Banche: Sileoni, commissione Attali per rilanciarle (MF)
26 Aprile 2018 - 9:43AM
MF Dow Jones (Italiano)
Un settore bancario tornato nelle grazie dei gestori
internazionali: è la istantanea scattata alla fine delle assemblee
bancarie fin qui svoltesi, in cui ai primi posti dei libri soci
figurano medi e grandi fondi internazionali. Tutto bene dunque? Il
nuovo sistema di public company anglosassone sta soppiantando
quello dei noccioli duri basati sulle fondazioni? Non è tutto oro
quello che luccica. Lo sostiene in questa intervista a MF-Milano
Finanza Lando Maria Sileoni, fresco di conferma come segretario
generale della Fabi, il più potente sindacato dei bancari italiani.
E fa una proposta concreta.
Domanda. L'esito delle ultime tornate assembleari delle banche
ha confermato un fenomeno fin qui tipico delle grandi banche
internazionali, ovvero la presenza attiva di fondi esteri.
Risposta. È proprio così. Dopo la lunga crisi gli assetti
societari sono cambiati e molte delle nostre banche sono in mano a
fondi esteri. Basti pensare a Unicredit : i primi due soci di peso
sono esteri. Ci sono il fondo Aabar di Abu Dhabi, stabilmente al 5%
del capitale, e il grande fondo californiano Capital Research col
5,1%. Unicredit è una sorta di public company coi fondi oltre il
70% del capitale e le vecchie fondazioni ormai residuali a meno del
6%.
D. Anche Intesa è a trazione straniera.
R. Sì, ma per la prima banca italiana le fondazioni continuano
ad avere un ruolo centrale, con la Compagnia di San Paolo al 7,6% e
Cariplo al 4,7%. Uno zoccolo duro tricolore che per fortuna tiene e
dà stabilità. Ma subito dietro c'è la fila di stranieri: da
BlackRock (5%) a Capital Research, che è pure il primo socio di
Unicredit .
D. E anche negli altri due gruppi.
R. In Ubi le due fondazioni, Cuneo e Banca del Monte,
rispettivamente col 5,9 e 4,9%, sono tuttora i primi due soci
italiani, ma anche la presenza degli stranieri è massiccia: a
partire dal fondo Silchester oltre il 5% e Hsbc col 4,7%.
D. Nelle ex popolari che cosa è successo dopo la riforma?
R. L'azionariato ora è aperto. L'abolizione del voto capitario
ha permesso la contendibilità e ha acceso l'interesse degli
stranieri. In Banco Bpm si parla inglese: su tutti ci sono gli
americani di Capital Research, che hanno rastrellato il 5% del
capitale. E nel Creval dopo l'aumento di capitale il primo socio è
Steadfast Capital con il 8,5%.
D. Insomma nelle assemblee si parlerà sempre meno italiano.
R. Sì, ma per un certo aspetto è un fatto positivo. Se i grandi
fondi d'investimento del risparmio a livello globale tornano a
investire sulle banche, vuol dire che sono ritornate attraenti e a
fare utili. Ma i fondi fanno il loro mestiere: guardano ai
rendimenti, non sempre alla gestione.
D. In che senso?
R. Spesso i fondi investono solo in cerca di ritorni, comprano
quote piccole e poi escono quando hanno avuto un rendimento
accettabile. Il problema può sorgere se quelle quote diventano
investimenti stabili. I fondi in questo caso possono chiedere di
avere voce in capitolo sulla gestione, imponendo scelte
strategiche. Guardate che cosa sta facendo Elliott con Telecom
Italia . È il modello della public company anglosassone. Ma possono
sorgere problemi. I fondi cercano redditività a ogni costo,
trimestre su trimestre. Pochi lavorano in un'ottica di lungo
periodo, attenti anche agli aspetti di equilibrio sul piano sociale
dell'impresa-banca. Se la redditività rallenta, chiedono subito
tagli. La loro ossessione è efficienza e costi minimi. Perciò, se
non sono bilanciati da investitori di lungo termine come una volta
erano le fondazioni, i fondi finiscono per spadroneggiare e
limitare l'autonomia gestionale. È un pericolo per la banca, un
rischio per i lavoratori bancari. Conosciamo la ricetta per fare
più profitti: si fanno esuberi, si tagliano sportelli e posti di
lavoro. Una governance che non ci piace affatto.
D. O la public company coi suoi rischi o il modello stabile
delle fondazioni, che però non è esente da pecche...
R. Le fondazioni talvolta non hanno dato buona prova di sé. A
Siena e a Genova, dove governavano con oltre il 50%, sappiamo tutti
come è andata a finire. Le fondazioni erano e sono il governo della
politica sulle banche. Giusto che abbiano un ruolo molto più
delimitato, che serva a garantire stabilità e una autonomia
decisionale vera al management. Il modello è quello di Intesa ,
dove le due fondazioni, con meno del 15% del capitale, sono lo
zoccolo duro della stabilità a lungo termine.
D. E la terza strada?
R. Il sistema bancario merita più attenzione da parte della
comunità economico-finanziaria interna. L'Italia è un Paese ad alto
tasso di risparmio e le banche sono il fulcro di questa ricchezza,
che si può e si deve trasmettere come investimento all'economia
reale. Ma sono più attenti gli stranieri rispetto al sistema Paese.
È un'occasione persa. Le banche stanno uscendo dalla più grave
crisi del Dopoguerra. I protagonisti della finanza italiana
investano sui nostri istituti. Penso a nuclei piccoli, ma coesi di
investitori italiani: possono sostituire il ruolo perso dalle
fondazioni e bilanciare l'avanzata dei fondi di stampo
anglosassone, troppo propensi a volere la redditività a breve,
costi quel che costi.
D. In uno scenario del genere il sindacato che proposte ha?
R. Sarebbe politicamente cruciale creare una commissione che
analizzasse e programmasse il futuro del settore, magari su
iniziativa dell'Abi. Una commissione vera, composta da economisti,
analisti, storici, politici, imprenditori, dirigenti pubblici,
giornalisti, scrittori e rappresentanti dei sindacati. Ci sono
illustri precedenti, come quando l'economista Jacques Attali in
Francia creò un gruppo di lavoro per rilanciare l'economia
francese. Considerando che nel 2019 Draghi lascerà la presidenza
della Bce e considerando il pressing esasperato e integralista
della commissione di vigilanza della stessa Bce, che poco rispetto
ha per il settore bancario italiano, sarebbe importante che ogni
componente di questa commissione discutesse una riforma strutturale
del settore. Un progetto per rilanciare l'industria bancaria
italiana garantendo stabilità. Il movimento sindacale non vuole
trattare con le banche sotto la scure e i diktat dell'autorità di
vigilanza europea.
red/fch
(END) Dow Jones Newswires
April 26, 2018 03:28 ET (07:28 GMT)
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