Rescisso il cordone ombelicale che la legava alla controllante Unicredit, FinecoBank è diventata a tutti gli effetti una banca contendibile, controllata dal mercato. L'a.d. Alessandro Foti ha spiegato a MF DowJones come evolve nel frattempo la strategia della banca, in un contesto di mercato caratterizzato da tassi al lumicino che rende necessario far comprendere alla clientela la necessità di spostare parte dei risparmi dal conto corrente a prodotti di risparmio gestito.

D. Con l'uscita dal gruppo Unicredit, Fineco è diventata contendibile. Quali strategie state perseguendo in questo nuovo contesto, in cui l'azionista con la quota più rilevante è il fondo Blackrock con circa il 10%?

R. Quello che posso dire è che gestiamo l'azienda con l'obiettivo di consegnare ai nostri azionisti il maggior ritorno possibile, pertanto puntiamo a gestire l'azienda al meglio: siamo scalabili per definizione, ma non per questo ce ne preoccupiamo o stiamo a fare retropensieri su quello che potrebbe succedere. Al tempo stesso ci rendiamo conto di essere uno dei pochissimi casi in Italia di public company - a piazza Affari oltre a noi ci sono soltanto Prysmian e Unicredit - e costituiamo pertanto l'eccezione, mentre all'estero questo modello è la norma.

D. Nelle ultime settimane ha tenuto banco in Italia una discussione sull'opportunità o meno di riversare sui clienti gli effetti dei tassi negativi. Su questo fronte, i due principali istituti di credito del Paese hanno mostrato posizioni opposte. Come la pensa FinecoBank?

R. Non abbiamo sul tavolo - né oggi né in futuro - la possibilità di caricare tassi negativi sulla nostra clientela. La riteniamo una metolodologia poco efficiente, poiché in proporzione rischia di penalizzare i clienti più importanti. Anche quando Unicredit era azionista di controllo non abbiamo mai affrontato la tematica in Consiglio, neppure a livello di sondaggio. A nostro parere, la strada maestra consiste nel lavorare per far capire ai clienti che il miglior modo per centrare gli obiettivi di lungo termine è investire una parte dei loro risparmi sui mercati.

D. A questo proposito, nella nota dei nove mesi scrivete che il portafoglio medio per ciascuno dei vostri consulenti finanziari ammonta a 26,6 milioni di euro, di cui 14,8 milioni di gestito. I restanti 11,8 milioni sono costituiti da amministrato e liquidità. Vi soddisfa questa ripartizione?

R. E' uno spaccato che non ci va assolutamente bene. Riteniamo che in generale gli italiani abbiano ancora un'asset allocation poco efficiente, con troppa liquidità sul conto corrente e anche troppo amministrato. Un bilanciamento che non risponde ad alcuna logica di pianificazione. Pertanto, punteremo quanto più possibile a incrementare il peso della parte gestita. Considerato che il mercato sta cambiando rapidamente e profondamente come struttura - con tassi a zero se non addirittura in territorio negativo - siamo convinti che questa condizione crei un contesto particolarmente favorevole per essere ancora più convincenti con i clienti nel far capire l'inefficienza di tener fermi i soldi sui conti.

Soffermandosi solo su settembre, ultimo mese del trimestre preso in esame, abbiamo visto che in effetti la raccolta ha già registrato un miglioramento dell'asset mix, nonostante la stagionalità tipica del mese e le imposte pagate.

D. Lo spaccato del vostro portafoglio sul debito fisso mostra che al 30 settembre scorso detenevate 4,7 miliardi di euro di Btp. E' un livello che reputate sufficientemente prudente o avvierete una manovra di ulteriore delevereging dal rischio sovrano italiano nei prossimi mesi?

R. Puntiamo a mantenerci intorno ai cinque miliardi. Considerando che abbiamo attivi intorno a 26 miliardi di euro, si tratta di un'esposizione molto diluita e ben diversificata.

D. Nel luglio scorso siete andati sul mercato con un perpetual At1 da 300 milioni di euro. C'è la possibilità che torniate a valutare qualche emissione entro fine anno?

R. Assolutamente no. Siamo a posto e vi assicuro che per molto tempo non ci rivedrete sul mercato.

D. Il Cda ha di recente approvato alcune proposte di revisione della corporate governance, come l'introduzione della facoltà per il Board di presentare una propria lista di candidati alla carica di amministratore. Come vanno lette queste modifiche nel quadro della recente uscita dal gruppo Unicredit?

R. Non essendoci più l'azionista di controllo, il Cda ha provveduto a modificare lo statuto in maniera tale da poter proporre una propria lista alla prossima assemblea e poi è stata introdotta anche una serie di modifiche per dare il giusto spazio alle minoranze. Queste decisioni ci rendono in linea con tutte le migliori pratiche di governance in essere sul mercato.

D. Avete anche deciso di acquistare il marchio Fineco da Unicredit per 22,5 mln...

R. Era previsto dagli accordi di uscita dal gruppo, abbiamo provveduto ad esercitare l'opzione che avevamo a disposizione per poter comprare il marchio che non era di nostra proprietà.

cce/ofb

 

(END) Dow Jones Newswires

November 06, 2019 12:50 ET (17:50 GMT)

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