Due regolamenti cambieranno il mercato unico a 30 anni dalla sua fondazione. In un'intervista esclusiva a Milano Finanza-MF la commissaria europea per l'Antitrust, Margrethe Vestager, fa il punto sulla nuova regolazione messa in campo dall'Unione per frenare le Big Tech e la loro forza che si tramuta in dominanza commerciale e influenza sociale. Il Digital Market Act e il Digital Service Act sono di fatto una Costituzione digitale comunitaria che cercherà di imbrigliare Facebook, Amazon, Microsoft, Apple & Co nel momento in cui anche il Dipartimento di Giustizia americano ha deciso di usare le maniere forti contro lo strapotere di Google nella pubblicità, ipotizzando un clamoroso break up, una separazione societaria.

La decisione a Washington è arrivata non certo come un fulmine a ciel sereno, dopo l'indagine del Congresso, una miriade di cause federali e soprattutto l'atto esecutivo in materia firmato dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che agli addetti ai lavori è suonato come uno squillo di tromba. «Le nostre misure vogliono rendere il mercato più competitivo», ragiona dall'altra parte dell'oceano Vestager, che è anche vicepresidente esecutiva della Commissione, ma non ci sarà nessuna persecuzione a prescindere, solo una mappatura delle aziende più forti del pianeta: «una volta stabilite le linee guida assegneremo i relativi obblighi per questi giganti digitali», rassicura sapendo bene che in pochi nella Silicon Valley resteranno tranquilli.

Domanda. Vicepresidente Vestager, negli Stati Uniti alcuni accusano l'Unione europea di aver compiuto con il Digital Markets Act (Dma) un atto contrario alla libera concorrenza. Come risponde? Sono stati individuati i gatekeeper, i giganti digitali destinatari del regolamento?

Risposta. L'identificazione dei gatekeeper sta procedendo, ma restano alcune questioni preliminari da affrontare. Stiamo in particolare stilando le linee-guida sui servizi di piattaforma essenziale che sono alla base della definizione. Una volta stabilite, le società dovranno notificarsi autonomamente alla Commissione che designerà i gatekeeper, assegnando i relativi obblighi ex-ante.

D. Il Dma e il Dsa (Digital Service Act) hanno dato alla Commissione gli strumenti necessari a regolare il mercato digitale?

R. Lo capiremo attuando e applicando la nuova legislazione. La finalità dei due regolamenti è molto chiara: vogliamo un mercato aperto e contendibile. Non vogliamo perciò che i gatekeeper decidano chi possa parteciparvi, che possano autopromuoversi o che utilizzino i dati propri e altrui soltanto a proprio vantaggio. Fissati questi obiettivi, pensiamo di avere gli strumenti adatti per conseguirli; ovviamente, però, la controprova la fornirà la realtà. Siamo piuttosto fiduciosi e molto concentrati per garantire a tutti i partecipanti un mercato aperto.

D. L'entrata in vigore dei due nuovi regolamenti ha favorito il recente accordo fra la Commissione e Amazon sull'utilizzo dei dati e la gestione del portale e-commerce?

R. Uno dei pilastri dell'accordo prevede che Amazon non utilizzi più i dati delle piccole e medie imprese presenti sulla sua piattaforma per le sue attività in concorrenza con i rivenditori. Questo vincolo sarebbe certamente scattato con il Dma, così come l'obbligo di accordare la Buy Box (il riquadro di acquisto rapido, ndr) ai rivenditori secondo criteri neutrali. Ci sono però altri impegni che non avremmo potuto ottenere con il regolamento.

D. Quali?

R. Per esempio, l'inserimento di una seconda Buy Box oppure la possibilità per i rivenditori di utilizzare i propri servizi di consegna, anziché quelli offerti da Amazon, senza che ciò comporti ripercussioni sul posizionamento nella piattaforma. L'accordo con Amazon è quindi un ottimo esempio del fatto che con il Dma si potranno ottenere grandi risultati, ma l'attività repressiva resterà necessaria per contrastare prassi lesive della concorrenza che non ricadano nel perimetro di applicazione del regolamento.

D. Il Dsa aiuterà a fissare il confine fra libertà di espressione e moderazione dei contenuti?

R. Si tratta senz'altro di un tema caldo: per la legittimità della nostra democrazia è assolutamente vitale saper discernere fra le espressioni illegali e non. Talvolta si tratta di un esercizio semplice: la pornografia infantile, l'incitazione al terrorismo e alla violenza sono sicuramente illeciti. Esistono però zone grigie, dove è necessario trovare un bilanciamento: le piattaforme hanno l'obbligo di eliminare contenuti che considerino illegali, ma devono anche dare alle persone il diritto di opporsi alle loro decisioni. La predisposizione di simili meccanismi è cruciale perché, altrimenti, si corre il rischio di incorrere in eccessi sanzionatori. In una democrazia è importante che viga il diritto di esprimere anche cose dolorose o dannose per uno più individui, fintanto che non sono illecite.

D. Scorge nella rinascita dei nazionalismi un pericolo per la costruzione europea?

R. Quest'anno festeggiamo i 30 anni del mercato unico. È certamente molto importante celebrare i risultati ottenuti: un mercato di 450 milioni, accessibile a milioni di imprese europee di qualunque dimensione. L'anniversario ci porta però anche a esaminare dove la costruzione europea è ancora fragile.

D. Dove è più fragile l'Ue?

R. Dobbiamo per esempio accelerare la creazione di un mercato unico dei servizi digitali: credo che ancora molte persone subiscano in Europa il geoblocking (blocco dei siti situati in altri Paesi Ue, ndr). Dobbiamo poi lavorare alla costituzione di un mercato unico delle telecomunicazioni. Trovare in generale il modo per consentire alle persone di comprare più servizi all'interno di un mercato unico. Credo che il dibattito in proposito sia stato a lungo insufficiente: i 30 anni sono una buona occasione per riprenderlo per sottolineare quanta prosperità abbia generato il mercato unico, ma anche dove sta ancora fallendoo. Occorre essere molto efficaci nella manutenzione del mercato unico, che ne ha bisogno praticamente ogni giorno. Altrimenti le barriere interne e protezionistiche finiscono per innalzarsi qua e là.

D. A proposito di barriere protezionistiche: come dovrebbe reagire l'Unione Europea all'Inflation Reduction Act degli Stati Uniti? Teme che gli incentivi concessi dall'amministrazione Biden spingano le imprese a dirottare gli investimenti dall'Ue agli Usa?

R. Prima di tutto, è importante riconoscere che gli americani hanno abbracciato la transizione verde. È un fatto molto rilevante: come Europa possiamo fare molto con il nostro piano di crescita Green Deal, ma è chiaro che da solo non sarà abbastanza per il pianeta. Ciò premesso, la nostra risposta all'Ira deve contenere allo stesso tempo diversi elementi. Occorre anzitutto far sì che l'attuazione dell'Ira riduca al minimo gli aspetti discriminatori del provvedimento. Abbiamo ottenuto un primo aggiustamento riguardo agli incentivi legati al luogo di assemblaggio dei veicoli elettrici, ora negozieremo anche sulla provenienza delle materie prime. A marzo, quando arriveranno le linee guida di applicazione dell'Ira, alcuni problemi di discriminazione saranno auspicabilmente risolti. Ma non sarà abbastanza.

D. Perché?

R. Una delle ragioni per cui l'Ira è così tossico è che la differenza nel prezzo dell'energia fra Stati Uniti e Unione Europea è enormemente aumentata. Gli Usa possono offrire costi bassi e stabili, mentre in Ue sono elevati, volatili e imprevedibili. È perciò ancor più urgente accelerare la transizione verde per assicurare alle imprese e alle famiglie energia pulita e a prezzi ragionevoli. Nel frattempo, ovviamente, dobbiamo costruire un ponte per alcune industrie, attive in particolare nella produzione di batterie, pannelli solari e materie prime, affinché resti attraente per loro investire in Europa. Occorre dunque considerare alcuni cambiamenti mirati e provvisori nella disciplina degli aiuti di Stato: stiamo lavorando alla trasformazione del Quadro Temporaneo di Crisi, avviato con la guerra in Ucraina, in un Quadro Temporaneo di Crisi e Transizione. Quanto all'ultimo elemento della reazione all'Ira, stiamo effettivamente lavorando alla costituzione di un fondo sovrano europeo per controbilanciare la misura precedente.

D. In che senso?

R. Il problema nell'autorizzare più aiuti di Stato è che non tutti possono permetterseli. I fondi europei di coesione e il Recovery and Resilience Fund consentono un riequilibrio, ma sono in gran parte già allocati. Di conseguenza, è cruciale disporre di un fondo sovrano europeo e al contempo rimanere fedeli al nostro ideale di coesione. Se si intende sostenere la capacità produttiva, è bene fare in modo che i sussidi europei arrivino soprattutto in aeree altrimenti non attraenti per gli investimenti. A questo proposito, di recente, la Commissione Ue ha avviato un'iniziativa riguardo allo sfruttamento del talento.

D. In cosa consiste?

R. In alcune regioni europee i giovani si trasferiscono o non ottengono un livello di competenze sufficiente. Se non ci sono imprese a creare lavoro di qualità, continueranno a emigrare o a non fruire di una formazione adeguata. Quando affrontiamo l'Ira e i suoi effetti discriminatori, perciò, dobbiamo ricordare che l'Europa è un'unione: la prospettiva paneuropea non deve essere demandata soltanto al fondo sovrano Ue. Nella transizione non è un dettaglio dove gli investimenti avranno luogo: bisogna evitare che gli aiuti di Stato portino a una rilocalizzazione interna all'Unione, magari verso aree dove i sussidi sono più generosi. Un ultimo profilo di discussione, non meno importante, riguarda la competitività europea.

D. Cioè?

R. Gli oneri regolatori, la presenza delle competenze richieste dalle imprese e la dimensione commerciale sono cruciali per rendere l'Unione il luogo dove investire. Siamo bravi quando si tratta di ricerca, innovazione e infrastrutture pubbliche, ma serve una spinta ulteriore per mantenere l'Europa competitiva nel lungo termine, in un ambiente geopolitico che si fa più ostile.

pev

 

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January 30, 2023 04:07 ET (09:07 GMT)

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