(si rinvia take delle 17h46 con testo corretto)

A pochi giorni dall'assemblea generale di Tim dove andrà in scena l'ennesimo braccio di ferro tra Vivendi ed Elliott, i giochi sembrano ormai fatti.

Con un'adesione alla riunione attesa attorno al 60% e con il concomitante fronte compatto dei proxy advisor che hanno consigliato ai grandi investitori istituzionali di sostenere le ragioni del fondo di Paul Singer, a meno di improbabili sorprese dell'ultima ora diventa via via più complicato per i francesi riuscire a far valere le proprie ragioni e riprendere le redini di Telecom.

Spodestata dal controllo del Board in occasione dell'assise del 4 maggio 2018, la media company transalpina - principale azionista di Tim con una quota del 23,94% - è ora rappresentata in Consiglio da cinque soli amministratori e in virtù del ribaltone ha perso anche direzione e coordinamento del gruppo italiano delle tlc.

La maggioranza in Cda è costituita oggi da dieci consiglieri indipendenti scelti da Elliott, che a sua volta detiene una posizione complessiva del 9,4% in Tim: pochi mesi fa, l'operato di cinque di essi è stato contestato da Vivendi, che a vario titolo ne ha messo in dubbio l'effettiva indipendenza e ne ha chiesto la rimozione e la conseguente sostituzione con cinque profili da essa indicati.

Tra i cinque consiglieri che rappresentano ancora le istanze del primo socio del gruppo italiano figura anche l'ex a.d. Amos Genish, a cui il Consiglio stesso - con una decisione presa a maggioranza a metà dello scorso novembre - aveva ritirato le deleghe operative. La deposizione del top manager israeliano era avvenuta perché quest'ultimo, secondo quanto era emerso, avrebbe nascosto al Board il progressivo deterioramento dell'andamento industriale dell'azienda, con conseguente scostamento dai target indicati nel Piano strategico. Un fattore che ha poi contribuito a decretare una svalutazione dell'avviamento da due miliardi di euro e a mandare in rosso i conti dell'intero esercizio.

Ago della bilancia in assemblea potrebbe essere ancora una volta la Cassa Depositi e Prestiti, forte di una partecipazione del 9,8% costruita a fronte di un investimento da 1,05 miliardi. Appare tuttavia improbabile che la Cassa decida di non presentarsi, di astenersi dal voto o di votare disgiuntamente, ripartendo in misura equa tra i due contendenti le 'munizioni' di cui dispone. Al contrario, il mercato dà ormai per scontato che i voti del braccio d'investimento del Mef guidato da Fabrizio Palermo finiscano compatti a sostegno della causa del fondo Elliott e sanciscano di conseguenza il mantenimento dello status quo.

Una situazione quest'ultima che potrebbe agevolare l'individuazione di sinergie con Open Fiber - partecipata pariteticamente dall'Enel e dalla stessa Cdp - che porterebbero a un significativo risparmio sul fronte degli investimenti, riducendo il rischio per entrambe le aziende di doversi accollare sanguinose duplicazioni di costi. Su questo fronte va ricordato che pochi giorni fa possibili operazioni in questa direzione erano state benedette dal presidente dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, a nome delle fondazioni di matrice bancaria che detengono circa il 16% della Cassa.

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March 25, 2019 14:03 ET (18:03 GMT)

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