Carlo De Benedetti ha attraversato 50 anni di storia

industriale, finanziaria ed economica italiana, da quando nel 1972 rilevò,

assieme al fratello Franco, la Gilardini avviando un lungo percorso che lo

ha portato ad affermarsi come uno degli imprenditori più influenti del

Paese, anche in chiave politica grazie alla forza del quotidiano la

Repubblica (gruppo Gedi). In questa intervista esclusiva concessa a

MF-Milano Finanza, De Benedetti affronta i temi del «nanismo» di Borsa

Italiana e delle prospettive d'integrazione internazionale per lo sviluppo

della piazza finanziaria, dello scetticismo dei grandi gruppi ad aprirsi

al mercato, in particolare a Milano, della posizione sempre più

ingombrante di Cdp, dell'interventismo dello Stato in epoca post pandemica

e del ruolo della politica e di Confindustria.

Domanda. Ingegner De Benedetti crede che per ridare slancio al sistema

finanziario italiano il progetto di riacquisto di Borsa Italiana, seppure

in tandem con la francese Euronext, possa essere importante?

Risposta. Faccio una premessa. Oggi le borse che contano sono ben altre

rispetto a Milano o Parigi o Francoforte. I mercati rilevanti sono New

York, Tokyo, gli indici cinesi e Londra. Per essere un soggetto

significativo, per sostenere i necessari investimenti tecnologici è

necessario, ma non sufficiente, aggregare borse di minor rilevanza.

D. Ritiene che sia un'opzione valida quella proposta da Euronext con

Cdp?

R. Per crescere occorre aggregarsi.

D. Resta l'ormai cronico problema di Borsa: faticare ad attrarre grandi

aziende, escluse quelle a partecipazione statale e Fca. Come mai

industriali come Ferrero, i Barilla, i Caprotti o Giorgio Armani non

scelgono la quotazione, nonostante la notevole liquidità sui mercati?

R. Prima di tutto, la liquidità c'è sui mercati finanziari ma è a

disposizione delle grandi piazze borsistiche. Mentre in Italia c'è ma solo

per le aziende a maggior capitalizzazione, che non sono poi tante. Ma poi

mi chiedo: quale è l'interesse di un Barilla o di un Ferrero a quotarsi?

D. Che risposta si è dato?

R. Questi gruppi non hanno certo la necessità di reperire capitali, sono

aziende dotate di buona cassa. I denari potrebbero servire in caso di

acquisizioni di ampie dimensioni e di respiro internazionale. In questo

senso, le dimensioni di Piazza Affari non sono coerenti con le necessità

di liquidità che, in caso, queste aziende richiederebbero. Del resto anche

il listino di Parigi è piccolo e asfittico rispetto ai mercati globali,

benché in Francia grandi gruppi industriali quotati esistano da tempo. Ma

questo è un altro problema del sistema italiano ed è radicato nel mondo

finanziario locale da decenni.

D. Cosa ci frena come Paese e come listino?

R. Le ragioni sono molte: una di queste è che Mediobanca ha condizionato

per anni il mercato finanziario italiano. Enrico Cuccia non amava il

mercato, chi ha vissuto gli anni 70 e 80 sa bene quanto Cuccia abbia

condizionato il destino delle grandi imprese italiane in quegli anni.

D. Adesso pare che ci sia Cdp a dominare la scena: è su tutti i dossier

da Borsa ad Atlantia, alla rete Tim. Reputa giusto questo interventismo?

R. Una delle conseguenze sul piano economico della pandemia, e non solo

in Italia, è che la presenza dello Stato nell'economia sarà crescente.

D. Lo ritiene corretto?

R. Più che altro è inevitabile. C'è da augurarsi che Cdp si concentri su

investimenti che servono allo sviluppo del Paese, lasciando perdere

prosciutti e affini. In Francia, l'omologo di Cdp, la Caisse des Dépôts et

Consignations non farebbe mai investimenti di quel tipo.

D. L'operazione in corso con Autostrade per l'Italia non è strategica,

non ha una logica?

R. Mi pare un dossier assai complesso e non sono in grado di esprimere

un'opinione che tenga conto di questa complessità. Preferirei una

soluzione di mercato anche tenendo conto degli importanti investitori

esteri presenti nel capitale di Aspi.

D. Cioè: ci sarebbe un ancor minore interesse degli stranieri per

l'Italia?

R. Se la vicenda che riguarda Atlantia e il suo principale asset

industriale finisse con una forzatura da parte dello Stato su un'azienda

quotata ciò sarebbe un pessimo esempio che potrebbe scoraggiare gli

investimenti esteri dei quali, invece, abbiamo un assoluto bisogno per

ripartire.

D. Un simile contesto è forse frutto anche di scelte politiche non

corrette?

R. Diciamo che i governi oggi devono avere una priorità: definire

progetti concreti in linea con quelle che sono le indicazioni di Next

Generation EU. Perché gli investimenti devono essere definiti e

programmati a favore delle generazioni future. In tutta onestà, non ho

visto nulla in questa direzione da parte dell'esecutivo italiano. Ho visto

solo una partenza all'incontrario.

D. In che senso?

R. È stato chiesto ai ministeri cosa avevano nei cassetti. Sono venuti

fuori richieste per 600 miliardi che non sono certo compatibili con i 200

miliardi a disposizione. Ma sono progetti che non hanno un disegno

strategico alle spalle, sono una tantum. Manca un piano di riformulazione

del Paese, di cura di una malattia che dura da oltre dieci anni: quella di

un'economia che non riesce a crescere. Serve una visione seria e concreta

delle necessità delle nuove generazioni. Un tema che, invece, è totalmente

assente nella programmazione degli input e delle strategie del governo.

D. Non dovrebbero essere gli industriali a lanciare segnali, a fare

proposte?

R. Il nuovo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, aveva iniziato il

mandato con un tono sbagliato. Non si può dialogare con un governo

sostenendo che i politici fanno più danni del Covid-19. In occasione

dell'Assemblea, mi è sembrato che abbia incominciato a correggere il tiro.

Glielo dico da ex presidente degli Industriali di Torino e del Piemonte e

da ex vicepresidente per otto anni, della stessa Confindustria.

D. Cosa è successo all'associazione in questi anni?

R. Da quando Fiat - per non sostenere da sola il principale onere del

costo di Confindustria - ha insistito per farvi entrare aziende a

partecipazione statale, la natura stessa di Confindustria è cambiata.

D. È colpa della politica?

R. Non direttamente, ma certamente attraverso la presenza di aziende a

partecipazione statale, lasciando il campo a lobby formate da

professionisti di Confindustria che hanno condizionato l'elezione dei

presidenti. Pensi solo a quando si candidò Vacchi (Alberto Vacchi,

azionista e numero uno di Ima, ndr) e gli venne preferito Vincenzo Boccia,

si è palesata in maniera clamorosa la determinante presenza di queste

lobby.

D. In questo contesto lei cosa sta facendo? Dove investe?

R. Dopo aver completato con grande soddisfazione la dismissione degli

investimenti immobiliari fatti in passato a Parigi, mi sono concentrato su

investimenti del settore tecnologico sia in Israele sia in California.

D. Su cosa si concentra?

R. Non ho più alcun interesse industriale ed economico, se non

l'amministrazione del mio patrimonio. Sono investito principalmente nel

settore tecnologico. Ho interessi in aziende israeliane e americane,

scelta coerente con la mia filosofia di vita. Ho in portafoglio società

quotate e startup attive nella cybersecurity, che è un settore di forte

interesse e in crescita, nel biomedicale e nel software.

D. Poi è tornato a fare l'editore. Come mai?

R. Domani è una iniziativa che sta andando molto bene e dimostra che

c'era lo spazio per un giornale diverso, che non ha la cronaca, non ha lo

sport e che non si mette sul livello dei grandi giornali nazionali. Ma è

un giornale di idee, indipendente. Che vuole raccontare. I primi 15 giorni

abbiamo venduto una media di 35 mila copie al giorno. Ma quello che

contano sono gli accessi digitali. Il futuro della testata dipende dagli

abbonamenti online. È il futuro di tutti gli editori.

D. Peccato che il digitale non dia poi grandi ritorni economici, in

Italia...

R. Sono stati commessi errori evidenti, anche da me, quando si pensava

che l'online dovesse essere gratis perché internet era free. Si sono persi

per lunghi anni i ricavi potenziali del digitale. Ora abbiamo il vizio

delle offerte a prezzi di saldo. Offrire l'abbonamento a 1 euro al mese è

prendere in giro se stessi.

red

MF-DJ NEWS

0509:06 ott 2020

 

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October 05, 2020 03:07 ET (07:07 GMT)

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