La questione della fatidica rete unica di telecomunicazioni italiana si può riassumere immaginando una bilancia a due bracci: da una parte (senza rete unica) ci sono i vantaggi derivanti dalla competizione tra infrastrutture, che comporta prezzi potenzialmente migliori per gli utenti e soprattutto maggiore stimolo a ricerca e innovazione, dall'altra (creando un macro soggetto della banda larga) ci sono i vantaggi derivanti da una copertura potenzialmente più capillare a costi assai inferiori.

Insomma, a seconda di come la si vede ci sono pro e contro, ma una cosa è certa e la spiega bene Claudio Campanini, managing partner di Kearney Italia ed esperto di tlc: più si ritardano le decisioni, peggio è. «Bisogna ridurre il più possibile i ritardi nel disegno della rete unica», osserva, «perché benefici economici e sinergie derivanti dall'operazione rischiano di svanire in funzione del tempo richiesto e dell'esecuzione dei piani di copertura da parte di Open Fiber e Fibercop». Si può partire da questo concetto per provare a fare un po' di ordine quando si analizza la situazione delle infrastrutture di telecomunicazioni in Italia.

«In altri paesi, come in Francia, il governo ha scelto che la competizione infrastrutturale continuasse solo nelle aree nere», spiega il manager di Kearney, ossia nelle città (come Milano e Roma) con maggiore densità abitativa. In Italia invece la scelta politica è stata diversa, ossia puntare sulla creazione di una rete unica, unendo le reti di Fibercop e Open Fiber e creando un unico soggetto, eliminando quindi la competizione nelle aree nere. «Ci può stare», commenta Campanini, «si perdono dei vantaggi ma se ne ottengono degli altri, principalmente come minori costi spesi per la cablatura, ma ogni giorno che passa questi vantaggi si assottigliano». Questo perché, in attesa di decisioni effettive, sia Tim sia Open Fiber stanno procedendo con i rispettivi piani di crescita sulla rete. Ma quanti soldi si sprecano.

«Anche se approssimativo, si può fare qualche conto», spiega Campanini. «Tim ha un piano che prevede di raggiungere 10 milioni di abitazioni con la rete Ftth nelle aree nere e al momento ha completato i collegamenti per circa 4 milioni. Gli altri 6 milioni, in caso di rete unica, spetterebbero solo a uno dei due soggetti, il che implica, calcolando un costo medio di 300 euro per abitazione, risparmi su 6 milioni di abitazioni, ossia quasi 2 miliardi». A questi si aggiungerebbero i minori costi derivanti da altre duplicazioni. «Tim ad esempio sta connettendo in Fttc alcune abitazioni nelle aree bianche e poi ci sono gli sviluppi del Fixed Wireless da parte di diversi operatori. Complessivamente parliamo di potenziali duplicazioni in corso per un valore compreso tra 1 e 2 miliardi nel momento in cui non ci dovessero essere accordi sulla rete unica, in funzione di quanto esteso sarà l'over-build tra più tecnologie in aree considerate teoricamente a fallimento di mercato». Numeri che non possono essere ignorati dal mondo politico, crisi o non crisi. Quanto detto finora riguarda le aree nere, ossia quelle che garantiscono maggiore redditività agli operatori. Il vero mondo non coperto da nessuno, invece, è quello delle aree grigie, che però sono quelle che comprendono il maggior numero di unità abitative. Una specie di paradosso. Le aree nere sono coperte perché interessanti per il conto economico e i ritorni potenziali, la copertura in quelle bianche è stata garantita attraverso bandi di Infratel, quindi attraverso spesa pubblica.

E il limbo delle grigie che sta nel mezzo? In parte erano previsti degli stanziamenti statali, ma insufficienti per la completa copertura, mentre ora dovrebbero rientrare tra i progetti del recovery plan, ossia finanziabili con la liquidità garantita dall'Unione Europa per la ripartenza. «La rete unica ha una valenza importante proprio per le aree grigie, che al momento sono il vero tassello mancante. Perché in quelle nere la competizione può sopravvivere e in quelle bianche prima o poi Open Fiber completerà il suo piano», conferma il manager di Kearney. «In Francia ad esempio il governo ha deciso che nelle aree grigie possa cablare un solo operatore wholesaler», prosegue, «una volta assegnata un'area a un certo operatore, non sempre lo stesso, c'è divieto di overbuild, cioè di sovrapposizione di infrastrutture». E in Italia? La rete unica garantirebbe copertura capillare a costi e ritorni ottimizzati, probabilmente col sostegno almeno parziale di denaro pubblico. Sarebbe un modello replicabile? «Probabilmente sì, ma può avere comunque senso procedere con un'unica infrastruttura, basta che non ci siano ritardi», insiste Campanini.

Da quello che emerge, alla fine, qualsiasi modello, con o senza rete unica, può avere senso per l'Italia, basta che si porti a compimento. Il progetto rete unica immaginato dal governo di Giuseppe Conte prevederebbe la fusione tra la rete di Fibercop (che nasce dalla scissione della rete secondaria di Tim più la fibra di Flash Fiber) e quella di Open Fiber. Il problema è la governance. Il principale azionista di Fibercop è Tim, con il fondo Kkr in minoranza e Fastweb con una piccola quota. Gli attuali azionisti di Open Fiber sono Enel e Cassa Depositi e Prestiti. Il cda di Enel però poche settimane fa ha dato mandato all'ad Francesco Starace di finalizzare la cessione del 40% o del 50% al fondo australiano Macquarie. Il primo step, quindi, sarà capire quale azionariato avrà Open Fiber dopo l'uscita di Enel: quote paritetiche fra Cdp e Macquarie oppure, come molti pensano, la società guidata da Fabrizio Palermo rileverà il restante 10% e salirà quindi al 60% con gli australiani al 40%? E soprattutto, quando avverrà questo passaggio, considerando che Cdp ha prolungato di un mese la scadenza dei termini per valutare se esercitare o meno il diritto di prelazione? Il tutto tenuto conto che, una volta definiti i nuovi soci di Open Fiber, bisognerà lavorare a un'altra governance, ancora più complessa, ossia quella di AccessCo, come si chiamerà la cosiddetta società della rete unica. Un percorso tortuoso che la politica potrebbe rendere ancora più lungo, ossia l'esatto contrario di ciò che servirebbe al Paese.

fch

 

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January 25, 2021 02:40 ET (07:40 GMT)

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