Pensioni: Istat; 16 mln pensionati 2018, 12,2% con 500 euro
15 Gennaio 2020 - 11:53AM
MF Dow Jones (Italiano)
Nel 2018, il numero di pensionati resta stabile a 16 milioni
rispetto al 2017, per un numero complessivo di trattamenti
pensionistici erogati pari a poco meno di 23 milioni. La spesa
totale pensionistica (inclusa la componente assistenziale) nello
stesso anno raggiunge i 293 miliardi di euro (+2,2% su variazione
annuale).
Lo rileva l'Istat spiegando che il peso relativo della spesa
pensionistica sul Pil si attesta al 16,6%, valore appena più alto
rispetto al 2017 (16,5%), segnando un'interruzione del trend
decrescente osservato nel triennio precedente.
Gran parte della spesa (265 miliardi, il 91% del totale) è
destinata alle pensioni Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti),
legate a un pregresso contributivo proprio o di un familiare, a cui
si aggiungono 4,2 miliardi erogati a copertura di 716.000 rendite
dirette e indirette erogate per infortuni sul lavoro e malattie
professionali. Le pensioni assistenziali (invalidità civile,
pensione sociale e pensione di guerra) sono circa 4,4 milioni e
impegnano 23,8 miliardi.
Si riduce il rapporto tra numero di pensionati Ivs e occupati,
che misura il carico dei pensionati sopportato da quanti
partecipano attivamente al mercato del lavoro. Nel 2018 ci sono 606
pensionati da lavoro - con pensione diretta o indiretta - ogni
1.000 persone occupate, mentre erano 683 nel 2000.
Più del 50% della spesa complessiva è erogata a residenti al
Nord, soprattutto come beneficiari di pensioni IVS - il resto nel
Mezzogiorno (27,8%) e al Centro (21,1%). Anche tenendo conto delle
differenze territoriali nella struttura per età della popolazione,
il tasso di pensionamento risulta più elevato al Nord (262
pensionati ogni 1.000 abitanti), scende nel Mezzogiorno (257) ed è
in assoluto più basso al Centro (253).
L'importo medio lordo dei singoli trattamenti nel 2018 non
supera i 500 euro mensili per le pensioni assistenziali e ammonta a
quasi 1.469 euro per quelle di vecchiaia (17.634 euro annui). Il
reddito pensionistico, ottenuto considerando che un percettore può
cumulare più trattamenti, sale in media rispettivamente a 1.175
euro e a 1.800 euro mensili. In termini nominali l'importo medio
delle prestazioni del 2018 è aumentato del 70% rispetto a quello
del 2000, con una dinamica più marcata rispetto a quella registrata
dalle retribuzioni medie degli occupati dipendenti. Rispetto al
2000, infatti, le retribuzioni sono aumentate del 35% in un
contesto di crisi economica che si è associata anche a
provvedimenti di blocco dei rinnovi contrattuali nel settore
pubblico, favorendo così l'allargamento del gap tra le due
curve.
Il 36,3% dei pensionati riceve ogni mese meno di 1.000 euro
lordi, il 12,2% non supera i 500 euro. Un pensionato su quattro
(24,7%) si colloca, invece, nella fascia di reddito superiore ai
2.000 euro. Il divario di genere è a svantaggio delle donne, più
rappresentate nelle fasce di reddito fino a 1.500 euro. La
concentrazione di percettori uomini, invece, è massima nella classe
di reddito più alta (3.000 euro e più) dove ci sono 266 pensionati
ogni 100 pensionate. Le donne sono la maggioranza sia come
percettrici di pensioni (55,5%) sia come pensionate (52,2%), ma
ricevono il 44,1% della spesa complessiva. L'importo medio delle
pensioni di vecchiaia è più basso rispetto a quello degli uomini
del 36,7%, quello delle pensioni di invalidità è del 33,8%. Per le
pensioni di reversibilità invece le donne percepiscono 1,5 volte
l'importo degli uomini.
I pensionati con redditi da pensione meno elevati risiedono
soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono più diffuse le pensioni
assistenziali a svantaggio di quelle da lavoro e dove il quinto di
popolazione che appartiene alla fascia di reddito da pensione più
basso percepisce fino a 7 mila euro lordi annui; nel Nord la soglia
sale a quasi 9.000 euro. Il quinto di pensionati con redditi
pensionistici più elevati percepisce al Centro e al Nord-ovest
oltre 27.000 euro lordi annui, nelle Isole oltre 24.000 euro.
Sono in netto calo i pensionati che continuano a lavorare.
Secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro, i pensionati da
lavoro che percepiscono anche un reddito da lavoro, pari a 406.000,
diminuiscono anche nel 2018 (-1,2% rispetto all'anno precedente e
-21,3% dal 2011), soprattutto nelle regioni centro-meridionali. Si
tratta di uomini in quasi otto casi su dieci, dei quali circa l'85%
svolge un'attività lavorativa indipendente, oltre due terzi
risiedono nelle regioni settentrionali mentre un terzo lavora a
tempo parziale (Tavola 8 in allegato). La metà dei pensionati
occupati ha al massimo la licenza media (31% per il complesso degli
occupati), uno su quattro è in possesso di un diploma. Il segmento
dei laureati, oltre un quinto del totale, è l'unico in aumento
rispetto sia all'anno precedente sia al 2011.
Infine, il rischio povertà è più basso tra le famiglie con
pensionati.
Nel 2017, la media dei redditi netti (esclusi i fitti
figurativi) delle famiglie con pensionati è stimata in 31.374 euro
(2.615 euro mensili), valore che si approssima a quello delle
famiglie senza pensionati (2.620 euro mensili). La metà delle
famiglie con pensionati non supera la soglia dei 24.780 euro (2.065
euro mensili), valore che scende a 22.182 euro nel Mezzogiorno e si
attesta intorno a 26.490 euro nel Centro e a 26.090 euro nel Nord.
Le famiglie con pensionati presentano valori del reddito medio e
mediano più bassi rispetto a quelli delle altre famiglie, mentre
accade il contrario se si considera il reddito netto familiare
equivalente (che tiene conto dell'effetto delle economie di scala e
rende direttamente confrontabili i livelli di reddito di famiglie
diversamente composte). Infatti, il valore medio di quest'ultimo
aggregato è pari a 20.646 euro per le famiglie con pensionati
contro i 18.900 euro delle restanti famiglie. Ne consegue che il
rischio di povertà delle prime (15,9%) è circa 8 punti percentuali
inferiore a quello delle seconde, confermando l'importante ruolo di
protezione economica che i trasferimenti pensionistici svolgono per
le famiglie.
La presenza di un pensionato all'interno di nuclei familiari
"vulnerabili" (genitori soli o famiglie in altra tipologia)
consente quasi di dimezzare l'esposizione al rischio di povertà
(rispettivamente dal 31,6% al 16,1% e dal 28,2% al 18,7%). Il
cumulo di pensioni e redditi da attività lavorativa abbassa il
rischio di povertà al 5,7% rispetto al 17,9% di quelle costitute da
soli titolari di pensioni. Anche l'apporto economico dei componenti
non pensionati, in particolare degli occupati, riduce il rischio di
povertà al 9,3%. Tra le famiglie con pensionati, le meno esposte al
rischio di disagio economico sono quelle in cui è presente un
pensionato che cumula redditi da lavoro con o senza altri
componenti occupati (rischio di povertà rispettivamente a 3,3% e
5,7%) mentre le più vulnerabili sono costituite da pensionati senza
altri redditi da lavoro che vivono con familiari non occupati
(32,5%).
Le famiglie di pensionati del Sud e delle Isole presentano
un'incidenza al rischio di povertà quasi tripla rispetto a quella
delle famiglie residenti nel Nord e più che doppia rispetto a
quelle del Centro.
pev
(END) Dow Jones Newswires
January 15, 2020 05:38 ET (10:38 GMT)
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