Per le ex popolari italiane il ballo delle aggregazioni è stato a lungo rinviato, ma in molti si aspettano che il 2020 sarà l'anno della svolta. Non solo perché la pressione sui ricavi si sta facendo sempre più gravosa in uno scenario di tassi low for long, ma anche perché diversi attori sul mercato potrebbero imprimere un'accelerazione al risiko.

Per posizionamento geografico, dimensione e solidità patrimoniale, scrive Milano Finanza, Ubi Banca è in questo momento il polo aggregante ideale e dalle sue scelte dipenderanno le future geografie del settore. Anche se negli anni scorsi il gruppo ha fatto qualche operazione mirata (come l'acquisto delle tre good bank), il ceo Victor Massiah non ha avuto fretta di celebrare un matrimonio. Scelta comprensibile visto che molti potenziali target erano impegnati in delicati processi di de-risking e che la stessa Ubi ha dovuto lavorare su efficienza dei processi e qualità dell'attivo. Ora però i tempi sono maturi per il salto dimensionale e in tale direzione sembra andare il rimescolamento dell'assetti di controllo che a settembre ha portato il nuovo patto di consultazione oltre il 17% del capitale.

Fino a qualche settimana fa la favorita per un fidanzamento appariva Banco Bpm , il cui ceo Giuseppe Castagna non ha nascosto le preferenze per un merger con Ubi. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, subito dopo la pausa estiva i vertici dei due gruppi si sarebbero scambiati qualche messaggio per sondare un'ipotesi che sulla carta offre molte opportunità. Nell'ambito di questo avvicinamento agli osservatori più attenti non sono sfuggiti i movimenti di alcuni soci, come la crescita nel capitale di Banco Bpm della Fondazione Crt e gli importanti acquisti di alcuni family office sull'asse Bergamo-Brescia. Ma nelle ultime settimane, si mormora, l'ipotesi si sarebbe parzialmente ridimensionata a causa di alcune complessità sul lato della governance. La presenza di due ceo molto forti rimane ad esempio un ostacolo non trascurabile nell'ambito di un merger of equals. Ecco perché nelle banche d'affari ha preso quota l'alternativa più scontata, cioè quella di una fusione tra Ubi e Bper . Il gruppo modenese guidato da Alessandro Vandelli sta chiudendo l'integrazione di Unipol Banca ma non intende interrompere il processo di crescita. Anche perché alle spalle ha soci forti come Unipol (18,69% del capitale) e la Fondazione Banco di Sardegna (10,35%) che vedono in una fusione un efficace acceleratore della redditività. Per di più, a differenza del caso milanese, una combinazione con Bper non comporterebbe significativi problemi al vertice: «Se si arrivasse a un tavolo di trattativa, la mia posizione non sarà un problema», ha dichiarato Vandelli in una recente intervista. Insomma, un incastro in apparenza molto semplice anche se il diavolo, si sa, sta nei dettagli.

E, ancora una volta, i dettagli più spigolosi potrebbero riguardare la governance perché, se è vero che nella compagine del nuovo gruppo emiliano-lombardo entrerebbero anime culturalmente lontane, la convivenza potrebbe non rivelarsi semplice. In base ai concambi ipotizzati nei giorni scorsi da Equita (1,56 azioni Ubi per ogni titolo Bper ) nella combined entity Unipol tallonerebbe all'8% il nuovo patto di consultazione del gruppo lombardo che si attesterebbe attorno al 10% mentre un ulteriore 3% sarebbe apportato dal sindacato bresciano.

red/fch

 

(END) Dow Jones Newswires

November 18, 2019 02:41 ET (07:41 GMT)

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