Vivendi prova a mitigare gli effetti della rovinosa campagna d'Italia. Nelle festività di Natale, scrive Il Messaggero, i suoi vertici hanno consultato il governo sulle possibili iniziative da attuare in Tim e Mediaset, ricavandone indicazioni chiare di rasserenare i futuri assetti societari e di netta contrarietà nei confronti di eventuali ulteriori iniziative bellicose e giudiziarie.

A Palazzo Chigi, dove il ceo Arnaud de Puyfontaine si sarebbe recato prima di Natale, il premier Giuseppe Conte dopo aver registrato il disappunto per gli oltre 3,2 miliardi di perdite accumulati nei due investimenti (oltre 2 in Telecom, il resto in Mediaset), avrebbe avanzato suggerimenti finalizzati a una convivenza societaria funzionale alla crescita dei business nel rispetto degli interessi. L'emissario di Vincent Bollorè avrebbe avuto colloqui anche al Tesoro, ricevendo più o meno le stesse considerazioni. Nel gruppo telefonico e in quello radio-televisivo sono in scadenza i due consigli di amministrazione: per questo nelle settimane centrali di dicembre de Puyfontaine è venuto in Italia, l'obiettivo era preparare le grandi manovre.

In Tim, dove Vivendi è dal 2015 primo azionista con il 23,9%, il governo gradirebbe che sia il cda uscente a preparare una lista per il rinnovo del board, come avviene in molte public company (Mediobanca e Unicredit), su cui potrebbe convergere la Cdp (9,8%). Questo significa la probabile riconferma alla guida di Luigi Gubitosi che sulla determinazione a costruire la rete unica si è guadagnato l'appoggio dell'esecutivo che tuttavia non può intervenire sulle decisioni societarie. E il governo avrebbe suggerito a Vivendi, che nel consiglio attuale esprime cinque membri, di sostenere questa procedura, contribuendo alla formazione della lista attraverso le proposte di un head hunter. Quindi il primo socio dovrebbe rinunciare a una presa manu militari del gruppo perché il governo considera Tim una public company, non una società a controllo francese come asseverato dalla Consob.

In Mediaset, invece, basta con la lunga ed estenuante battaglia giudiziaria in piedi dal 2016 come conseguenza dello strappo su Premium e della scalata ostile dei francesi che serve solo a bloccare la crescita del business, danneggiando Vivendi che ha il 28,8% (9,9% diretto, 19,9% attraverso Simon Fiduciaria) e Fininvest (45,8%). Il governo auspica sia raggiunto finalmente un accordo tombale con la nascita della piattaforma multimediale europea tipo MFE che a, causa del braccio di ferro giudiziario, è abortita. La piattaforma potrebbe essere anche ProsiebenSat, che è il secondo gruppo europeo, di cui il Biscione è socio di maggioranza con il 25%. Nella piattaforma, qualunque essa sia dovrebbero convivere i due soci con una governance equilibrata.

Le prossime settimane saranno un banco di prova soprattutto perché Vivendi dovrà ripiegare rispetto ai propositi di partenza. Il fatto di dover rinunciare a una lista in Telecom, dove sulla carta raccoglierebbe la maggioranza, è un boccone certamente indigesto, considerando che i francesi continuano a esprimere riserve sulla norma salva-Mediaset. Del resto, il vecchio Tusmar (Testo unico dei servizi audiovisivi e radiofonici) è in stand by dopo il verdetto della Corte Ue che ha riconosciuto che la norma non è proporzionale come rimedio delle concentrazioni e mette a repentaglio la libertà di stabilimento, dando sei mesi all'Agcom per l'istruttoria dopo la quale il governo ridefinirà il settore delle comunicazioni. Le prossime settimane saranno decisive per comprendere gli orientamenti finali di Vivendi; quel che è certo è che ora il governo ha accentuato l'attenzione sulle manovre in corso nei due gruppi.

pev

 

(END) Dow Jones Newswires

January 07, 2021 02:40 ET (07:40 GMT)

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