Dal Tesoro alla Banca centrale europea, alla presidenza (attuale) di Societé Generale, passando per la guida di Sace e Snam, Lorenzo Bini Smaghi è economista esperto e conoscitore del mondo bancario. In questa intervista con MF-Milano Finanza sottolinea la necessità che nella Ue si creino campioni continentali nel settore del credito, per accompagnare all'estero le aziende europee, e sul debito italiano ammonisce: è sostenibile, ma la crescita è necessaria. Il Recovery un'opportunità per attuare davvero le riforme rinviate da troppi anni nella Penisola.

Domanda. Presidente, in Italia c'è grande apprensione per l'effetto del combinato disposto tra il possibile accumulo di nuovi npl dovuti alla crisi e l'entrata in vigore del calendar provisioning. L'ad di Mediobanca, Alberto Nagel l'ha definita «una bomba atomica», lei cosa ne pensa? Crede ci sia spazio per modifiche a livello europeo?

R. Non penso. Sebbene la normativa europea abbia spinto negli ultimi anni le banche italiane a ridurre il peso degli Npl più rapidamente di quanto avrebbero voluto, e ciò ha tuttavia consentito loro di affrontare la crisi attuale in una situazione di minor vulnerabilità. Peraltro, esiste ora un mercato liquido ed efficiente degli Npl, che consente alle banche di pulire più rapidamente i propri bilanci. Tornare indietro non ha senso.

D. Ma arriverà davvero una nuova valanga di crediti deteriorati?

R. E' tutto da vedere, d'altronde una parte di crediti è coperta dalla garanzia dello Stato. Chiedere ora un cambiamento della normativa non dà una buona impressione del sistema bancario e dopo gli sforzi fatti in passato rischia di creare un faro di attenzione dei mercati sulle banche italiani che può essere controproducente

D. Partono le fusioni nel settore creditizio, può essere una notizia positiva in chiave anti-crisi?

R. Le fusioni per ora stanno avvenendo soprattutto a livello nazionale, perché le sinergie sono più evidenti. L'Europa ha bisogno soprattutto di player continentali, che possano servire le imprese europee in tutto il mondo e operare sul mercato dei capitali in concorrenza con quelli americani. Tuttavia, le condizioni per delle fusioni transfrontaliere sono ancora complesse.

D. Intanto dall'Europa l'Italia riceverà fino a 209 miliardi da spendere nei prossimi anni per la ripresa. Su cosa puntare per non disperderli?

Risposta. Bisogna usare i fondi europei per interventi che fanno aumentare la crescita potenziale dell'economia italiana. Si tratta dunque di investimenti in capitale umano, in infrastrutture, soprattutto digitali. Ma non basta. Come richiede il Next Generation Fund, questi interventi devono essere accompagnati da vere riforme, che consentano a questi investimenti di fare da moltiplicatore del reddito. Questa è la parte più difficile per l'Italia, dove le riforme non si fanno da anni. Tanto per citare un esempio, è inutile investire nel capitale umano, ad esempio le scuole e l'università, se non si migliora il rapporto con il sistema produttivo che consente di trasformare l'innovazione in creazione di posti di lavoro. Se si formano solo le persone, senza creare un rapporto con il territorio, alimentiamo solo l'emigrazione dei talenti italiani verso l'estero.

D. I denari europei comunque saranno in gran parte prestiti, quindi nuovo debito: c'è da preoccuparsi per il rapporto debito/pil che si potrebbe raggiungere?

R. Il debito con l'Unione europea è per definizione debito "buono", che verrà usato solo se ci sono progetti seri, approvati dalle istituzioni europee. Non mi preoccupa dunque il debito contratto con l'Europa, ma semmai quello con i mercati, che viene usato per finanziare spesa corrente, come nel caso dei tanti bonus. L'impatto di queste spese sulla crescita è ridotto, e il rischio è che il nuovo debito diventi non sostenibile.

D. Vede il rischio di un debito non sostenibile nel breve-medio periodo?

R. Nell'immediato le politiche Bce e i tassi bassi assicurano la sostenibilità ma se la crescita non ripartirà il peso di questo debito nel tempo rischia di farsi sentire.

D. Per ora il governo, nelle sue proiezioni, ha sempre puntato sull'avanzo primario rimettere in carreggiata il debito. E' sufficiente dal suo punto di vista?

R. L'avanzo primario è necessario, ma non basta. Negli anni recenti il surplus di bilancio, al netto degli interessi, non è stato sufficiente a consentire una riduzione del debito. Il motivo è che la crescita economica è troppo bassa e la poca credibilità delle politiche economiche ha determinato un premio di rischio superiore al tasso di crescita dell'economia. Se le riforme avranno successo nel sostenere una crescita più forte, sarà possibile ridurre il debito anche con un attivo primario minimo. In sintesi, se non si fanno le riforme per aumentare la crescita, ci vorrà poi più austerità per contenere il debito. L'austerità non ce la impongono gli altri, ma la nostra incapacità di riformare l'economia italiana.

D. Il mercato per ora sta dimostrando un buon interesse per le emissioni italiane, la tendenza potrà essere duratura?

R. Ciò è dovuto a vari fattori, tra cui un atteggiamento più cooperativo da parte del governo italiano nei confronti dell'Europa e la politica monetaria molto espansiva da parte della Bce. Se questi fattori continueranno, soprattutto il primo, e le azioni di politica economica saranno efficaci, non c'è motivo per cui i mercati debbano avere timori di investire in titoli di stato italiani.

D. Il ruolo dello Stato nell'economia sta crescendo di pari passo con la crisi sanitaria. Le ultime mosse del governo hanno coinvolto anche importanti società quotate, come Atlantia e Tim, che pensa di questo modo d'intendere il ruolo della mano pubblica?

R. L'Italia è uno dei paesi occidentali dove lo stato ha il peso più rilevante nell'economia, basta guardare alle prime aziende per capitalizzazione borsistica. Questo ruolo tenderà ad aumentare nel prossimo futuro, perché molte aziende avranno bisogno di iniezioni di capitali per far fronte alla crisi, e il mercato dei capitali è tuttora poco sviluppato in Italia e in Europa. L'intervento pubblico deve tuttavia seguire dei criteri chiari, in particolare per quel che riguarda la durata dell'intervento, la partecipazione alla governance e le prospettive di sviluppo. In altre parole, se l'obiettivo è quello di sostenere la crescita dell'azienda, con una partecipazione azionaria di tipo "passivo", senza ingerenze, e con l'idea di uscire appena possibile, questo tipo di intervento è complessivamente positivo per il sistema economico italiano.

D. Altrimenti?

R. Se invece l'intento è quello di evitare la ristrutturazione dell'azienda e di mantenerla in vita a tutti i costi, con continue ricapitalizzazioni per far fronte alle perdite - il modello Alitalia per intenderci - i soldi dei contribuenti sono usati male e creano un danno per la competitività del sistema italiano. Una ingerenza ancor maggiore dello stato rischia in prospettiva di creare dei problemi ti natura più ampia per la società italiana.

D. La crisi morde, per ora i licenziamenti sono bloccati per legge. Allo scadere dei divieti potrà davvero esserci un'emergenza lavoro secondo lei? E se si come poterne attutire l'impatto?

R. Bloccare i licenziamenti può sembrare utile nel breve termine perché consente di guadagnare tempo, soprattutto alle imprese. Ma se i licenziamenti sono solo rimandati, a perdere tempo saranno stati principalmente i lavoratori, che non avranno avuto nel frattempo l'opportunità di formarsi adeguatamente e di cercare altre opportunità lavorative. La cassa integrazione prolungata troppo a lungo crea una perdita di capitale umano per i lavoratori. Si deve invece investire in politiche attive, per aiutare i lavoratori a trovare nuove occupazioni. Si vede in altri paesi, come gli Stati Uniti, come si siano creati in poco tempo nuovi posti, consentendo di riassorbire rapidamente la disoccupazione. Senza adottare necessariamente la flessibilità estrema del mercato del lavoro statunitense, è necessario modificare rapidamente il sistema di welfare italiano per aiutare chi perde il proprio posto a trovarne un altro di pari dignità al più presto. L'intervento pubblico deve favorire anche la nascita e lo sviluppo di nuove imprese, cosa che in Italia non succede abbastanza.

D. Si è parlato tanto nei mesi scorsi del rischio di dover ricorrere a una patrimoniale per aiutare il governo a far tornare i conti pubblici, secondo lei è un'opzione che potrebbe avere qualche fondamento?

R. La patrimoniale è una soluzione una tantum, che non serve se non è accompagnata da misure strutturali, dal lato delle spese e delle entrate, che consentono di assicurare la sostenibilità del debito. Peraltro, se tale sostenibilità è assicurata, ed è credibile, non c'è bisogno di una patrimoniale.

red

MF-DJ NEWS

2108:17 set 2020

 

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September 21, 2020 02:19 ET (06:19 GMT)

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