Bitcoin: verso l'ultima spiaggia (Mi.Fi.)
13 Marzo 2023 - 09:37AM
MF Dow Jones (Italiano)
"Stavo nelle cripto ma ora sono interessato all'Intelligenza
Artificiale", ha twittato Elon Musk lo scorso 4 marzo. Tra
virgolette, è una citazione, non è il suo pensiero. Il ceo di Tesla
e SpaceX si trasforma in un Ennio Flaiano della Silicon Valley e si
prende gioco delle mode dei nerd e di chi si atteggia a tale. Resta
il fatto che ha colto il sentiment del momento: le cripto sono roba
vecchia, tutto l'hype è per l'AI. Non per niente negli ultimi sette
giorni il Bitcoin ha perso il 12,4%, scendendo sotto quota 20.000
dollari (nella serata di venerdì 10 cercava senza troppo
convinzione di riagganciare questo livello).
Ed ecco emergere il dubbio: Elon è sempre ironico, ma se anche
lui pensasse davvero che le cripto sono ormai oggetti da
antiquariato? In fondo da tempo non twitta a loro favore. Certo,
scrive MF-Milano Finanza, passare il tempo a fare l'esegesi dei
tweet di Musk mentre sembra crollare tutto per l'ennesima volta è
un chiaro segno di disperazione. Negli ultimi giorni il settore
cripto, la cui capitalizzazione è tornata sotto i 1.000 miliardi di
dollari, ha subito nuovi durissimi colpi. Quello più duro è stata
la chiusura di Silvergate, nata come banca tradizionale e che nel
2014 ha cominciato a focalizzare il suo business sulle cripto.
La sua funzione principale era quella di fare da ponte tra il
mondo cripto e la finanza tradizionale. Per comprare bitcoin in un
exchange si depositavano dollari in un conto di Silvergate, quando
si vendeva per tornare in valuta fiat il tutto avveniva ancora
tramite la banca californiana. Come ha spiegato Marcus Thielen,
capo della ricerca di Matrixport, "senza la capacità di incanalare
la valuta fiat nel mondo delle criptovalute, queste ultime sembrano
più uno stagno tranquillo che una fontana scintillante di
innovazione". Secondo Clara Medalie, direttrice della ricerca di
Kaiko, la messa in liquidazione di Silvergate rischia di riportare
il mondo cripto "a prima del 2017, quando l'industria faticava ad
avere relazioni con le banche" con la conseguenza che "gli
investitori istituzionali avranno più difficoltà a immettere
capitali nei mercati delle criptovalute, il che potrebbe avere un
impatto più ampio sulla liquidità e sull'efficienza di questo
settore". Insomma, qualcuno negli Stati Uniti deve prendere al più
presto il posto di Silvergate.
Secondo un report di JPMorgan, firmato Nikolaos Panigirtzoglou,
"sostituire questa rete istantanea per l'elaborazione di depositi e
prelievi in dollari tra i partecipanti al mercato delle
criptovalute sarà una sfida ardua a causa della "generale
riluttanza delle banche tradizionali a impegnarsi con le società di
criptovalute dopo il crollo di Ftx e viste le elevate pressioni"
sul fronte della regolamentazione. Per Panigirtzoglou, è
inevitabile che almeno alcuni dei servizi di pagamento e custodia
forniti fino a ieri da Silvergate migrino verso altre banche come
Signature Bank, Provident Bancorp, Metropolitan Commercial Bank e
Customers Bancorp. Alcuni ex clienti di Silvergate stanno migrando
a Signature Bank, ma la sua capacità di sostituire Silvergate,
sottolinea il report di JPMorgan, sarebbe probabilmente limitata a
causa della pressione del mercato e delle normative per ridurre i
rischi legati alle criptovalute.
Non a caso Signature Bank ha già reso noto di voler ridurre la
sua dipendenza dai depositi dei clienti di asset digitali. Secondo
JPMorgan, quindi, l'ingresso di nuovi istituti di deposito sembra
al momento improbabile, a causa dell'accresciuto controllo
normativo sui rischi delle criptovalute. Non per niente nei giorni
scorsi la stessa JPMorgan ha deciso di tagliare i rapporti con
Gemini, la borsa di criptovalute dei gemelli Cameron e Tyler
Winklevoss scottata dal fallimento di Genesis.
La stretta regolatrice è in pieno corso negli Stati Uniti. Ne è
un esempio la mossa del Dipartimento di Giustizia Usa e della Sec,
che hanno presentato ricorso in appello contro la decisione del
tribunale fallimentare di New York di dare il via libera
all'acquisizione per 1 miliardo di dollari degli asset di Voyager
Digital, banca cripto finita in bancarotta, da parte di Binance US,
la branca statunitense di Binance, la borsa di criptovalute più
grande del mondo. Mentre il presidente della Federal Reserve,
Jerome Powell, ha ammonito che "le istituzioni finanziarie
regolamentate dovrebbero essere piuttosto caute nell'agire nello
spazio cripto" visti i fallimenti e le truffe che hanno scosso il
settore nell'ultimo anno.
Insomma, sembra proprio di capire che negli Stati Uniti ci sia
il rischio che le banche tradizionali taglino i ponti col settore.
Una situazione, osserva il report di JPMorgan, che "non lascia
molte opzioni agli investitori istituzionali di criptovalute negli
Stati Uniti, in particolare per i partecipanti al mercato più
piccoli e meno affermati, che potrebbero cercare servizi bancari in
Europa o altrove". Ma se gli Stati Uniti soffocassero davvero il
settore cripto, dove si potrebbe emigrare? Ci sarebbe El Salvador,
il primo Stato al mondo ad adottare il bitcoin come valuta legale.
Ma è un Paese fragile, che Washington può spazzare via in un
attimo.
Alternative? Un filo di speranza arriva dalla notizia che
Alameda Research, il braccio di investimento di Ftx, la borsa
cripto Usa fallita lo scorso novembre, ha concluso un accordo da 45
milioni di dollari in contanti per vendere la sua partecipazione in
Sequoia Capital al fondo sovrano di Abu Dhabi. Sia chiaro, il
settore cripto è solo una piccola parte degli investimenti di
Sequoia. E per Abu Dhabi 45 milioni di dollari sono noccioline.
Però è vero che gli Emirati Arabi Uniti, in particolare Dubai, non
nascondono l'ambizione di diventare un cripto hub. Se davvero
Washington decidesse di farla finita con il bitcoin, il sogno
potrebbe diventare realtà.
red
fine
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