Giovanni Ferrero, presidente esecutivo e proprietario dell'omonimo gruppo dolciario, ha chiuso in settimana la quinta acquisizione in quattro anni della società di Alba pagando in contanti gli 1,1 miliardi necessari per assicurarsi gli asset dolciari statunitensi di Kellogg's.

Qualche ora più tardi Alberto Bombassei, inaugurando il nuovo stabilimento di Brembo in Cina, ha annunciato la disponibilità della sua famiglia ridurre la propria quota nella società di sistemi frenanti dal 53 al 30% in caso di operazioni di m&a purché (tramite il meccanismo del voto maggiorato appena adottato) la propria dinastia mantenga il controllo della nuova realtà. L'imprenditore bergamasco inoltre ha anche rivelato come Brembo fosse andata vicina a comprare Magneti Marelli da Fca in autunno se non fosse arrivata l'offerta del fondo Usa Kkr da 6,2 miliardi.

Insomma - scrive Milano Finanza - se molto si è parlato della campagna acquisti dei grandi gruppi internazionali in Italia (basti pensare a Electricité de France con Edison o a Bnp Paribas con Bnl), va detto che c'è anche un Paese che non ha paura di sfidare la globalizzazione comprando aziende all'estero. E questo Paese tendenzialmente si identifica nelle imprese manifatturiere a controllo familiare.

Secondo uno studio dell'Università Bocconi di Milano Exor , la holding di casa Agnelli, rappresenta la punta di diamante di questo universo familiare, seguita dalla holding Edizione della famiglia Benetton e dalla Ferrero. Ma se si scorrono i nomi delle prime 20 aziende familiari citate nello studio si nota come una larga parte del pil italiano (se si eccettuano le banche e le imprese ex monopoliste di Stato come Eni , Enel o Telecom Italia ) sia compresa in questa graduatoria. Nella lista figurano infatti anche l'Esselunga dei Caprotti, la Fininvest della famiglia Berlusconi, la De Agostini dei Boroli-Drago e la Saras dei Moratti o la Barilla, controllata dalla famiglia omonima. Non solo, ma lo stesso studio illustra anche come alcuni dinastie industriali che non fanno parte di questi gotha si stiano industriando per crescere.

Interpump, la società di pompe idrauliche di Fulvio Montipò, per esempio è la società familiare che ha messo a segno il maggior numero di acquisizioni dal 2014 in poi (ben 11). Seguito con otto transazioni da gruppi come la Ima della famiglia Vacchi (imballaggio) o la Lavazza (caffè) della omonima dinastie torinese, le cui acquisizioni negli ultimi anni hanno spaziato dalla Francia (il brand Carte Noire) agli Stati Uniti (Mars drinks) passando per la Danimarca. In totale, spiega lo studio, le imprese familiari italiane hanno sempre concluso più di 100 acquisizioni all'anno dal 2014 in avanti. Con una punta massima di 152 nel 2018 e con un ottimo avvio nel primo trimestre 2019 visto che lo shopping ha già raggiunto quota 40.

In questo quadro non sorprende come, almeno per quanto la nicchia del cosiddetto family business, l'Italia sembra messa meglio rispetto ad altri settori. Anche nel raffronto con il contesto internazionale. Credit Suisse pubblica annualmente uno studio denominato Family 1000 in cui analizza a livello globale l'andamento delle 1000 principali imprese controllate da clan parentali. Un ricerca che tra l'altro ha messo in evidenza come in Europa i 226 family business analizzati siano stati in grado di guadagnare in media il 4,7% l'anno in più negli ultimi 11, rispetto alle aziende non a controllo familiare. Mentre in Italia a fronte di una perdita media del 5% subita dai non-family business tra il 2006 e il 2018, il segmento delle 27 aziende familiari esaminate ha ottenuto una performance positiva del 5% annuo.

red/cce

 

(END) Dow Jones Newswires

April 08, 2019 02:29 ET (06:29 GMT)

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