Capitali, competenze, crescita. Sono i tre ingredienti della
ricetta di Claudio Costamagna per vincere con le piccole-medie
imprese italiane. Lasciata Cassa Depositi e Prestiti a luglio 2018,
l'ex banchiere di Goldman Sachs ha ripreso l'attività di consulenza
attraverso la boutique CC Soci, senza disdegnare investimenti in
prima persona. In meno di un anno Costamagna ne ha già realizzati
quattro: Tiscali, Expert System, New Oxidal e da ultimo Fope. Mira
a ripetere il successo di AAA, startup biotech che Costamagna e
altri soci hanno fatto crescere, quotato a Wall Street e infine
ceduto a Novartis per 3,9 miliardi di euro.
Domanda. Fibra, intelligenza artificiale, alluminio,
gioielleria: qual è il filo conduttore di queste operazioni?
Risposta. Il fil rouge è la filosofia di investimento. Le
eccellenze in Italia non mancano e dalla mia ho la fortuna di aver
costruito in 30 anni di carriera un network di esperti di primo
livello in ogni campo. Quando CC Soci scova un'opportunità,
cerchiamo le persone più competenti in quel settore come soci
finanziari ed esperti di settore e insieme prima valutiamo
l'operazione e poi, a deal realizzato, aiutiamo il management a
valorizzarla.
D. Che cosa ha visto in Fope, il suo ultimo investimento?
R. Ci è parsa fin da subito un'azienda bella e ben gestita,
tanto che abbiamo fatto pochissima due diligence. L'azienda sta
crescendo bene: è stata quotata nel 2016 a 2,9 euro e ora vale
9,25. Ma siamo convinti che possa fare ancora un bel salto di
qualità lavorando su marchio, marketing e social.
D. Come procede il rilancio di Tiscali?
R. Abbiamo fatto una notevole opera di riduzione dei costi e il
bilancio del secondo semestre 2019 lo dimostrerà. Tiscali, del
resto, può contare anche sulle competenze nel settore dei due
esperti che hanno investito con me assieme ad altri soci
finanziari: Alberto Trondoli, ex ad di Metroweb, e Manilo Marocco,
ex consigliere di Fastweb e operatore di private equity di
successo.
D. Immagina un'aggregazione in tempi brevi per Tiscali?
R. Ora bisogna puntare sulla crescita con pubblicità, nuovi
servizi ed eventuali operazioni straordinarie. Il marchio è forte
fra i giovani e in Centro Italia, ma in un settore così competitivo
serve molta capacità di investimento: il costo di acquisizione dei
clienti è alto e non è facile mantenerli. Comunque sono tranquillo
rispetto al business plan messo a punto da Renato Soru; sono sicuro
che nel prossimo futuro assisteremo a un ulteriore consolidamento
nel settore tlc.
D. Quanto spazio c'è ancora nel portafoglio di CC Soci?
R. Tutto dipende dalle opportunità e dal trovare i partner
giusti che aiutino l'azienda a crescere, internazionalizzarsi e
managerializzarsi. Con l'aiuto di Diego Piacentini e di Francesco
Caio, per esempio, siamo riusciti a portare in Expert System come
ceo un manager di grande esperienza come Walt Mayo, ex numero due
di Endeavor, con esperienze in Dell e nella Segreteria di Stato
Usa. Ci aiuterà molto dal punto di vista commerciale.
D. Il target è sempre la pmi?
R. Quello delle pmi è un mercato molto interessante perché ci
sono aziende di eccellenza mondiale e meno concorrenza da parte di
grandi complessi industriali o fondi di private equity. Inoltre è
più facile prendere un'azienda che fattura 30 milioni e portarla a
100 piuttosto che una da 100 milioni e portarla a 1 miliardo. Per
un investitore conta il moltiplicatore, non il risultato. Senza
contare il divertimento di far crescere una realtà
medio-piccola.
D. Esclude quindi operazioni di maggiori dimensioni?
R. Sul mercato delle aziende più grandi o si ha una conoscenza
specifica e un rapporto di fiducia con i proprietari oppure è
difficile avere la meglio sulle disponibilità finanziarie della
concorrenza. Detto questo, non escludo che capiti l'occasione di
investire in una grande impresa, ma sopra i 50 milioni di ebitda
occorre disporre di una struttura che permetta di mettersi assieme
ad altri partner finanziari. Anche per questa ragione stiamo
valutando assieme ad altri soci di costituire una società di
capitali che consenta di avere le risorse necessarie a portare a
termine le operazioni che si dovessero presentare.
D. È un rischio investire nell'Italia a crescita zero?
R. Come per le pmi, anche per la crescita del Paese servono
capitali, internazionalizzazione, managerializzazione. Bisogna poi
che impariamo a rispettare le nostre capacità e a valorizzare le
nostre realtà straordinarie come sistema e non nella loro
individualità. Il problema della cultura famigliare delle imprese è
ormai in larga parte superato. Negli ultimi dieci anni
l'automatismo della successione fra padri e figli non è più dato
per scontato ed è stato messo in discussione sia dagli uni che
dagli altri. È raro che un'azienda si perda nel passaggio
generazionale perché spesso subentra il mercato, che è diventato
più sofisticato e affollato di operatori. Va sfruttato.
D. Dall'estero c'è ancora interesse per il Paese?
R. Fino a qualche tempo fa l'Italia era molto attraente per
l'estero. Quando ero presidente di Cdp ogni giorno avevo un
incontro con un fondo di real estate, infrastrutturale, di private
equity o di debito. Negli ultimi anni questo interesse si è un po'
affievolito per le turbolenze della politica. Resta il fatto che
l'Italia è ricca di opportunità: è un mercato più aperto agli
investitori stranieri rispetto alla Germania e meno esplorato di
quelli francese e inglese. L'importante è non essere provinciali e
aprirsi alle fusioni transazionali, come ha fatto Fca con Psa o
Luxottica con Essilor.
D. Non si corre così il rischio di venire marginalizzati e di
perdere i campioni industriali nazionali?
R. Il concetto di campione nazionale è superato. Per competere
su mercati globali con i colossi americani o cinesi non è più
sufficiente essere leader italiani, olandesi o francesi, occorre
essere europei e servono campioni europei. Come italiani potremo
dare un contributo come mercato e come persone: basta vedere quanti
italiani sono stati scelti come ceo di aziende straniere.
D. A quali Paesi dovrebbero guardare le grandi imprese
italiane?
R. In un mercato globale le dimensioni sono sempre più
importanti e la nazionalità dei soci sempre meno. Fra Italia e
Francia, per esempio, ci sono almeno 20 situazioni di aziende che,
se aggregate, darebbero vita a un campione europeo. A volte siamo
più forti noi, a volte loro. Vogliamo fare un piano fra governi per
mettere insieme i colossi nazionali per creare campioni europei in
grado di competere con quelli Usa? Da soli non si va da nessuna
parte.
red
(END) Dow Jones Newswires
March 02, 2020 02:39 ET (07:39 GMT)
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