Nel suo recente saggio Aristocrazia 2.0, la nuova élite per salvare l'Italia, Roger Abravanel aveva messo a confronto Telefonica e Telecom post privatizzazione. «Dopo la privatizzazione nel 1997, la capitalizzazione di Telecom era il doppio di Telefonica: nel 2019, prima del Covid era scesa a meno di un quarto». Ora la market cap di Tim è salita, per effetto dell'annuncio dell'americana Kkr di essere interessata a un'offerta pubblica sul 100% di Tim. Ma la differenza è ancora tanta. Come finirà e come deve essere gestita l'ennesima offerta sulla società più profanata d'Italia, come l'ha definita l'ex capo di Sip, Vito Gamberale? Abravanel ne ha parlato agli spettatori di ClassCnbc e ai lettori di Milano Finanza.

Domanda. L'offerta di Kkr ha suscitato reazioni di forte sospetto se non di manifesta ostilità perché si presume voglia fare lo spezzatino della società, in particolare separando la rete. La tesi difensiva è che una Tim senza rete non sarebbe sostenibile economicamente e ne sarebbe la dimostrazione la presenza in Europa di molti ex monopolisti integrati, come Telefonica. Lei cosa ne pensa ?

Risposta. Sono reazioni che ignorano il contesto storico della azienda e dei suoi azionisti e la dinamica del mondo delle telecomunicazioni. Quasi tutti gli ex monopolisti si sono tenuti stretti la rete fissa investendo in fibra ottica e innovazione. La rete in monopolio è stato un ottimo business che ha anche permesso ai migliore di crescere all'estero e di investire in innovazione. Avete citato Telefonica, che è cresciuta in America Latina e la Spagna è diventato il paese europeo con la maggior diffusione di fibra ottica .

D. Non è stato però il caso di Telecom.

R. Dopo la privatizzazione del 1997 dei nocciolini duri di cui il direttore di Milano Finanza ha parlato la scorsa settimana, Telecom è stata conquistata con un gigantesco leverage buy out ostile, degno dei migliori fondi appunto come Kkr . Piccolo dettaglio: i fondi Lbo trasferiscono sulla preda il debito fatto per conquistarla. Si tratta di solito di aziende che generano liquidità in grado di ripagarlo, come nel settore alimentare. Ma le telecom di quegli anni avevano bisogno di enormi investimenti soprattutto per la banda larga. E infatti fuori dal mondo anglosassone, le ex monopoliste non potevano essere oggetto di scalate ostili. Mentre Telefonica, BT e altri ex monopolisti integrati trasformavano infrastrutture e servizi di mercato, Telecom cambiava dieci presidenti e otto amministratori delegati, i cda servivano a studiare le mosse dei contendenti e a controllare i conflitti di interesse tra azionisti e fornitori e a vendere a pezzi le sue attività internazionali (Francia, Germania, Turchia e Argentina). Intanto, l'attività commerciale e di servizio, sussidiata dall'infrastruttura monopolista sull'ultimo miglio anche se con la tecnologia vecchia del rame, non ha avuto incentivo all' efficienza, diventando così un riferimento negativo in termine di qualità della gestione operativa.

D. Qualche responsabilità ce l'ha anche l'autorità di regolamentazione?

R. Certo, il regolatore ha penalizzato l'ex monopolista più che in altri Paesi, con più competizione e tariffe che sono le più basse d'Europa. Gli azionisti sono state le vittime di questo disastro: dopo la privatizzazione, la capitalizzazione di Telecom era il doppio di Telefonica (30 miliardi di euro contro 10-15), nel 2019 prima del Covid era meno di un quarto (10 miliardi contro 30-35). Ma sono state vittime tutti gli italiani e le imprese, che non hanno potuto contare su una rete a banda larga all'altezza della economia della conoscenza del nuovo secolo.

D. Poi c'è stato l'ingresso dello stato italiano (prima con Enel poi con Cdp) nelle infrastrutture tlc, con Open Fiber.

R. Una mossa inevitabile, a seguito della penalizzazione per il Paese della mancanza di reti a fibra ottica per colpa della incapacità di Telecom di investire. Enel e Cdp hanno anche fatto un ottimo affare, visto che oggi Open Fiber vale qualche miliardo di più di ciò che è costata, dimostrando l'enorme opportunità persa da Telecom. Risultato: l'Italia è l'unico Paese europeo con due reti nazionali e da anni si assiste al teatrino delle trattative sulla rete unica .

D. Ma l'infrastruttura è ancora strategica per Tim, per come si sono messe le cose?

R. Come detto, gli ex monopolisti europei dopo privatizzazioni e liberalizzazioni si sono tenuti stretti le infrastrutture della telefonia fissa. In questo modo hanno avuto alti margini e si sono anche avvantaggiati in maniera non sempre legittima. Molti di loro si domandano se ne valga ancora la pena, perché devono continuare ad investire per stare dietro a Facebook, Google, Netflix che hanno i ricavi mentre a loro restano solo i costi. Tim si trova in una situazione diversa, ha ancora l'enorme macigno del debito, eredità di quanto ho detto prima, e si trova un concorrente nazionale formidabile come Open Fiber. Inoltre, si parla sempre di quanta fibra è stata posata, ma non di quanta ne viene adottata. In Italia ci sono troppe piccole aziende e il livello di adozione è basso.

D. Quindi, in ipotesi di successo della sua opa, che cosa si aspetta che faccia Kkr? L'unica alternativa oggi è lo spezzatino?

R. La prima strada è quella di cedere la rete per creare la rete unica, sfruttare le probabili sinergie con Open Fiber per valorizzare al massimo la cessione e ridurre così il proprio debito. Per poi avviare una trasformazione del business dei servizi di mercato, riducendo i costi e investendo nell'innovazione. Io non so se è ciò che intende fare Kkr. Vuole essere un investitore che aggiunge valore o si comporterà come i predecessori? Che hanno agito da veri vulture funds, i fondi avvoltoi.

D. E la seconda alternativa ?

R. Se la proposta verrà rifiutata, Tim continuerà probabilmente a declinare come ha fatto negli ultimi anni e il Paese corre il rischio di trovarsi con una nuova Alitalia nei prossimi anni.

rred

MF-DJ NEWS

0610:11 dic 2021

 

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December 06, 2021 04:13 ET (09:13 GMT)

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