Un proprietario su due la ignora, almeno fino al momento in cui decide di mettere in vendita la propria casa e puntuale arriva la domanda: di che classe energetica è? Entro i prossimi 10 anni quella domanda esigerà una risposta che va da A a D, perché la E (consentita fino al 2030), la F e la G, scrive MF-Milano Finanza, spariranno dall'alfabeto del mercato immobiliare a emissioni zero, spazzate dalla direttiva europea che obbliga a migliorare la certificazione energetica delle abitazioni.

In Italia, per impopolarità e livello di mobilitazione politica, la direttiva ha superato persino l'altro discusso diktat di Bruxelles, che impone lo stop alla vendita di automobili alimentate a diesel o benzina. Perché l'Italia è prima di tutto un Paese di proprietari di casa, con un tasso di circa il 75, tra i più alti dell'Eurozona. Malgrado le polemiche, il cronoprogramma è stretto: tra un mese, il 13 marzo, la direttiva arriverà a uno snodo fondamentale del suo iter, andando al voto del Parlamento europeo nella formulazione approvata il 9 febbraio a larga maggioranza dalla Commissione Industria. Poi partirà il negoziato triangolare tra Parlamento, Commissione e Consiglio, fino all'approvazione definitiva. Meno strette, però, sono le maglie del provvedimento, che tra un aggiustamento e una revisione promette esenzioni sugli edifici protetti per il loro particolare valore architettonico o storico, seconde case, e quelle con una superficie inferiore ai 50 metri quadrati, etc. «Gli Stati membri possono anche esentare l'edilizia popolare pubblica, dove le ristrutturazioni comporterebbero aumenti degli affitti che non possono essere compensati risparmiando sulle bollette energetiche», si legge nel testo. Un certo grado di flessibilità, insomma, è da mettere in conto. Dice il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, che «ci vuole maggiore gradualità». Ma il timore più grande è quello di una batosta in capo ai proprietari. Guardando i numeri, gli obiettivi della direttiva sembrano irrealistici. A fare i conti ha pensato l'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori, stimando che in Italia saranno coinvolti, fino al 2033, circa 2 milioni di edifici. Vuol dire 200mila interventi su singoli immobili (di cui 180mila privati), per un costo tra 40 e 60 miliardi di euro all'anno per i prossimi 10 anni. «Con questi ritmi la decarbonizzazione del patrimonio edilizio, fissata per il 2050, sarebbe completata in un orizzonte di 3.800 anni. E il primo step, fissato sul 15% degli edifici, non sarebbe raggiungibile prima di 630 anni», osserva l'Ance. I tempi sono dettati anche dalla disponibilità economica dei proprietari: senza incentivi è impensabile stare al passo con le ristrutturazioni energetiche. Col superbonus 110%, per esempio, ricordano i costruttori, sono stati realizzati quasi 100mila interventi nel 2021 e 260mila nel 2022. Prima del superbonus, la media era di circa 3mila l'anno. Il costo per le casse pubbliche, però. è stato gravoso, circa 60 miliardi di euro.

Come evitare la stangata a carico dei proprietari è diventata perciò la questione principale. Qualche risposta c'è già nella bozza, ed è bene tenere a mente che nel 2027 i singoli Paesi saranno tenuti a predisporre un piano per assicurare le ristrutturazioni più complesse e gravose, soprattutto in caso di famiglie in situazione di povertà energetica. La bozza della direttiva apre ad alcuni canali di finanziamento pubblico, fino a suggerire l'istituzione di un fondo per l'efficientamento energetico. Nuove tipologie di finanziamenti si stanno facendo strada in attesa delle decisioni europei e degli adattamenti nazionali. La più citata nel dibattito a Bruxelles va sotto il nome di Pays, acronimo di Pay as you save.Un'utility investe in aggiornamenti di efficienza per conto dei propri clienti e recupera il suo investimento attraverso una tariffa sulla bolletta energetica di ogni aderente. Il canone mensile fisso di rimborso è legato al contatore, entro un limite dell'80% del risparmio annuale ottenuto in bolletta dall'intervento di efficientamento. Più che prestito, infatti, viene definito finanziamento tariffario su fattura.

La Commissione europea, si legge nel testo della direttiva, si farà promotrice del meccanismo Pay as you save presso i singoli Stati membri. «I vantaggi di questo regime a medio termine, a seguito del rimborso del finanziamento, comportano un beneficio netto per i proprietari di casa in termini di risparmio sui costi energetici e di aumento del valore dell'immobile», è scritto nella bozza approvata il 9 febbraio.

Indipendentemente dalla direttiva, stanno registrando un gradimento crescente, soprattutto tra gli under 36, i cosiddetti mutui verdi.

Il successo dei mutui green è certificato dai dati di MutuiOnline.it: le erogazioni sono aumentate del 324% dal 2021 al 2022, anche grazie a tassi mediamente più bassi rispetto a quelli dei mutui standard. Nella maggior parte dei casi le banche offrono uno sconto fino a 10 punti base sul costo del mutuo. Ovviamente questa tipologia di mutuo non è immune agli aumenti dei tassi da parte della Bce. Se a gennaio 2022 il costo medio di un mutuo green ventennale a tasso fisso da 140 mila euro per un immobile da 200 mila euro era dell'1,2%, pari a una rata di 658 euro al mese, oggi ce ne vogliono 821 al mese, con un tasso del 3,6%. Per i tassi variabili la media è già aumentata del 26% dallo 0,47% al 2,93%. L'ultimo intervento della Bce porterà a un ulteriore aumento potenziale del costo del 5%.

I margini di manovra dei singoli Stati sono così definiti dalla direttiva: «faranno il miglior uso in termini di costi dei finanziamenti disponibili istituiti a livello di Unione, in particolare il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza, il Fondo sociale per il clima, fondi della politica di coesione, InvestEu, fino ai proventi delle aste Ets, il sistema europeo di scambio delle quote di emissione. Secondo i primi calcoli, però, al momento l'Italia avrebbe una disponibilità di poco superiore ai 15 miliardi di euro anche attingendo a ciò che resta dei fondi Covid. C'è poi il capitolo riscaldamento, con l'eliminazione di quello alimentato da fonti fossili per i nuovi edifici e quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti già a partire dalla data di recepimento della direttiva. Il bando totale scatterà dal 2035, a meno che la Commissione europea non posticipi al 2040. Anche qui ogni Paese va per la sua strada. La Germania chiuderà con le caldaie monocombustibile a olio dal 2026, sia negli edifici nuovi che in quelli esistenti; l'Irlanda vieta le caldaie a gasolio già da quest'anno negli immobili di nuova costruzione e dal 2025 in quelli esistenti. E in Italia? Da giugno 2022 negli edifici di nuova costruzione il 60% del riscaldamento deve essere alimentato da fonti rinnovabili. Anche per questo obbligo dovranno essere valutati incentivi e campagne di rottamazione sulla stregua del bonus caldaie.

alu

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MF-DJ NEWS

1309:19 feb 2023

 

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February 13, 2023 03:20 ET (08:20 GMT)

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