«Per Carige la prima soluzione sarebbe trovare un gruppo tipo private equity. Una società molto stabile, con un orizzonte temporale di 3, 5 o 10 anni, che possa impostare un piano industriale in continuità con quello su cui stanno lavorando i commissari». A parlare è Davide Serra, fondatore e amministratore del fondo Algebris, che in questa intervista a ClassCnbc analizza la difficile situazione di Carige e non solo.

Domanda. Ci ha provato BlackRock, ma ha fatto retromarcia.

Risposta. La mia lettura è che BlackRock si sia presentata con un fondo di credito che probabilmente aveva una liquidità non coerente con una visione a 3 o 5 anni. Se un fondo investe con strategie liquide (quelle che consentono agli investitori di ritirare i soldi in ogni momento ) e vuole fare un piano a 3-5 anni, si crea un problema di mismatch temporale. Inoltre potrebbe avere sottovalutato il fatto che nel momento in cui un fondo determina la governance di una banca, la Bce lo considera in un certo senso proprietario. Quindi tutto il gruppo stesso sarebbe passato sotto la supervisione di Francoforte.

D. Ma una soluzione di mercato è ancora possibile?

R. Si, ci sono tanti fondi di private equity e private debt con un orizzonte a 3-5 anni che potrebbero farsi avanti. Il punto è capire se a Genova riusciranno a fare ulteriore pulizia di bilancio, con un intervento della Sga. Inoltre si deve chiarire se quello che resta da fare sul fronte della ristrutturazione dei costi si potrà realizzare. Nessuno mette del capitale se poi ha prospettive di zero profittabilità. Spero quindi che si riesca ad arrivare a una soluzione privata, perché dover ripercorrere la strada seguita per le banche venete sarebbe un fallimento per il sistema, per i regolatori e per tutte le persone che sono state vicine a questa vicenda.

D. È una soluzione che richiederebbe anche l'ok del governo, che sembra molto freddo. Come vede invece l'ipotesi avanzata da Mustier (Unicredit ), che siano le altre banche in maniera proporzionale a salvare Carige ?

R. Si deve partire da quanto costerebbe al sistema bancario fare la colletta tra tutti piuttosto che dire «lasciamo saltare il banco e vediamo cosa succede». Io ritengo che il sistema bancario dovrebbe sedersi al tavolo. Non parliamo di miliardi, ma probabilmente, a livello di singole banche, tra 100 e 200 milioni per le grandi. Secondo me, avrebbe senso che il sistema bancario metta un po' di capitale e non si arrivi ad avere una corsa ai depositi, che farebbe male a tutto il sistema.

D. Però si va avanti da anni con salvataggi d'emergenza. E alcuni guardano già ai prossimi. A Bari c'è una situazione di debolezza. Il Tesoro dovrà uscire da Mps . Carige può innescare una reazione a catena nel sistema che coinvolga anche le altre banche in difficoltà?

R. Secondo me, no. La condizione affinché due persone si sposino è che siano contente entrambe di farlo. Non vedo che cosa può offrire Carige ; ha una alta concentrazione, con troppi costi, in una regione a bassa crescita. Dovrà tagliare metà quartier generale e non vedo molti manager bancari pronti a fare una carneficina sociale. Un conto sarebbe se il regolatore arrivasse dicendo «mi spiace, è finita la benzina, bisogna mettersi tutti a spingere e se ne prendono carico anche lo Stato e il regolatore».

D. Lei investirebbe in Carige ?

R. È una operazione troppo complessa per una struttura come la nostra. Non stiamo osservando il dossier perché lo ritieniamo al di fuori delle nostre competenze.

D. Nel resto del sistema dietro Intesa e Unicredit continuano i sondaggi per creare un terzo polo tra banche di medie dimensioni. È arrivato il momento giusto?

R. È probabile. A forzare verso le aggregazioni è un trend gobale: la necessità di fare economie di scala. Prima del digitale tutti combattevano con le truppe. Le armi convenzionali erano filiali, prodotti e personale. Con l'arrivo del digitale è cambiato lo scenario. Una banca come Jp Morgan spende 12 miliardi l'anno in tecnologia. Se tu spedi 20 milioni non puoi competere. Un anno ce la fai, il secondo forse, il terzo pure. Ma a un certo punto arriva quello che ha colpito tanti business: l'effetto Amazon . Per evitarlo si devono ridurre le spese sulle truppe (filiali, vecchi server) per investire in banca avanzata. Più o meno quello che ha sempre fatto Fineco , che ha investito meno in mezzi tradizionali e più in tecnologia, brand e consulenza.

D. Quale tra le diverse operazioni di cui si parla avrebbe più senso secondo lei ?

R. In Italia una banca fa utili solo se è vicina a clienti molto virtuosi, che crescono, esportano e creano ricchezza. Quindi io partirei dalla Lombardia, perché è la regione-traino di tutta l'Italia. Per questo penso che un'aggregazione tra Ubi e Banco Bpm avrebbe fortissimo senso sulla carta, perché creerebbe il terzo gruppo bancario italiano, ma il primo nel Nord Italia, in Lombardia e in Veneto, dove conta. Certo, ci sarebbero sovrapposizioni, quindi forse non si farà, ma sicuramente il focus sono le quote di mercato in Lombardia.

D. Intesa ha escluso l'interesse per acquisizioni in Italia o all'estero. Unicredit prepara il nuovo piano industriale. Lei pensa che nel futuro di Piazza Gae Aulenti ci possa essere una operazione internazionale?

R. Penso che per Unicredit la cosa migliore sia fare un piano industriale e realizzarlo, come ha fatto in passato. Con Mustier e il suo team sono riusciti a salvare la banca raccogliendo 20 miliardi tra aumento di capitale e cessioni. Hanno portato la banca ad avere una profittabilità tra i 4 e i 5 miliardi sostenibili di utile, un livello mai cosi alto. Quello di cui la banca ha bisogno sono tre anni di ulteriore stabilità, poi vedremo gli scenari. Intanto io non credo nel consolidamento in Europa fino a quando non ci sarà un vero mercato cross-boader.

D. Perché?

R. Se hai un mutuo francese non lo puoi vendere in Italia, se fai una carta di credito italiana non la puoi vendere in Germania, se hai un prestito come pmi tedesca non lo puoi vendere in Olanda. Ma allora a cosa serve una banca europea se i regolatori alla fine difendono un mercato domestico? Lo spiega un numero molto semplice: i regulator bancari della Bce a Francoforte sono più o meno 3 mila. I regolatori che stanno nelle banche nazionali in Europa sono oltre 80 mila. Quindi ci sono 3 mila persone che cercano di creare un mercato unico e 80 mila che tutti giorni non fanno che lavorarti contro. Quindi, al di la delle dichiarazioni, l'Europa delle banche in realtà non funziona.

D. Ma per i vostri investimenti su quali banche italiane puntate in questo momento?

R. Dei 3-4 miliardi investiti in Italia, ne abbiamo più o meno 2 focalizzati su Unicredit e Intesa e su tutto il mondo degli Additional Tier 1 che pensiamo siano tra i più validi investimenti in Europa.

red/fch

 

(END) Dow Jones Newswires

May 14, 2019 02:11 ET (06:11 GMT)

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