L'inizio di un nuovo capitolo o forse un ritorno alle origini storiche? Quando lo scorso 27 giugno Ovs ha sottoscritto una lettera di intenti con gli azionisti di Coin per l'acquisizione dell'intero capitale sociale dell'azienda dei grandi magazzini qualcuno ha storto il naso. Nel 2020 la seconda aveva registrato un fatturato di 217 milioni di euro in calo rispetto ai 361 del 2019, un ebitda in rosso per 10 milioni dai 13 dell'anno precedente e un debito netto di 74 milioni dai 17 pre-pandemia. E per il 2021 gli analisti, che hanno visionato i numeri, prevedono ancora una perdita. "Saremmo sorpresi se Ovs si imbarcasse in una ristrutturazione difficile come questa", hanno commentato da Banca Akros, affermando che in mancanza di rassicurazioni da parte dell'azienda, non consideravano l'acquisizione di Coin da parte del gruppo dell'ad Stefano Beraldo "una buona notizia".

Tuttavia, scrive Milano Finanza, non sono solo i risultati finanziari di Coin a rendere complessa l'operazione: Beraldo al momento possiede circa il 12% della società target. Dunque, parte correlata. Inoltre, le due sono legate da più di quarant'anni di storia, dove però Ovs era la figlia e Coin, invece, la madre. La vicenda ebbe inizio a Venezia nel ventesimo secolo, quando l'imprenditore Vittorio Coin ottenne la licenza per la vendita dei tessuti. Con il passare dei decenni, l'attività di famiglia abbandonò il suo tratto ambulante per acquisirne uno più strutturato. Decisa ad espandere i propri prodotti fuori dalla laguna verso i piccoli borghi veneti, nel 1968 la società - ormai Gruppo Coin - lanciò Coinette, una nuova catena di magazzini.

È da questa linea che nacquero i negozi Oviesse, dove i consumatori potevano trovare i prodotti a prezzo scontato. Nel 1972 la divisione divenne autonoma e fu ribattezzata con il nome di Ovs (Organizzazione Vendite Speciali). Casi del destino: nel 2005 fu proprio Stefano Berardo a prendere le redini di Coin inaugurando una fase di ristrutturazione che avrebbe dato un nuovo volto al gruppo. In sei anni, il manager portò la capitalizzazione di borsa della catena, allora quotata, da 320 milioni a oltre un miliardo, rinnovando alcune delle insegne principali per offrire ai propri clienti una gamma di prodotti sempre più completa. Nel 2010 il top manager concluse per la prima volta un'operazione di salvataggio che, ripetuta più volte negli anni, diventò il suo tratto distintivo: l'acquisizione di una società in difficoltà finanziarie, in questo caso Upim. La cura Beraldo venne replicata nel settembre del 2016, quando Ovs lanciò l'opa a 6,38 franchi per azione sulla svizzera Charles Vögele che all'epoca aveva un indebitamento verso le banche di circa 170 milioni di franchi. Dopo l'acquisizione, i negozi furono gradualmente convertiti nel marchio Ovs. Una nuova avventura. Beraldo puntava a soddisfare le necessità di tutte le famiglie italiane, soprattutto di quelle che, con la crisi finanziaria, avevano visto "sgonfiarsi il portafoglio". Per il ceo di Ovs i negozi del gruppo dovevano ricoprire l'intero stivale, in maniera capillare sullo stile di "un supermercato, di una pompa di benzina, delle Poste o della scuola".

Nel 2011 il fondo di private equity inglese Bc Partners acquistò il controllo di Coin per 1,4 miliardi di euro e, dopo solo tre anni, prese una decisione che cambiò per sempre le sorti dell'azienda. Sfruttando la penetrazione del marchio a livello nazionale, il management del gruppo annunciò lo scorporo del brand Ovs che venne quotato all'Euronext Milan il 2 marzo 2015 con un prezzo di collocamento di 4,1 euro: lasciata la casa madre, a capo della società ora indipendente non poteva che esserci Beraldo. Nel 2014 la sola Ovs deteneva una quota del settore dell'abbigliamento italiano pari al 4,43%. Ma nonostante Beraldo non avesse mai smesso di credere nella forza del prodotto offerto, più che alla crescita futura, l'ingresso della società a Palazzo Mezzanotte era al servizio dell'indebitamento di 984 milioni, maturato dal gruppo nei confronti di un pool di banche (Imi, Ubs, Unicredit, Bnp Paribas, Crédit Agricole, Hsbc, Mediobanca e Natixis).

Grazie anche alla nuova iniezione di liquidità, nell'ottobre del 2015 Ovs viaggiava controcorrente rispetto al settore dell'abbigliamento di media gamma, in netta flessione. Con ormai il 6,7% del mercato e l'aspirazione del capo azienda a raggiungere presto l'8%, la società non si limitò più ad assemblare collezioni dei fornitori più economici del mondo, ma iniziò ad esprimere l'identità di un proprio stile. E qui l'ulteriore svolta. Nel 2016 Ovs raggiunse la vetta nel mercato italiano e cominciò a puntare anche all'estero dove però doveva scontrarsi con i colossi del fast-fashion come Zara ed H&M. All'apice della fama del brand controllato, Coin decise di vendere la propria partecipazione, e tramite una serie di collocamenti con accelerated bookbuilding tra il 2016 e il 2017 la casa madre ridusse la propria quota in Ovs al 31,12%, riempiendo le proprie casse. Numerose sono le circostanze che portarono ad un cambio di timone nella società: entrato in punta di piedi, Tamburi Investments Partners (Tip), investment company di Giovanni Tamburi, soppiantò nel giugno del 2019 nel capitale Bc Partners. Da allora l'assetto azionario di Ovs vede Tip come azionista di maggioranza con una quota appena sotto il 24%.E mentre in borsa il titolo passava di mano, il brand non smise di accrescere la sua influenza sul mercato nazionale.

Così Beraldo, ormai specializzato nel rilancio dei marchi storici, iniziò a guardarsi intorno in cerca di una nuova nave alla deriva da riportare a galla. Ecco che nel dicembre del 2020 la scelta ricadde su Stefanel su cui Ovs presentò un'offerta vincolante di 3,2 milioni. Ma all'ad una sola acquisizione non bastava per creare un polo moda a prezzi accessibili: in pochi mesi furono stretti accordi distributivi con brand come Conbipel, Gap (proprietario dei marchi Old Navy, Banana Republic, Athleta, Intermix e Janie and Jack), oltre allo stilista Massimo Piombo e a Eastpak. E ora, dopo meno di dieci anni di separazione, Ovs vuole ritornare alle origini, ricongiungendosi con Coin, la società a cui deve il proprio sviluppo e la quotazione. Tutto bene? No, perché oggi Beraldo potrebbe ritrovarsi davanti ad una realtà diversa da quella che aveva lasciato ovvero grandi magazzini meno profittevoli che valgono non più un miliardo, ma solo 400 milioni.

red

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0409:23 lug 2022

 

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