Generali Ass.: l'accordo è possibile (Mi.Fi.)
20 Settembre 2021 - 09:21AM
MF Dow Jones (Italiano)
La battaglia delle Generali non sarà solo una partita cruciale
per gli equilibri nella Galassia del Nord, ma anche un banco di
prova per la corporate governance italiana. Sul tavolo c'è
l'efficacia del sistema monistico che negli ultimi anni è stato
abbracciato da molte grandi società e che fa del cda il mediatore
tra le istanze degli azionisti. Ma per Stefano Caselli, prorettore
per gli Affari Internazionali della Bocconi e esperto di
intermediari finanziari, a Trieste un compromesso è ancora
possibile e il board lavorerà per raggiungerlo.
Domanda. Caselli, che problematiche di governance solleva la
vicenda Generali?
Risposta. Pur senza entrare nel merito delle diverse posizioni
espresse dai soci, il tema centrale mi sembra il ruolo giocato dal
cda uscente con la presentazione dalla lista. Si tratta di una
prassi diffusa a livello internazionale che, se l'indipendenza
degli amministratori viene utilizzata al meglio, ha il pregio di
ricomporre le divergenze tra gli azionisti. Sia chiaro: in una
grande società è fisiologico che i soci esprimano visioni diverse,
ma il ruolo del board deve proprio essere quello di compiere una
mediazione attraverso la lista. L'idea che mi sono fatto è che in
Generali ci sia ancora spazio per trovare una composizione di
questo tipo.
D. Tra i soci di Generali e di Mediobanca ci sono famiglie e
imprenditori. Primo tra tutti Leonardo Del Vecchio. Un'anomalia in
un sistema finanziario europeo dominato dal modello della public
company?
R. Non sarei così drastico. Il 40% degli azionisti di Generali
sono investitori istituzionali con un marcato profilo
internazionale e lo stesso vale per Mediobanca. In aggiunta la
normativa europea prevede che anche famiglie e imprenditori possano
detenere partecipazioni rilevanti nelle istituzioni finanziarie,
purché non abbiano posizioni di controllo. Non dimentichiamo che la
salita di Del Vecchio in Mediobanca è stata autorizzata
dall'autorità di vigilanza. D'altra parte non abbiamo a che fare
con un piccolo imprenditore, ma con una figura di grandissima
statura che ha dato vita a un gruppo di dimensioni globali. Una
figura che per giunta si è impegnata a non influenzare la
governance e la strategia di Mediobanca.
D. Non trova però singolare che oggi Del Vecchio sia un
investitore silenzioso in Mediobanca e un attivista nella
partecipata Generali?
R. Se Del Vecchio volesse imporre unilateralmente la propria
strategia sulle Generali, ciò costituirebbe certamente un'anomalia
per un intermediario di quelle dimensioni, ma per ora osservo solo
una dialettica tra gli azionisti. Abbiamo bisogno di tempo per
capire la possibile evoluzione della vicenda.
D. Nel caso Generali è stato sollevato il problema
dell'indipendenza degli amministratori. Alla qualifica formale non
sempre corrisponde un'indipendenza fattuale. A suo avviso quanto è
grave il problema In Italia?
R. È stato già stato fatto molto per garantire queste
caratteristiche, ma vedo ancora due temi per alzare l'asticella: il
primo è evitare che, oltre a indossare la maglietta della società,
l'amministratore tenga anche la maglietta di provenienza. In
secondo luogo nell'individuazione dei profili occorre trovare un
punto equilibrio tra indipendenza e esperienza. Spesso la ricerca
dell'indipendenza a tutti i costi porta nei board professionisti
capaci, ma non attrezzati per quel ruolo.
D. Una governance litigiosa può danneggiare una società?
R. L'evidenza scientifica non c'è o, meglio, c'è solo quando il
conflitto ha già debordato. Di sicuro però la litigiosità è molto
dannosa perché fa perdere tanto tempo, non contribuisce allo
sviluppo della società e toglie energie al ceo. Ai cda serve
dialettica, non litigiosità.
D. A parte i casi che abbiamo menzionato, le grandi istituzioni
finanziarie italiane si stanno trasformando in public company.
Un'evoluzione virtuosa?
R. Più che altro inevitabile. Le istituzioni finanziarie sono un
bene pubblico e hanno raggiunto dimensioni tali che possono
appartenere soltanto al mercato. Specie alla luce degli eventuali
fabbisogni di capitale. Tutto questo dà ancora più responsabilità e
importanza al cda. Voglio però osservare che in Italia è stato
liquidato troppo alla svelta il sistema dualistico. Forse nelle
public company una riflessione su quel modello andrebbe
riaperta.
D. Al contrario oggi, da Intesa a Unicredit fino a Mediobanca,
si è imposto il modello monistico che ha molti sostenitori ma anche
qualche critico. Qual è la sua posizione?
R. Le luci sono molte a partire dal valore di sintesi che può
avere la lista del cda. Tra le ombre c'è il rischio che il board
approfitti del sistema per perpetuare la propria presenza al
vertice della società. Ecco perché un ricambio costante delle
candidature è sempre auspicabile. L'altro punto critico si presenta
in caso di contrapposizioni tra il cda e gli azionisti. Questi
attriti possono minare l'autorevolezza del vertice che finisce per
perdere la propria funzione di mediatore e diventare parte attiva
dello scontro. Quando si presentano situazioni di questo genere, la
lista non andrebbe presentata e il board dovrebbe lasciare spazio
agli azionisti.
D. Ancora una volta, uno scenario che potrebbe verificarsi in
Generali?
R. Come dicevo, in Generali vedo spazio per una convergenza tra
le diverse visioni in campo. È mia convinzione che questo obiettivo
possa essere raggiunto.
D. Si sta aprendo una nuova stagione di consolidamento per il
settore bancario. Quali saranno i riflessi sui modelli di
governance?
R. Il modello di public company si imporrà in via quasi
definitiva. Più le istituzioni finanziarie diventano grandi e più
hanno bisogno di capitale, che può essere portato solo da una
pluralità di investitori. Prevedo anche un'attenzione sempre più
intensa sui requisiti, non solo formali ma anche sostanziali, degli
amministratori in termini di competenze e diversity. Ciò renderà
sempre più cruciale il ruolo dei cda, che saranno chiamati a
interfacciarsi costantemente con le autorità di vigilanza. In
particolare, sarà decisiva la figura del presidente che non avrà
solo un ruolo simbolico ma sempre di più dovrà essere il primus
inter pares e un interlocutore di altissimo livello per le autorità
di vigilanza. Infine, gioverebbe una riconsiderazione del
dualistico, che abbiamo accantonato in fretta e con una certa dose
di pressappochismo.
fch
MF-DJ NEWS
2009:05 set 2021
(END) Dow Jones Newswires
September 20, 2021 03:06 ET (07:06 GMT)
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