La scena è quella di un'istantanea storica, anche se un po'
ingiallita: interno sera nel salotto buono di casa del sindaco, una
mappa distesa sul tappeto e Letizia Moratti e Salvatore Ligresti
seduti per terra a vedere come sarebbe sorta Citylife a Milano.
Quell'opera ha segnato il rilancio del capoluogo lombardo, dopo un
inizio stentato, ed è ancora stampata nella memoria, come tanti
altri lampi, di Jonella Ligresti, una delle prime donne a sedere
nei cda delle più importanti società quotate, in primis Mediobanca,
ma anche una delle prime donne di potere con un cammino molto
doloroso alle spalle, reduce da un calvario giudiziario e dalla
spoliazione di quello che un tempo i giornali definivano l'impero
Ligresti. A nove anni dall'arresto e dopo il proscioglimento
definitivo, l'ex presidente di Fonsai ha deciso di parlare con
Milano Finanza di quell'esperienza che ha travolto una famiglia,
simbolo di un pezzo di storia di Milano. "Non dimentico nulla ma
vado avanti e penso al futuro", afferma in un lungo colloquio a
pochi giorni dal voto per i referendum sulla giustizia.
Domanda. Dottoressa Ligresti, sono passati quasi nove anni da
quando lei fu arrestata con l'accusa di falso in bilancio e
aggiotaggio. Dopo un lungo percorso processuale è stata prosciolta.
Ripercorra per i lettori di Milano Finanza, le tappe di questa
vicenda.
Risposta. Sono venuti a prendermi tre agenti della finanza una
mattina di luglio del 2013. Ero in vacanza in Sardegna. Sono stata
strappata dalle braccia del mio figlio più piccolo di 11 anni, per
essere sbattuta in tre carceri differenti. Cagliari Torino e
Milano. Come i peggiori delinquenti. Arrestata perché avevano paura
che fuggissi, a nuoto dalla Sardegna con mio figlio sulle spalle,
oppure che reiterassi il reato, però non avevo più nessuna carica,
o che inquinassi le prove, peccato però che il reato contestatomi
era su una posta di bilancio già cristallizzata due anni prima. Che
bisogno c'era di arrestarmi?
D. Andiamo per gradi, cosa è successo dopo?
R. Dopo tre mesi di carcere il mio avvocato è venuto a
comunicarmi che mi avevano concesso i domiciliari quindi finalmente
potevo tornare a casa. Peccato però "che si erano sbagliati" e che
i miei bambini sono stati tutto il pomeriggio ad aspettarmi fuori
dal carcere. A quel punto sono crollati, la violenza della
Giustizia aveva colpito in pieno anche i miei figli che mi hanno
implorato di fare e dire qualsiasi cosa pur di uscire, avevano
paura che non sarei più tornata a casa. Cosa fa una mamma? Mette al
primo posto la salute psicofisica dei suoi figli sacrificando il
suo diritto alla verità!
D. Quindi ha patteggiato?
R. Sì. Decisi di chiedere il patteggiamento per tornare da loro,
e dopo un lunghissimo mese finalmente mi hanno mandato a casa, con
il divieto disumano di incontrare mio padre. Per fortuna il giudice
che doveva accettare il mio patteggiamento, ironia della sorte ha
ritenuto la pena non congrua, e dopo un processo durato circa un
anno, sono stata condannata a 5 anni e 8 mesi in primo grado. Nello
stesso processo a Torino mio padre è stato condannato anche lui,
era il 2016. Nello stesso periodo mio fratello Paolo è stato
assolto a Milano per le stesse accuse e mia sorella Giulia invece
aveva ottenuto il patteggiamento a 2 anni e 8 mesi.
D. In secondo grado come è andata?
R. Dopo un anno i giudici della corte d'appello di Torino hanno
annullato le condanne e trasferito il processo per competenza a
Milano dove io e mio padre siamo stati archiviati perché il fatto
non sussiste, in quanto si era già celebrato un processo in cui il
tribunale prima e la corte di appello poi avevano sentenziato che
il fatto non sussiste. Non c'era stato nessun reato.
D. E sua sorella Giulia?
R. Anche mia sorella nel frattempo era stata assolta a seguito
della revisione del suo patteggiamento.
D. Al di là delle inchieste giudiziarie il gruppo Ligresti era
però in grande difficoltà e Mediobanca si occupò di salvarlo: di
chi era la responsabilità del dissesto?
R. Nessun dissesto. La fine del 2011 è stata caratterizzata da
instabilità politica con le dimissioni di Berlusconi chieste a gran
voce dall'Europa e da speculazione finanziaria di cui l'Italia è
stata vittima. L'esposizione di Fonsai verso il debito pubblico
italiano, circa 40 miliardi, ha pesantemente risentito dello spread
che ha raggiunto l'irrazionale soglia, mai più vista, di 575 punti
base. Il dg dell'epoca ha poi fatto il resto. Sul presupposto di
"asseriti affinamenti metodologici" a cavallo tra dicembre 2011 e
gennaio 2012, ha proceduto a massicce svalutazioni che hanno fatto
lievitare la perdita di fine anno e la presunta esigenza di
capitalizzazione. Il risultato finale è stato l'impoverimento di
quei risparmiatori che non hanno potuto sottoscrivere l'aumento di
capitale del 2012 e l'arricchimento di chi ha potuto farlo.
D. Chi ci ha guadagnato?
R. A ben vedere Unipol, che veniva da un aumento di capitale nel
2010 e che a fine 2011 non se la passava tanto bene. Dopo
l'annessione di Fonsai a prezzi di saldo ha fatto registrare utili
mai visti prima nel corso della sua storia, unitamente a
ricchissimi dividendi preziosi per le coop azioniste. Un'operazione
che è stata un unicum nel panorama finanziario europeo e non
solo.
D. Ci dovevate guadagnare anche voi come famiglia però. Cosa è
stato dell'accordo di buonuscita che chiedeste a Mediobanca, il
famoso papello?
R. Il papello è stato l'accordo privato tra Mediobanca e mio
padre, che recepiva gli accordi resi pubblici al mercato nel
gennaio 2012. L'intervento irrituale della Consob in sostanza nelle
vesti di consulente dell'operazione, allo scopo di evitare agli
acquirenti l'onore di un'opa obbligatoria, determinò la modifica
dello schema di intervento di Unipol e il ritiro del contenuto
delle side letter che tuttavia vennero poi trasfuse nel papello
firmato da Nagel e mio padre (qui la sensazione di chi scrive è che
la vicenda non sia ancora finita, ma sul punto Jonella Ligresti,
non aggiunge altro, ndr).
D. Il carcere cambia le persone. Cosa ricorda di più del periodo
che ha vissuto in prigione e cosa si sente di dire della sua
esperienza?
R. Le carceri non sono tutte uguali, esistono posti in cui è
davvero impossibile sopravvivere per tanto tempo se non con l'aiuto
di farmaci che intontiscono. A Torino ho passato davvero i momenti
più difficili, le celle sono davvero fatiscenti, non degne di uno
stato di diritto. Ero in una cella di 2x4 con un letto a castello e
una ribaltina per appoggiare il piccolo fornellino da campeggio con
cui mi riscaldavo le cose che mi mandavano i miei figli quando mi
venivano a trovare in carcere. Il bidet era il mio frigorifero,
facevo scorrere l'acqua tutto il giorno, e appoggiavo intorno le
cose che mi compravo da mangiare così che potessero non marcire in
fretta.
D. Cosa pensava in quei momenti?
R. È difficile passare 22 ore chiusa in una cella quando sai di
essere assolutamente innocente. Quindi per poter sopravvivere devi
scandire le giornate, routine che devi ripetere ogni giorno. Prima
cosa avere la forza di alzarsi dal letto, anche se le assicuro
avrei voluto solo dormire, fare il letto, prepararsi il thè e
vestirsi. Poi finalmente un'ora fuori all'aperto, camminando tutto
il tempo intorno come i criceti nella ruota. Consapevoli di ogni
passo senza perdere neanche un momento di quell'aria che ti aiuta
poi a tornare dentro. Io passeggiavo e cantavo «Un senso» di Vasco
Rossi per cercare di capire che «senso» avesse il mio stare lì! A
un certo punto ho dovuto per forza chiedere di patteggiare, l'unica
via per uscire da lì.
D. Quanto è stata in carcere e agli arresti?
R. Ho passato in carcere 4 mesi della mia vita e 8 mesi ai
domiciliari. E per 3 mesi mi sono dovuta recare dai carabinieri a
giorni alterni per assolvere all'obbligo di firma. E tutto questo
da innocente.
D. È vero che in quei giorni le fu vicino, tra gli altri, Diego
Della Valle, che portò fuori a pranzo i suoi figli donandogli il
completo della Fiorentina?
R. Sì, una persona straordinaria, non lo abbiamo dimenticato, i
miei figli neppure.
D. Ha chiuso tutti i conti con la giustizia italiana, vorrebbe
un risarcimento?
R. Utilizzerò gli strumenti che la legge mette a disposizione,
ma credo che nulla possa ristorare delle sofferenze e dei danni che
ha subito la mia famiglia.
D. Cosa fanno ora i suoi fratelli?
R. Giulia è una designer, ha presentato una mostra personale
delle sue opere in un'importante galleria milanese e sta lavorando
a un nuovo progetto su design e sostenibilità. Paolo si occupa di
progetti immobiliari.
D.E lei?
R. Ora faccio la mamma e tra poco diventerò nonna. Ho
un'attività di ristorazione in Sardegna che gestisco ormai da
cinque anni. Ho anche ricominciato a montare a cavallo che è sempre
stata la mia grande passione.
D. Cosa è rimasto degli asset del gruppo Ligresti?
R. L'asset più importante del gruppo era rappresentato dalla
partecipazione in Fondiaria Sai che oggi è finita nel perimetro di
Unipol.
D. In pochi parteciparono ai funerali di suo padre, Salvatore
Ligresti, qualcuno dei vecchi amici ora si è rifatto sentire?
R. Gli amici non erano poi così pochi, quelli che contavano
c'erano tutti. Mio padre era un visionario, una persona di parola.
Amava Milano e il volto nuovo della città lo si deve alle sue idee
portate avanti con tenacia. Personalmente ho assistito a centinaia
di riunioni in cui si parlava di progetti di disegni e di
grattacieli. Da Porta Nuova a CityLife ogni metro cubo ha la sua
impronta. Ricordo il bellissimo rapporto che aveva con il grande
architetto Daniel Libeskind e ho assistito personalmente al loro
confrontarsi su importanti progetti che hanno cambiato il volto di
Milano.
D. Cosa ricorda di Bettino Craxi, altro protagonista di quella
Milano insieme a suo padre, una Milano che non c'è più.
R. Quando sentivo parlare Craxi era come se parlasse la
storia.
D. Ha ancora fiducia nella giustizia, cosa cambierebbe del
sistema?
R. La giustizia nel nostro caso si è corretta, ma purtroppo ci
sono voluti tanti anni e tante sofferenze da parte di tutti noi. E
comunque le conseguenze sono irreversibili. Sicuramente andare a
votare al referendum è una buona partenza perché può capitare a
tutti di entrare in un vortice come è capitato a me, e le assicuro
che quando capita uscirne è lungo e doloroso. Non deve essere
possibile arrestare qualcuno senza avere la certezza che non ci
siano strumenti differenti da adottare. Non deve essere usata la
carcerazione preventiva come strumento di coercizione per indurre
l'indagato al patteggiamento.
D. Pensa al suo caso personale adesso...
R. Sì. Ne è riprova il fatto che dopo quattro mesi, esausta, per
me lo stare in carcere ha avuto solo un effetto: quello di portarmi
a patteggiare per poter uscire. E inoltre quando sei in carcere non
si ha la lucidità per poter prendere decisioni, non hai più la
testa per difenderti. Vuoi solo tornare a casa.
D. Cosa è rimasto della Milano da bere, capitale del boom
economico e della finanza famigliare?
R. I tempi cambiano, che sia un male o un bene lo vedremo.
Certamente di personaggi come il dottor Enrico Cuccia o l'ingegner
Salvatore Ligresti non ce ne sono molti e dispiace vedere che
importanti investitori Italiani vengono osteggiati da manager
sempre più padroni delle aziende. La differenza sta nel fatto che
non solo l'imprenditore rischia capitale proprio, contrariamente ai
manager, ma addirittura instaura un rapporto umano con i propri
dipendenti e familiari andando oltre l'esclusiva logica del
profitto.
D. Suo padre la portava in cantiere, quando passa oggi davanti a
un cantiere tira dritto?
R. Amavo andare in cantiere con lui, ogni volta che vedo una gru
penso con orgoglio a tutto quello che ha costruito.
D. Voterà per il referendum?
R. Assolutamente "SI".
L'intervista finisce qui, il nuovo cammino di Jonella Ligresti è
invece appena cominciato, tra poco diventerà nonna e magari in quei
cantieri ci porterà i nipoti, per raccontare la storia del papà
Salvatore.
red
MF-DJ NEWS
1309:04 giu 2022
(END) Dow Jones Newswires
June 13, 2022 03:06 ET (07:06 GMT)
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