Un pugno di mesi separa il nuovo esecutivo dalla partita delle nomine nelle quotate di Stato. Con la Lega tagliata ormai fuori dai giochi, la nuova mappa del potere industriale che si ridisegnarà in primavera ora è in mano a Movimento 5 Stelle e Pd. L'appuntamento è fissato tra aprile e maggio del 2020, quando con l'approvazione dei bilanci 2019 arriveranno a scadenza i vertici dei pesi massimi, da Eni ad Enel , da Leonardo a Terna e Poste, solo per citare le quotate.

Allargando alle partecipate non presenti sul listino, si arriva a quasi 150 poltrone. Se l'ultima infornata di nomine, nel 2014, è avvenuta nel segno del Partito Democratico, gli uomini di Nicola Zingaretti si ritrovano inaspettatamente in gioco anche per questa seconda tornata. Si misurerà la tenuta delle nomine renziane e l'influenza che il senatore semplice, come Matteo Renzi ama definirsi, sul nuovo giro di poltrone.

Ma sia rinnovi che eventuali riconferme dovranno misurarsi con le richieste dei grillini, che hanno un vantaggio di mesi e hanno mostrato già fin troppa disinvoltura nel mandare a casa manager non graditi, persino in anticipo sulla scadenza: basti pensare al vertice delle Fs, con l'ad Renato Mazzoncini sostituito l'estate scorsa da Gianfranco Battisti, avvicendamento anticipato irritualmente su Facebook dall'allora ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. Neanche il tempo di insediarsi, e Battisti si è trovato a dover gestire la grana del salvataggio Alitalia, al 51% pubblico come da diktat M5S. Lo spoil system post-elettorale si è abbattuto anche su Gianni Armani, rimosso anzitempo dal vertice dell'Anas (che ora nessuno vuole più separare da Fs). Ma quando si è trattato di quotate, il precedente esecutivo si è mostrato più prudente, confermando per esempio Giuseppe Bono a capo di Fincantieri e lasciando che venisse rinnovato Stefano Cao in Saipem .

La fotografia più fedele di come Lega e 5 Stelle hanno inteso i rapporti con i manager di Stato riporta all'incontro di quasi un anno fa, il 10 ottobre 2018, con le quotate pubbliche convocate a Palazzo Chigi a dare sostegno alle misure previdenziali e occupazionali del governo, in due parole quota 100. In prima fila Eni , con l'ipotesi di 1.700 pensionamenti a fronte di 3.600 assunzioni in 4 anni. Seguiva Leonardo, con un ciclo di nuove assunzioni e l'impegno a investire in Italia 700 milioni l'anno al 2022. Immancabile Enel , con l'intesa per l'uscita di circa 6 mila dipendenti entro il 2020 e il graduale inserimento di 3 mila neo-assunti. Quella sorta di roadshow fatto in casa 11 mesi fa, vale ancora un'apertura di credito ai manager delle partecipate pubbliche? Sì, ma non solo.

Tra i sostenitori dell'ad di Eni , Claudio Descalzi, per esempio, c'è il premier Giuseppe Conte. E non solo per quella promessa di assumere da due a tre giovani per ogni dipendente avviato alla pensione, ma anche per l'incessante espansione internazionale del gruppo. C'era Conte accanto a Descalzi ad Abu Dhabi alla firma del maxi-contratto da 3,3 miliardi di dollari per l'acquisizione di Adnoc Refining. E il premier gli ha ribadito la fiducia anche in momenti delicati. Su Descalzi pende però una spada che in tempo di nomine ha il suo peso: il processo in corso per presunta corruzione internazionale legato alla concessione di un giacimento in Nigeria.

Più che solide le quotazioni di un altro manager che ha saputo stringere un buon rapporto anche con la componente 5 Stelle del governo, in nome della sostenibilità e delle rinnovabili: Francesco Starace. Col nuovo esecutivo ritrova interlocutori famigliari nei ranghi del governo e potrebbe vedere allentarsi anche la pressione su una partita che non l'ha mai entusiasmato: la rete unica Tim -Open Fiber.

fch

 

(END) Dow Jones Newswires

September 07, 2019 02:38 ET (06:38 GMT)

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