Gli advisor stanno passando al setaccio le 158 pagine del piano industriale 2017-2021 che vuole strappare Alitalia dalle sabbie mobili della crisi. La deadline, scrive La Repubblica, è fissata per fine febbraio quando un progetto credibile e forte dovrà essere presentato al governo e ai sindacati, che lunedì incontreranno l'esecutivo, oltre che agli azionisti che entro marzo dovranno decidere se mettere mano al portafogli e rimettere kerosene nel motore di Alitalia o lasciarla andare in picchiata.

Il pareggio di bilancio che nel 2017 doveva per la prima volta dal 1999 tornare a far brillare gli occhi del management è rinviato. Secondo le informazioni che fonti vicine al dossier hanno confermato a Repubblica, il prossimo obiettivo è di centrare il sospirato micro-utile operativo nel 2019/2020. Un'impresa titanica visto che le perdite della compagnia nel 2016 non sono molto distanti dal mezzo miliardo. Per salvare la compagnia servono tagli severi, che ammontano - esclusa una cifra tutta da definire sui tagli al personale- a circa 160 milioni di euro quest'anno, oltre a una ripresa significativa dei ricavi. Nel dettaglio: 40 milioni di risparmi arriveranno nel corso dell'anno dai fornitori, compresi aeroporti e catering a bordo; altri 30 milioni dalla riduzione dei costi d'acquisto di carburante, dalle commissioni trattenute sui biglietti da agenzie o intermediari. Il grosso però, circa 90 milioni, dovrebbe arrivare dalla revisione dei contratti di leasing che oggi Alitalia paga anche con il 15% in più rispetto alla media del mercato.

Gli aerei narrow body, a corridoio singolo usati sui voli brevi o medi, saranno ridotti tra le 10 e le 15 unità rispetto a oggi. Il piano prevede uno scenario "realistico" e uno "ottimistico": i wide body potrebbero passare dai 24 attuali a 40 a bocce ferme, ma se le cose dovessero andare meglio (e gli accordi coi partner sui voli per Usa, Canada e Messico dovessero andare in porto) anche da 24 fino a 50 aerei di lungo raggio a fine piano. Al centro di tutto il progetto di rilancio da qui al 2021 resta la joint venture sul Nord America che oggi "sforna" circa 400 milioni di ricavi ma ha potenzialità per una ulteriore crescita del traffico del 10%. Ball ha previsto due ipotesi: quella più "conservativa" considera la crisi del settore, mostra ricavi possibili aderenti alla realtà del trasporto aereo attuale del 50% superiori ad oggi. Un incremento dei ricavi che invece, nello scenario più ottimistico sulle rotte regolate dalla jv transatlantica dell'accordo che lega Alitalia, Delta e Air France, potrebbe anche triplicare gli introiti. Le rotte che fanno gola alla compagnia di Fiumicino e che porterebbero molto ossigeno in cassa come quelle per San Francisco, Montreal e Atlanta.

Un'altra voce considerata fondamentale per centrare il pareggio fra tre anni è l'avvio del sistema di emissione biglietti e ricerca dei voli (Sabre) che tra risparmi e ottimizzazione dei processi, inizierà a portare in cassa intorno ai 100 milioni di euro potenziali, nel momento in cui funzionerà a pieno regime. Il progetto dell'ad Cramer Ball ha infine altri tre punti fermi. Il 1* è legato al network con un incremento della capacità (passeggeri trasportati) nel 2017 dell'8% sul lungo raggio. Il 2* riguarda il settore degli acquisti che saranno centralizzati e uniformati per l'intero gruppo di compagnie (sono 9) di cui Etihad è azionista. L'ultimo è relativo al costo dei biglietti e alla filosofia stessa della nuova Alitalia sul medio raggio, dove chi vorrà di più dovrà pagare di più.

pev

 

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February 15, 2017 02:51 ET (07:51 GMT)

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