Il recupero del 2021 dell'industria italiana si è riflesso anche sui margini di conto economico. Per l'aggregato delle 2145 aziende il valore aggiunto è cresciuto del 3,5% sul 2019, portandosi su valori assoluti che segnano il massimo dell'ultimo decennio, al di sopra del precedente picco segnato proprio nel 2019.

E' quanto emerge dalla nuova edizione dei "Dati Cumulativi", indagine

annuale sulle societá industriali e terziarie italiane di grande e media

dimensione analizzate nel decennio 2012-2021, presentata oggi dall'Area

Studi Mediobanca.

Il margine operativo lordo (Mol) è aumentato nel 2021 del 4,1% sul 2019, nonostante il costo del lavoro sia tornato sopra il monte del 2019 in misura pari al 2,9%. Va segnalato che nel 2020 esso si era ridotto del 4,6% per effetto della Cassa integrazione guadagni nella forma esplicitamente contemplata per la causale Covid-19. Il margine operativo netto (Mon) ha invece flesso nel 2021 dell'1,5% sul 2019, in quanto eroso dai maggiori ammortamenti: quelli materiali sono cresciuti del 7,5%, quelli sugli intangibles del 19,2%, essenzialmente per effetto delle rilevanti rivalutazioni ex lege perfezionate nel 2020.

La redditività netta del capitale proprio (Roe) nel 2021 ha segnato un valore (6,4%) che, per quanto in ripresa sul 2020 (4,9%), resta inferiore alla media 2015-2019 (7,5%). Osservando il solo perimetro della manifattura, si rileva un ridimensionamento dei livelli di Roe dal 7,8% della media 2015-2019 al 7% del 2021.

In considerazione delle tendenze che hanno preso corpo nel 2022, il costo della provvista finanziaria è destinato ad accrescere la propria onerosità negli anni a venire. Il 2021 ha segnato il livello minimo dal 2013 degli oneri finanziari medi: 2,3% contro il 4,4% del 2013. Ipotizzando nel 2022 un incremento dello 0,5% sul costo medio del debito, il maggiore onere per le 2145 imprese sarebbe nell'ordine di 2 miliardi di euro. Le imprese più avvedute hanno colto in anticipo la prospettiva di un cambio della politica monetaria: ciò spiega l'incremento del 36,5% tra il 2019 e il 2021 delle disponibilità liquide (+26,2 miliardi) per l'aggregato delle 2145 imprese.

Il tema più rilevante, si legge ancora nell'indagine, è senz'altro rappresentato dai costi degli acquisti di beni e servizi sui quali gravano le recenti accelerazioni dell'inflazione. Essi ammontano, al netto della quota capitalizzata, all'84,5% dei ricavi. Ipotizzando un rincaro del 10%, la loro incidenza passerebbe al 93% del fatturato, mantenendo quest'ultimo costante. In termini assoluti si tratta di circa 65 miliardi di maggiori costi cui andrebbero sommati i già citati 2 miliardi di maggiore costo del debito. Ove tali 67 miliardi fossero ribaltati sui prezzi di vendita, a volumi costanti, essi comporrebbero una crescita del fatturato dell'8,7%, con il Mon che rappresenterebbe il 4,5% delle vendite. Nel caso di ribaltamento del 50% dei maggiori costi sul fatturato questo aumenterebbe, a parità di volumi, del 4,4% ma la quota addebitata al Mon lo ridurrebbe ad appena lo 0,5% delle vendite. In ipotesi statica d'invarianza dei volumi, l'evoluzione del fatturato 2021 in relazione a diverse opzioni di ribaltamento dei maggiori costi avrebbe un conseguente effetto sull'ebit margin che resterebbe positivo fino alla soglia del 50%. Ove invece le imprese intendessero preservare l'ebit margin del 2021, l'aumento dei prezzi di vendita che dovrebbero praticare sarebbe del 9,6%.

L'erosione della marginalità sui conti del 2022 costituisce un'evenienza tutt'altro che remota.

Nel 2021 gli investimenti materiali sono cresciuti del 10,4% in termini reali sul 2020 che a sua volta ha riportato una flessione del 7,9% sull'anno precedente. Questa performance è da ascrivere al comparto pubblico: esso ha solo marginalmente risentito del fermo produttivo e conseguentemente appena limato i propri investimenti (-0,4% nel 2020) che sono poi ripartiti con grande slancio nel 2021 (+11,9%). Un po' più prudente il settore privato che, dopo l'importante contrazione del 2020 (-11,1%), ha realizzato una crescita l'anno successivo (+9,7%), non sufficiente a raggiungere i volumi del 2019 che resta così l'anno migliore del decennio.

La struttura finanziaria complessiva resta solida, esprimendo un rapporto tra mezzi propri e debiti finanziari pari al 123% nel 2021, comunque sempre stabilmente sopra il 120% dal 2016.

Circa sette punti di tale rapporto sono da ascrivere alle rivalutazioni ex lege del 2020. Il rapporto si abbassa notevolmente se riformulato espungendo gli intangibles dal capitale netto, attestandosi all'85,6%, ma anche per questa metrica si rileva una dinamica virtuosa se si considera che nel 2012 il valore era del 59,3%.

Le 2145 imprese, prosegue ancora l'Area Studi di Mediobanca, dopo aver ridotto la forza lavoro nel 2020 di oltre 9.800 unità, sono tornate nel 2021 a espandere la pianta organica di oltre 12.200 addetti (+0,9%). Dal 2012 il numero di dipendenti ha segnato un incremento dell'1,8%, ma non mancano evidenze di contrazione che appaiono circoscritte alle imprese a controllo pubblico (-5,8%), a quelle a controllo estero sia nel loro insieme (-4,2%) che nella sola componente manifatturiera (-5,5%) e ai maggiori gruppi manifatturieri (-2,7%). Hanno contrastato queste tendenze le medie imprese (+14,2%) e quelle medio-grandi (+9,4%).

com/fus

marco.fusi@mfdowjones.it

 

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September 20, 2022 06:21 ET (10:21 GMT)

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