Calcio: i club quotati sono un flop (Mi.Fi.)
05 Dicembre 2022 - 9:07AM
MF Dow Jones (Italiano)
La famiglia Glazer chiede fra i 7 e i 9 miliardi per cedere il
Manchester United. A Wall Street il club inglese capitalizza 3,7
miliardi nonostante il rialzo del 72% messo a segno dall'annuncio
della ricerca di nuovi azionisti. L'Atalanta è stata valutata 500
milioni di euro dalla cordata americana che ne ha rilevato il 55%
dalla famiglia Percassi. A Piazza Affari la Juventus viaggia
intorno ai 700 milioni pur avendo circa il doppio dei ricavi del
club bergamasco. Chi ha ragione? La borsa o gli investitori pronti
a sfidarsi a suon di miliardi per Liverpool, Paris Saint-Germain e
Napoli? Probabilmente tutti e due.
Gli azionisti delle società quotate, scrive MF-Milano Finanza,
cercano ritorni in dividendi e in plusvalenze sui titoli. Sinora i
club calcistici si sono rivelati un flop di borsa (tabella in
pagina) e avari di remunerazioni. L'unico a staccare cedole con una
certa regolarità è stato il Manchester United, perlopiù per
soddisfare la proprietà Usa.
Dalla quotazione nel 2001, invece, la Juventus ha pagato un solo
dividendo (nel 2002), ha perso il 72% rispetto al prezzo di ipo e
ha concluso tre aumenti di capitale per circa 800 milioni.
All'indomani delle dimissioni dell'intero cda presieduto da Andrea
Agnelli, travolto dalle inchieste di Consob e Procura, gli analisti
hanno ipotizzato per il club un quarto rafforzamento patrimoniale.
John Elkann ne ha escluso la necessità nel corso dell'Investor Day
di Exor, ma la situazione contabile della Juventus esige certamente
una manovra drastica. L'esercizio 2021-22 si è chiuso con un 254
milioni di perdite e con un patrimonio netto di 169 milioni, che
potrebbe scendere a 143,8 milioni in ossequio alle contestazioni
Consob. Per stessa ammissione del management, il bilancio 22/23
dovrebbe chiudersi ancora in rosso, a dispetto delle politiche di
abbattimento dei costi avviate. Anzi, rispetto alle previsioni di
fine settembre, il quadro potrebbe aggravarsi sia per le modifiche
ai conti imposte dall'autorità di borsa sia per l'immediata
eliminazione dalla Champions League. Intercettato al telefono con
il cfo Stefano Bertola, lo stesso amministratore delegato uscente
della Juventus, Maurizio Arrivabene, ammetteva: "Fatti i conti
della serva, noi dovevamo fare per star tranquilli un aumento di
650 milioni, non di 400 per sanare". Nel caso gli azionisti
sarebbero disposti a sottoscrivere la terza operazione
straordinaria in meno di tre anni? La partecipazione del 63,8%
della Juventus vale il 2% del nav di Exor, ma le continue iniezioni
di risorse non sono certo gradite agli investitori del club né a
quelli della holding.
Fra gli addetti ai lavori, allora, già si ragiona su ipotesi
alternative. Per alcuni esperti, la soluzione migliore per Exor
sarebbe un'opa finalizzata al delisting della Juventus. Sui mercati
privati, infatti, i club godono di tutt'altra considerazione da
parte degli investitori. Family office, grandi private equity e,
apparentemente, colossi aziendali come Apple, Amazon e Meta sono
pronti a investire nel calcio europeo. Alcuni di questi patrimoni
sono a caccia di un dividendo geopolitico, ben diverso da quello
ricercato dai soci di quotate. È il caso degli sceicchi dell'Arabia
Saudita, candidata con Grecia ed Egitto a ospitare i Mondiali 2032.
Oppure di alcuni magnati americani, desiderosi di intessere
relazioni utili ad altri affari. Quando però sono fondi come
Elliott, Cvc, Redbird, Silverlake e Searchlight a interessarsi al
pallone, la partita si fa finanziaria: c'è dietro la scommessa che
il calcio europeo sia sottovalutato e possa ambire a una rilevante
crescita economica.
La crisi pandemica è stata del resto un anno zero per i club del
Vecchio Continente: aggravando le perdite, ha fatto esplodere la
bolla gonfiata da anni di spese per i giocatori esorbitanti
rispetto ai ricavi. Paperoni a parte, tutte le proprietà sono oggi
intenzionati a riportare sotto controllo i costi. Parallelamente,
però, i top club sono impegnati in una partita più a lungo termine:
rendere più stabili e prevedibili gli incassi stagionali. Il
progetto Superlega è stato un tentativo maldestro ed estremo di
riuscirci. La nuova Superchampions League della Uefa non prevede
membri di diritto, ma con 100 partite in più avrà un impatto simile
sui campionati nazionali e sulla competizione sportiva. Il torneo
al debutto nel 2024 punta infatti a rastrellare 5 miliardi all'anno
dai diritti televisivi, concedendo un enorme vantaggio economico
alle squadre qualificate. Se poi - come sembra - la Fifa tirerà
fuori dal cassetto il progetto di un nuovo Mondiale per club, le
grandi potrebbero ottenere un'ulteriore fonte di introiti
ricorrente.
Le tante proprietà Usa potrebbero così spingere il calcio verso
un'organizzazione più simile a quello tipico degli sport americani.
Con la medesima ispirazione, intanto, un numero crescente di
investitori sta ricorrendo alla struttura della holding, riunendo
sotto un unico gruppo più club appartenenti a diverse Leghe. Basti
pensare al City Football Group, alla rete del fondo 777 o alle
trattative in corso fra la famiglia pozzo e una spac per portare il
duo Udinese-Watford a Wall Street. Il pregio di queste
multiproprietà consiste da un lato nelle sinergie di ricavo e di
costo fra i club, dall'altro nella possibilità di diversificazione
che riduce l'alea dei risultati sportivi e commerciali.
Il modello del conglomerato e la preponderanza economica dei
tornei internazionali potrebbero rendere non solo più corposi, ma
anche più stabili i ricavi e gli utili del calcio europeo. Ai
tifosi non piacerà: la riforma finanziaria renderà il pallone più
prevedibile di quanto già non sia. La cosiddetta equity story dei
club diventerebbe tuttavia certo più appassionante per gli
investitori. E per la borsa.
red
fine
MF-DJ NEWS
0508:51 dic 2022
(END) Dow Jones Newswires
December 05, 2022 02:52 ET (07:52 GMT)
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