere in un'area che più di un secolo fa ha subito un devastante terremoto con decine di migliaia di morti, e l'oggettivo impatto ambientale di piloni alti 400 metri per sorreggere un nastro d'acciaio lungo tre chilometri, il vero scontro si concentra sempre sullo stato inaccettabile delle infrastrutture siciliane e calabresi. I tifosi del ponte dicono che sarebbe un'opera fondamentale per modernizzarle.

Al contrario i detrattori dicono che prima di costruire il ponte bisogna fare le strade e le ferrovie. Poi però non si fa né l'una né l'altra cosa. E questo - sia chiaro - indipendentemente dal giudizio che si può dare sulla faccenda. Come sull'uso strumentale che ne è stato storicamente fatto, tirando anche in ballo i presunti interessi mafiosi pro o contro l'opera. I pregiudizi anche in questo caso sono sbagliati e dannosi. Negare per ragioni di principio che un collegamento stabile fra la Sicilia e il continente sia utile è una sciocchezza. A provare il contrario basterebbero l'inquinamento prodotto dai traghetti e il tempo sprecato da chi deve attraversare ogni giorno lo Stretto di Messina per ragioni di lavoro o studio. Per non parlare del fatto che il collegamento stabile è uno dei punti nodali del famoso corridoio europeo scandinavo-mediterraneo con la funzione di avvicinare il nostro continente al Sud del mondo. Progetto che porterebbe con sé significativi riflessi economici anche a favore del Sud dell'Italia. Ci sarebbe da aggiungere una considerazione non banale: non hanno torto i pochi, prevalentemente tecnici, che si ostinano ancora oggi a mettere in discussione il ponte ricordando che in passato era stata esplorata anche la soluzione del tunnel. E che da allora lo sviluppo della tecnologia ha fatto tali passi avanti da far riprendere seriamente in esame una modalità di attraversamento dello Stretto decisamente meno impattante rispetto a quella risultata vincente, verso la fine del secolo scorso, nel duello fra l'Iri (ponte) e l'Eni (tunnel). Ma tant'è. Ormai questo genere di ripensamenti è impossibile. Resta però la questione di fondo, ovvero la condizione pessima delle infrastrutture locali presentata come incompatibile con un'opera del genere.

"Ci sono parecchi ingegneri che dicono che non sta in piedi. E ricordo che oggi il 90% delle ferrovie siciliane è a binario unico e la metà dei treni viaggia a gasolio. Quindi non vorrei spendere qualche miliardo di euro per un ponte in mezzo al mare quando poi in Sicilia e in Calabria i treni non ci sono e vanno a binario unico. Quindi aveva ragione Renzi quando in un'altra vita diceva quei soldi andrebbero usati per sistemare le scuole.". Sono le parole con cui Matteo Salvini rispose, a L'aria che tira su La7, a una domanda sull'uscita dell'allora presidente del Consiglio (Matteo Renzi, appunto) che aveva appena appoggiato l'idea del ponte. Era il settembre del 2016 e probabilmente anche il leader della Lega era in un'altra vita, visto che adesso da ministro delle Infrastrutture del governo Meloni il ponte sullo Stretto di Messina è il suo cavallo di battaglia prediletto. La scenetta, facilmente reperibile sul web, è la dimostrazione di quanto su questo tema la politica possa cambiare prospettiva secondo convenienza. Sempre però solo a parole. Magari fossero seguiti i fatti.

Ogni volta che il progetto del ponte è stato bloccato con la motivazione sottostante di voler impiegare i soldi per le infrastrutture siciliane e calabresi, poi quei denari sono rimasti invece nel cassetto. È successo nel 2006, quando il secondo governo Prodi fermò la macchina che era già partita, ed è risuccesso nel 2012-2013 quando prima l'esecutivo di Mario Monti e poi quello di Enrico Letta l'hanno fermata per la seconda volta. La storia recente di questo Paese insegna che ogni infrastruttura importante, che però non si riveli un'opera inutile come purtroppo ce ne sono tante, ha effetti rilevanti anche sul miglioramento del contesto infrastrutturale che gli sta intorno. Quello dell'autostrada del Sole, costruita in otto anni fra il 1956 e il 1964, è un caso di scuola. Smontare la tesi secondo cui il ponte sullo Stretto unirebbe solo due deserti dunque è piuttosto facile. Semmai sarebbe da chiedersi perché lo stato delle infrastrutture siciliane e calabresi, nell'anno del Signore 2023, è ancora così pietoso. Ma qui l'impressione è che il ponte non c'entri proprio nulla e che tutta questa inutile discussione serva solo a non cambiare nulla. Continuando a metterci 13 ore da Trapani a Ragusa.

red

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2709:31 mar 2023

 

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