Tim: gran casinò Telecom (Mi.Fi.)
05 Dicembre 2022 - 8:51AM
MF Dow Jones (Italiano)
Banca Imi ha scritto in questi giorni su Tim: in una situazione
così caotica non c'è alcuna evidenza di come possa evolversi la
saga, fatta eccezione per un vago impegno da parte del governo a
trovare una soluzione entro la fine del 2022. Bestinver ha fatto
notare come il governo stia aggiungendo ulteriori dubbi sull'intera
vicenda e come Alessio Butti abbia prima escluso un'acquisizione
integrale di Tim per poi invece sostenere che questa opzione
potrebbe essere presa in considerazione.
E così "nel breve periodo, persisterà l'elevata volatilità che
ha caratterizzato la recente performance del titolo". Gli spagnoli
di Caixa sono stati più tranchant: "Il maggior coinvolgimento del
governo italiano da quando è stata eletta Giorgia Meloni sta
ritardando le decisioni e porta maggiore incertezza sulle
azioni".
Insomma, scrive MF-Milano Finanza, non è la prima volta che il
mercato suggerisce che la politica debba stare il più lontana
possibile da Tim, ma non sembra che le esortazioni sortiscano
grandi effetti. La difficoltà nel fare oggi analisi su Telecom è
che ci sono molti punti di vista dai quali osservare il quadro e il
risultato, a seconda della visuale, cambia molto. Dal punto di
vista di un investitore, e ce ne sono, Tim è un titolo ingestibile.
Basta leggere o ascoltare qualsiasi commento sulla società degli
ultimi anni e quasi sempre il sottotesto è "non si capisce
nulla".
La perdita di valore in borsa. I numeri visti in maniera
'storica' fanno impressione: il 2 agosto 2005 le azioni
capitalizzavano 50,3 miliardi di euro, cioè quasi come oggi sono
Eni o Enel, più dell'odierna Intesa Sanpaolo e il doppio
dell'attuale Generali. In 17 anni la società ha perso il 91% del
suo valore e oggi (che non si trova nemmeno al minimo storico)
capitalizza 4,4 miliardi. Si sono alternati azionisti italiani e
stranieri, sono cambiati i manager e i membri dei vari consigli
d'amministrazione, ma nella sostanza la situazione non è mai
davvero migliorata. Ovviamente, ci sono spiegazioni e attenuanti e
c'è quel peccato originale dell'ingente debito che ha sempre
gravato sulla società a partire dall'opa di Olivetti del '99.
Andare però indietro nel tempo funziona giusto per chi deve
scrivere libri, ma non aiuta a capire cosa fare oggi con il titolo.
Al momento, commentano alcuni operatori, Tim è un'azione per chi ha
voglia di scommettere su tempi brevi, immaginando di entrare e
uscire quasi da trader professionista. Per gli investimenti con
orizzonte temporale più lungo bisognerebbe avere chiaro il percorso
di sviluppo della società. Ma qual è questo percorso?
L'attuale ceo Pietro Labriola, che conosce l'azienda come pochi
altri, perché ne ha scalato le posizioni partendo dal basso, ha le
idee chiare. Da quando ha preso in mano le redini dell'azienda
nonostante guerra e inflazione il business ha iniziato a
riprendersi e il piano industriale presentato lo scorso luglio per
il ceo è ancora quello giusto. Nei suoi incontri gli investitori,
in Italia e all'estero, Labriola ha evidenziato come per Telecom
non abbia più senso essere un operatore integrato e ha aperto a una
rivoluzione di cui si parla da anni che mai nessuno aveva osato
davvero percorrere: la separazione della rete. La cessione
dell'asset nei piani di Labriola avrebbe dovuto consentire sia di
ridurre l'indebitamento sia di liberare la società dei servizi (il
core business della telefonia) dalla ragnatela regolamentare che
ostacola sempre più l'attività ordinaria.
In parallelo, al governo era maturata dopo anni la convinzione
che non avesse senso avere più reti infrastrutturali in
competizione e che fosse invece opportuno dare vita a una sola
società di rete per non duplicare gli investimenti (ossia non
buttare soldi) e anche agire velocemente.
Riassumendo: da un lato Tim voleva cedere la rete e dall'altro
il governo voleva comprarla. Mettere allo stesso tavolo Tim e Kkr
(azionista di Fibercop, cioè la società dell'ultimo miglio) insieme
a Open Fiber e ai suoi azionisti Cdp e Macquarie, non è stato
facile, ma alla fine, pur con gli inevitabili rallentamenti tipici
di queste trattative, ne è nato il memorandum of understanding che
doveva portare a fare tutti felici. Nonostante le sparate del primo
socio Vivendi, che sosteneva che la rete valesse 30 miliardi, c'è
chi resta convinto che alla fine una mediazione si sarebbe
trovata.
A quel punto è intervenuto l'attuale governo, nella piena
legittimità del non ritenere quell'operazione efficace o valida. Il
problema è che adesso il tempo stringe e non è per nulla chiaro
quali siano i piani dell'esecutivo e che fine farà la rete di Tim.
Il tutto senza contare che l'empasse su Telecom blocca e danneggia
anche gli altri operatori (anche se non lo ammettono apertamente)
in un mercato che è già iper competitivo.
Telecom potrebbe cedere ad altri Netco, la scatola che contiene
l'infrastruttura nazionale e quella internazionale di Sparkle? Più
no, che sì. Un compratore straniero verrebbe bloccato dal golden
power e farebbe gridare allo scandalo, ma è difficile immaginare
tanti soggetti "pubblici" (parole di Butti) pronti a investire. In
ogni caso, per chiunque dovesse affacciarsi al dossier, ripartire
da capo con un'operazione vorrebbe dire perdere mesi anche solo per
far sedere tutti a un tavolo.
Il guaio è che alcuni osservatori sostengono che Tim avrebbe
bisogno della valorizzazione del suo asset in tempi brevi. C'è chi
sostiene che anche se il business ordinario stia migliorando sotto
la cura Labriola, senza operazioni straordinarie il gruppo,
peraltro di recente 'downgradato' dalle società di rating, si
troverebbe spinto quasi al limite. In uno scenario ipotetico e
paradossale Tim finirebbe sul tavolo del governo come un problema
da risolvere (con conseguenze su migliaia di lavoratori) creato
proprio dallo Stato con il blocco dell'operazione di cessione della
rete. Non a caso il dossier è talmente delicato che si dice se ne
stia interessando anche la presidenza della Repubblica.
Il titolo nel frattempo oscilla come una barchetta in mezzo alla
tempesta tra un +3% e un -4% a giorni alterni. E pensare che di
valore inespresso ce n'è tanto. Oggi come detto la società
capitalizza 4,4 miliardi. Eppure solo per Netco Open Fiber era
pronta a mettere sul piatto tra 15 e 18 miliardi. A sua volta Cvc
ne aveva proposti 6-7 per Enterprise, cioè la parte del gruppo
dedicata alle imprese, compresi cloud e cybersecurity. E poi c'è
Tim Brasil, quotata a San Paolo, che capitalizza quasi 6 miliardi
di euro. Insomma, anche valutando zero la telefonia, circolano
valutazioni potenziali che, sommate, fanno 31 miliardi contro gli
attuali 4,4. Il piano Labriola mira (o a questo punto mirava?) a
far emergere proprio tutto questo valore oggi non considerato. Ci
sarà abbastanza tempo?
red
fine
MF-DJ NEWS
0508:36 dic 2022
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December 05, 2022 02:36 ET (07:36 GMT)
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