Imprese: Mediobanca, per le medie rimbalzo fatturato in 2021 (+19%)
27 Giugno 2022 - 1:40PM
MF Dow Jones (Italiano)
Rimbalzo del fatturato del 2021 (+19%) e prospettive di crescita
anche per il 2022 (+6,3%). Più del 60% delle medie imprese prevede
di investire entro il prossimo triennio nelle tecnologie 4.0 e nel
green; il 52% che l'ha già fatto conta di superare i livelli
produttivi pre-Covid entro quest'anno. Nessuna inferiorità rispetto
ai peer stranieri che sono anzi meno produttivi, tanto che in 10
anni circa 210 medie imprese nazionali sono passate in mano
straniera.
E' l'identikit delle medie imprese industriali italiane messo a
fuoco nel XXI Rapporto a loro dedicato da Unioncamere, Area Studi
Mediobanca e Centro Studi Tagliacarne.
Questo universo di 3.174 imprese leader del cambiamento è pronto
a cogliere anche le opportunità di crescita derivanti dal Pnrr: il
59% delle medie imprese si è già attivato o si appresta a farlo.
Guardando al futuro, tuttavia, la staffetta generazionale rischia
di rallentarne il cammino: per un'impresa su 4 il passaggio o non è
perfezionato o rappresenta un vero ostacolo.
"Le medie imprese industriali italiane sono la spina dorsale del
capitalismo familiare, come dimostra l'esperienza degli ultimi 25
anni. A ragione possono definirsi la locomotiva del nostro sistema
imprenditoriale, rappresentando un fattore di resilienza e
ammodernamento continuo del sistema produttivo, grazie a una
elevata capacità a investire nella Duplice transizione green e
digitale, rispetto alla quale il capitale umano rappresenta l'asset
intangibile più importante", ha commentato il presidente di
Unioncamere, Andrea Prete, che ha aggiunto: "L'analisi che abbiamo
condotto insieme a Mediobanca quindi sfata, con l'evidenza dei
numeri, diversi luoghi comuni sulla governance familiare delle
imprese, che quando accompagnata da una adeguata proiezione
strategica e manageriale, rappresenta un modello di indubbio
successo".
"Oltre 25 anni di performance migliori rispetto all'intera
economia nazionale, confermate e anzi rafforzate nelle crisi
dell'ultimo quindicennio, consentono alle nostre medie imprese
manifatturiere di affrontare con fiducia scenari che restano
incerti e sfidanti", ha dichiarato Gabriele Barbaresco, direttore
dell'Area Studi Mediobanca.
"La strategia di crescita della nostra impresa, anche quando
comporta l'acquisizione di altre aziende, punta a valorizzare la
storia del management della precedente proprietà per tenere conto
della spinta imprenditoriale di ciascuna realtà, inserendola però
in un più ampio contesto strategico e di opportunità di mercato",
ha sottolineato Giandomenico Auricchio, amministratore delegato di
Gennaro Auricchio Spa.
Dall'indagine emerge che le medie imprese manifatturiere
italiane affrontano le incertezze della congiuntura forti di una
storia che le ha viste fare meglio del resto dell'economia proprio
nei momenti più turbolenti. Secondo un indicatore di performance,
dal 1996 hanno maturato rispetto al Pil un vantaggio del 34,1%, la
maggior parte del quale sviluppato dal 2009. Nel confronto con le
grandi imprese manifatturiere italiane, nello stesso periodo, le
medie hanno registrato migliori performance sotto molti punti di
vista: hanno ottenuto una crescita del fatturato più che doppia
(+108,8%), centrato un maggiore aumento della produttività (+53%) e
garantito una migliore remunerazione del lavoro (+62,4%). Si tratta
di successi ottenuti con un significativo ampliamento della base
occupazionale (+39,8%), che ne ha fatto un modello capitalistico
veramente inclusivo e partecipativo, tanto da consentire loro di
affermarsi anche a livello internazionale: la loro produttività è
infatti superiore del 21,5% a quella delle omologhe tedesche e
francesi, un risultato fuori dall'ordinario, se si pensa che la
nostra manifattura nella sua interezza accusa invece un ritardo del
17,9% rispetto agli stessi Paesi.
Non è un caso che abbiano attratto l'attenzione degli stranieri:
oggi ne avremmo circa 210 in più se queste non fossero passate
nell'ultimo decennio sotto il controllo di azionisti esteri, un
quarto dei quali proprio tedeschi e francesi.
Un aspetto peculiare delle medie imprese riguarda il fatto che
ricchezza e occupazione sono prodotte prevalentemente in Italia.
L'88,2% non ha una sede produttiva all'estero e solo il 3% realizza
in stabilimenti stranieri oltre il 50% dell'output. Il tema del
re-shoring appare quindi di poca rilevanza per queste aziende che,
invece, partecipano attivamente alle catene globali del valore:
l'88,8% si avvale di fornitori stranieri, ottenendo in media il 25%
delle proprie forniture. Inoltre, la quota di vendite destinata
all'estero è pari al 43,2% del fatturato.
Le performance realizzate dalle medie imprese sono tanto più
lusinghiere se si considera che sono state raggiunte in un contesto
non sempre favorevole. E' il caso del fisco: il tax rate effettivo
è oggi attorno al 21,5% contro il 17,5% delle grandi, ma in passato
lo spread è stato anche più ampio, oltre 8 punti nel 2011. Se
nell'ultimo decennio le medie imprese avessero avuto la medesima
pressione fiscale delle grandi avrebbero ottenuto maggiori risorse
per 6,5 miliardi di euro. Una cifra monstre che avrebbe significato
una maggiore dotazione di mezzi propri pari al 6,7% oppure un
maggiore volume d'investimenti nella misura del 10,6%. D'altra
parte, nel confronto con i competitor stranieri, le nostre medie
imprese si percepiscono svantaggiate proprio in termini di
struttura dei costi (50,5%), di efficienza della Pubblica
Amministrazione (30,2%) e di qualità della dotazione
infrastrutturale del Paese (22%).
com/lab
MF-DJ NEWS
2713:24 giu 2022
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June 27, 2022 07:25 ET (11:25 GMT)
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