Le prossime sei settimane saranno decisive per la privatizzazione di Mps. Non solo perché, a pochi mesi dalla scadenza del bonus sulle dta, il consolidamento bancario è destinato a entrare nel vivo, ma anche perché il Tesoro (primo azionista al 64%) sembra intenzionato a smarcare il dossier in tempi rapidi.

Tanto più che la richiesta di una proroga rispetto alla scadenza di fine anno appare oggi tatticamente poco conveniente per il socio pubblico, perché rischierebbe di far di nuovo arenare la partita. Per tutte queste ragioni la roadmap dell'exit potrebbe essere definita entro luglio, mese nel quale sono peraltro attesi anche gli esiti degli stress test dell'Eba.La strada maestra per il Tesoro (assistito da BofA Merrill Lynch e dallo studio Orrick) resta quella della cessione della banca a un solo compratore per preservare in tal mondo l'intero perimetro commerciale.

L'ipotesi di una privatizzazione in blocchi non rientrerebbe quindi tra le opzioni considerate oggi dall'azionista, sebbene alcune forze politiche locali e nazionali la caldeggino. Chi sarà il cavaliere bianco? La data room aperta nei mesi scorsi dalla banca e seguita dagli advisor Mediobanca, Credit Suisse, Bonelli Erede e Oliver Wyman è ancora deserta, eccezione fatta per il fondo Apollo che non sembra però molto caldo sul dossier. La partita è però da tempo nel radar di diverse banche a partire da Unicredit che, già sotto la gestione dell'ex ceo Jean Pierre Mustier, aveva avviato timidi contatti col Tesoro. Altri istituti di medie dimensioni nelle ultime settimane avrebbero avviato contatti con i consulenti del Mef per acquisire informazioni sul processo in corso. Prima di aprire una trattativa formale però il Tesoro dovrà smarcare alcuni problemi spinosi.

A partire da quello relativo ai quasi 10 miliardi di contenzioso legale che pende oggi sul Montepaschi. Il carico da novanta è stato posto nell'estate dalla Fondazione Mps che ha presentato una richiesta di danni da 3,8 miliardi. Per sciogliere questo nodo però ci sarebbero sul tavolo già diverse opzioni. Una parte delle cause (soprattutto quelle che riguardano le gestioni più recenti) potrebbe essere oggetto di accordi transattivi in modo da ridimensionare il petitum complessivo. Sulle altre posizioni la banca e il suo principale azionista potrebbero poi attivare due soluzioni, già parzialmente discusse con la Dg Comp di Bruxelles: o un premio assicurativo o una financial guarantee su un perimetro di rischi abbastanza ampio da rassicurare il compratore. Meno problematica appare la situazione sull'asset quality della banca senese a cui oggi restano un paio di miliardi di npl e un portafoglio consistente ma sostenibile di posizioni stage 2, cioè crediti in bonis che presentano però segnali di incremento di rischio. Il deconsolidamento di un ulteriore stock di crediti deteriorati per favorire la privatizzazione non viene quindi visto come un problema particolarmente serio. Semmai si tratta di capire se Unicredit, la banca con cui da mesi il Tesoro sta dialogando, romperà o meno gli indugi sul deal.

fch

 

(END) Dow Jones Newswires

June 04, 2021 02:17 ET (06:17 GMT)

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