"Il petrolio a 100 dollari al barile? Non azzardo previsioni. Dico solo che sarebbe negativo per tutti: per i consumatori, ma anche per noi produttori, tra instabilità dei mercati e prevedibile impatto sui consumi. E per l'ambiente, dato che, a quei livelli, molti tornerebbero al carbone. Ma riconosco anche che, al di là della fiammata di ieri dopo le decisioni Opec, le condizioni di mercato possono spingere verso prezzi ancor più sostenuti".

Lo ha detto al Corriere della Sera l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi, dopo aver firmato un accordo con l'Undp, il programma di sviluppo dell'Onu per l'estensione dell'impegno della multinazionale energetica nello sviluppo economico dell'Africa e mentre il presidente americano, Donald Trump, accusa l'Opec che ha respinto la sua richiesta di mettere più petrolio sul mercato per far calare i prezzi, dal palco dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

"Al di là dei numeri -alcuni di quelli che oggi vedono il petrolio a 100, qualche anno fa lo prevedevano a 20- è indubbio che nel tempo si è ricreato uno squilibrio che fa salire i prezzi. Da un lato cresce la domanda legata alla mobilità e all'industria. Ma il maggior fabbisogno -ha continuato Descalzi- non viene soddisfatto da una maggiore offerta. Anzi, gli investimenti nell'estrazione calano: eravamo a 800 miliardi di dollari l'anno nel 2013-14, ora siamo scesi a circa 400. Tenga conto che ne servirebbero 600 solo per combattere il declino naturale dei giacimenti petroliferi".

Secondo Trump è colpa dell'Opec, altri dicono che è anche la sua politica delle sanzioni, come quelle all'Iran, a far crescere i prezzi. "L'anno scorso -ha spiegato l'a.d. di Eni- abbiamo avuto un deficit di produzione mondiale di circa 500mila barili al giorno in media annua. Le sanzioni all'Iran potrebbero sottrarre altri 700 mila barili. L'America è ai limiti con la sua produzione e allora Trump aveva chiesto all'Opec di compensare aumentando l'offerta di greggio. L'organizzazione ha opposto un rifiuto che ha fatto impennare i prezzi".

"Vedremo quale sarà la reazione dell'Opec se i prezzi punteranno ai go dollari. Senza contare che prezzi più elevati rallenterebbero lo sviluppo delle economie con danni anche per l'area Opec: quello sarà il momento della verità", ha continuato.

Descalzi ha poi spiegato che "scegliendoci dopo una approfondita due diligence, (l'analisi di chi siamo, di cosa facciamo e di come lo facciamo in quella parte del mondo), come primo partner energetico globale delle Nazioni Unite per lo sviluppo dell'Africa, l'UNDP dà credibilità ai nostri sforzi". I problemi giudiziari "li hanno anche gli altri grandi operatori. E, comunque, sulla questione dell'Algeria -ha messo in evidenza il manager- siamo stati assolti. Aspettiamo per il resto, e siamo fiduciosi. Intanto da parecchi anni noi investiamo in 14 Paesi africani, dall'Angola alla Nigeria passando per Congo e Mozambico, con l'obiettivo di affiancare all'attività estrattiva programmi di sostegno delle economie e delle comunità locali: centrali elettriche, impianti eolici, solare fotovoltaico per dare energia alle famiglie e alle imprese di vari Paesi. Ma anche investimenti in agricoltura e in riforestazione. Fin qui abbiamo fatto tutto con le nostre risorse, salvo che nel Ghana dove c'è stato un contributo della Banca Mondiale. Il riconoscimento dell'Onu ci apre, ovviamente, orizzonti più vasti".

Alla domanda se sia questo il modo giusto per far crescere questo continente e ridurre i flussi migratori verso l'Europa, "da anni si parla di interventi per l'Africa, di banche etiche, ma al dunque le risorse non arrivano. Noi abbiamo fatto investendo da soli, senza aspettare crediti e risorse. Le faccio l'esempio di una regione della Nigeria, il delta del fiume Niger, dove, con un impegno iniziato a fine anni `8o, abbiamo portato una popolazione di 600 mila persone a sviluppare attività agricole che prima non esistevano. Una comunità che oggi -ha sottolineato- produce, ha un reddito e una sua struttura sociale radicata. Servono molte di queste iniziative: un piano pubblico/privato che offra capacità di progettazione e costanza nell'attuazione dei programmi".

"In Libia -ha proseguito Descalzi- si deve arrivare a un'intesa interna tra fazioni. Non entro in questioni diplomatiche, ma deve essere chiaro che tra noi e Total non ci sono tensioni: lavoriamo insieme in mezzo mondo, dalla Nigeria all'Egitto, dall'Angola alla Gran Bretagna. Total è già presente in Libia nel petrolio, noi soprattutto nel gas, con poco meno di 300mila barili al giorno di produzione. Lavoriamo quotidianamente gomito a gomito, pur nello spirito di una sana concorrenza".

Alla domanda se gli investitori internazionali che hanno scommesso sull'Eni sono allarmati per le politiche del governo, "no -ha spiegato l'a.d.- anche perché il 95% della nostra attività si svolge fuori dall'Italia. Col governo abbiamo rapporti costruttivi, positivi, soprattutto con lo Sviluppo economico per l'economia circolare e il sostegno alle energie rinnovabili, col ministero dell'Interno per la Libia e le questioni di sicurezza, ma anche con 'Economia e col ministro Savona per i rapporti con l'Europa".

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September 26, 2018 02:48 ET (06:48 GMT)

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