È accesa, e si vede, la luce in fondo al tunnel che l'orologeria svizzera ha imboccato con lo scoppio del Covid. Un tunnel, scrive MFF, che ha significato una diminuzione delle esportazioni del 22% nel 2020, simile a quella innescata dalla recessione post Lehman brothers.

Numeri pesanti per un settore che vende all'estero quasi il 95% della produzione. Ma la luce c'è. Nei primi nove mesi del 2021 il valore dell'export ha toccato 16,1 miliardi di franchi svizzeri, +1% rispetto allo stesso periodo del 2019, trainato Cina e Stati uniti cui sono state riservate esportazioni per 2,2 miliardi ciascuno. Ma non tutti i marchi vedono quella luce brillare con la stessa intensità.

La ripresa riguarda principalmente gli orologi di altissima gamma, oltre i 7.500 franchi, una fascia prezzo che nel 2020 costituiva quasi il 70% del valore dell'export di segnatempo svizzeri. Un trend destinato, pare, a proseguire, contribuendo a un processo di polarizzazione già in atto che sta portando a un'industria orologiera a due velocità. È in atto una progressiva concentrazione verso pochi marchi, ai quali vanno in gran parte i benefici della crescita dell'industria. Secondo quanto emerge da un'analisi di Morgan Stanley e LuxeConsulte, nel 2019 Rolex, Patek Philippe, Audemars Piguet e Richard Mille hanno totalizzato insieme circa 9 miliardi di franchi di fatturato, dividendosi il 35% del mercato e registrando quasi il 55% degli utili del settore.

La crisi pandemica ha rafforzato questa tendenza, in base alla regola elementare per cui chi acquista nei periodi di incertezza si orienta su valori sicuri. Gli orologi di questi marchi sono dunque sempre più dei prodotti d'investimento, con valutazioni in costante crescita sul mercato secondario. Se da un lato hanno un'altissima qualità e una riconoscibilità sicura, dall'altro sono degli «assegni in bianco»: acquistarne uno significa avere in mano un bene di sicura (e importante) rivalutazione.

In questa dinamica, a soffrire sono i marchi appartenenti ai grandi gruppi. Nel 2019, i quattro principali, Swatch group, Richemont, Lvmh, Kering, totalizzavano il 55% del fatturato globale, pari però al 43% degli utili. Sicuramente alcuni di essi hanno partner distributivi molto forti nel Far East, dove potranno giocare meglio la partita della ripresa, facendo leva anche sull'elevata brand awareness di cui alcuni marchi godono laggiù: pensiamo, per esempio, a Cartier (Richemont), Hublot ( Lvmh), Longines e Omega (Swatch). Di certo, secondo LuxeConsult, il peso del marchio sarà sempre più prevalente rispetto al prodotto, come accade anche in altri settori del lusso; in questo senso, la possibilità di supportarlo con campagne pubblicitarie globali diventerà un fattore chiave.

Che ruolo avranno i marchi più piccoli? Se gli atelier indipendenti non dovrebbero avere problemi, i brand di media o bassa gamma, che producono vendono sotto i 200 franchi, potrebbero soffrire. Il volume di produzione di questi segnatempo è calato di oltre 12 milioni di pezzi negli ultimi 10 anni e la discesa pare destinata a proseguire. Inoltre, in questa fascia è sempre più forte la concorrenza degli orologi connessi e dei segnatempo in licenza ai grandi marchi della moda, contro cui i piccoli non giocano ad armi pari. Insomma, per qualcuno la luce potrebbe essere quella del treno in arrivo. Una notizia non bella per l'intero mercato.

red/ann

 

(END) Dow Jones Newswires

December 02, 2021 03:33 ET (08:33 GMT)

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