Sfoltire i rami secchi. Tagliare costi non più sostenibili. Rivedere il perimetro industriale. E fare cassa. Ma anche concentrare l'attenzione su pochi business ritenuti ancora strategici in vista di un consolidamento, inevitabile, nel settore editoriale e televisivo. Sono queste le leve che hanno spinto la famiglia Berlusconi a definire una profonda revisione del portafoglio e a vendere asset un tempo ritenuti incedibili. Una filosofia applicata con vigore da Marina Berlusconi, presidente di Fininvest e di Mondadori. Un lungo lavoro effettuato anche per far fronte a quella crisi di mercato che ha ridotto quelle risorse, leggasi dividendi, che da sempre alimentavano il bilancio della finanziaria controllata da Silvio Berlusconi.

La vendita di maggior impatto, economico ed emotivo, scrive Milano Finanza, è stata quella definita nell'aprile 2017 del Milan. Dopo 31 anni di gestione, il club è stato ceduto al carneade cinese Yonghong Li (evaporatosi nel luglio scorso a favore del fondo Usa Elliott) che lo aveva valutato 740 milioni. La holding ha registrato una plusvalenza contabile consolidata di 600 milioni, ma in termini in guadagno reali l'impatto è stato zero. Perché il valore di carico era elevato: oltre 550 milioni a fine 2016, senza considera i soldi versati nel 2017 prima della dismissione. Ma per la finanziaria di via Paleocapa era fondamentale evitare di continuare a coprire le perdite del Milan: quasi 900 milioni nel trentennio. Ma, poi, il calcio è tornato di moda in casa Fininvest con l'acquisto (2,9 milioni), del piccolo Monza che milita in Lega Pro.

red/lab

 

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December 10, 2018 03:10 ET (08:10 GMT)

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