Teatro Filosofico : Da Seneca, Ai Giorni Della Nostra Fine !

MODERATO IL GIAPPONESE (Utente disabilitato) N° messaggi: 1145 - Iscritto da: 17/6/2018
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MODERATO Giuseppe Cavaletta (Utente disabilitato) N° messaggi: 1796 - Iscritto da: 29/1/2018
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92 di 181 - 25/7/2018 17:39
quasi40 N° messaggi: 1287 - Iscritto da: 25/8/2016
Andando, di fiore in fiore come un ' ape, mi soffermo su " Radio Londra ", di Giuliano Ferrara. Certamente meno impegnativo di Umberto Eco ma ugualmente interessante, a mio parere, per diversità di argomenti, riferiti ad un tempo successivo, che per la " verve " che ha sempre caratterizzato Ferrara, indipendemente dal considerarlo simpatico o meno. Un Ferrara Ferrara, per usare un gioco di parole. Fin dall ' introduzione, a cui dò inizio: " Non sono un giornalista. È vero che ho la tessera professionale e che mi pagano come un calciatore per fare un lavoro che al giornalismo perlomeno assomiglia. Ma non sono un giornalista. Sono piuttosto un non giornalista di terza genera. Mio nonno scriveva per i grandi giornali borghesi ma si lasciò serenamente travolgere da buone passioni politiche. Mia madre e mio padre lo stesso: non giornalisti anche loro. Per decenni hanno lavorato con entusiasmo e onore nella stampa comunista, che negli anni della guerra fredda dava tutte le notizie occultate dai giornali della borghesia italiana, e almeno altrettante ne nascondeva. Forse è per questo che in casa non mi è mai capitato di sentire espressioni di deferenza per quella solenne coglionata che è la sacralità della notizia. Devo avere imparato da subito quanto siano faziosi la vita e il linguaggio che la esprime, e presto ho cominciato ad apprezzare l ' una e l ' altro senza ipocrisie, come un insieme di notizie controverse e tendenziose. Dai venti ai trent' anni ho fatto politica, a Torino, nel partito comunista. Anni che ricordo belli, fertili, pieni di speranze, di urgenze e di angosce. La politica mi ha insegnato molto: che cos ' é una fabbrica, uno sciopero, una massa, un reticolo tendenzialmente infinito di relazioni umane; in che cosa consistono il fascino personale, l ' eloquenza, la virtù del comando, della saldezza e prudenza nell ' esercizio di un potere. La politica mi ha anche insegnato dove si separa la retorica e la demagogia, l ' eleganza rozza di una prova di forza e l ' imperdonabilità delle sconfitte. Ho appreso tra l ' altro che cos ' é una guerra civile strisciante, come funziona una pistola, come agisce la paura. La politica mi ha erudito intorno ai gioco sottile degli istinti, mi ha illustrato le grandi leggi dell ' attesa e della durata, l ' individualità e carnalità di ciascun fatto oltre il muro dell ' astrazione intellettualistica. Mi ha dato modo, tra l ' altro, di vedere il giornalismo dall ' altra parte del tavolo, osservandone da vicino le regole non scritte. - ...
93 di 181 - 25/7/2018 18:22
quasi40 N° messaggi: 1287 - Iscritto da: 25/8/2016
...La mia verità è semplicemente questa. Non amo, anzi detesto, il giornalismo come professione: trovo che si sente casta ed è combriccola, che si pretende indipendente ed è servile, che si professa imparziale quando è più surrettiziamente partigiano. Diffido degli ideali vagheggiati, delle vocazioni sapientemente amministrate, dello spirito di servizio e dei sacrifici al Dio lettore. Il giornalismo che piace a me è un mestieraccio, un diritto politico, un ' arte profana, un accesso che sia il più selvaggio e libero possibile ai mezzi di espressione ( il codice deontologico, generalmente, è l ' ultimo rifugio delle canaglie ). Nei giornalisti puri è soprattutto insopportabile la paura del potere: paura di averlo e di perderlo, di subirlo e di esercitarlo. Il perché di mille nevrosi, frustrazioni e abusi sta lí, in quella insincera e formale estraneazione dalla politica che è la caratteristica più risibile del giornalismo cosiddetto indipendente. Nel decalogo immaginario del non giornalista quella paura non c ' è. Per i custodi della purezza professionale il potere è una fonte di seduzione o un oggetto opaco di concupiscenza: per me e per quei pochi altri che non amano la prosopopea moraleggiante della corporazione, il potere è garante della libertà di stampa. Un giornale libero è sempre, e vuole sempre essere, una voce influente, potente. Si muove, se sa e se può, come un potere fra i poteri. Assume su di sé con trasparenza il peccato originale della sua proprietà, pura o impura, e delle strategie politiche ed efitoriali che gli consentono di sopravvivere. La prima regola di questo mestiere di finte vergini è compromettersi. Il contropotere è un " flatus vocis ", un suono senza significato, una foglia di fico. Editori puri e giornalisti puri sanno come va il mondo, sanno che le loro fortune e virtù si mescolano alle virtù e alle fortune degli altri. Sanno che c ' é concorrenza, lotta economica e lotta politica. E tengono bene a mente il codice discreto delle alleanze da contrarre, delle inimicizie da rimuovere o neutralizzare, degli avversari da colpire, degli interessi da promuovere. Tuttavia parlano di contropotere. Sbeffeggiano i loro lettori nell ' atto stesso di rendergli l ' omaggio più ipocrita. Per questo i giornalisti che si credono altoparlanti della società sono invariabilmente dei bugiardi e gracchiano. La loro menzogna può essere amabile o goffa. Può essere più o meno interessante ascoltarli, leggerli, intrattenersi con loro. Grandi bugiardi, come Scalfari, meritano il rango di maestri nell ' arte loro; certi scherani ospitano invece coscienze da esposizione, tutte azzimate e lucide. Ma la bugia professionale è il comune collante deontologico. Devono essere bugiardi, se vogliono essere ciò che sono. - ...
94 di 181 - 25/7/2018 20:35
quasi40 N° messaggi: 1287 - Iscritto da: 25/8/2016
...La società civile é il luogo del conflitto. Secondo Hegel è disunione e apparenza. Gli altoparlanti, i portavoce dell ' opinione pubblica pretendono di incamerare quella apparenza e di ridurre al silenzio sotto l ' imperio della loro voce quella chiassosa disunione. Sbandieratori della libertà, sono uomini d ' ordine dissimulati. Invece di giocare la partita, nelle diverse squadre di un ' informazione concorrenziale, presumono di poterla sorvegliare e arbitrare dall ' alto. Non portano maglietta. Si dicono battitori liberi, giudici al di sopra delle parti. Per questo annoiano e intristiscono, come tutti i millantatori e i velleitari, come i desideri insoddisfatti. Che la lotta politica moderna si faccia sui giornali e alla televisione, non dovrebbe essere una novità da lungo tempo. Ma il giornalismo è addirittura nato come una funzione autonoma della politica, una sua funzione autonoma della politica, una sua proiezione intellettuale e tecnica, un suo livello distinto e dotato di regole proprie. Quando è consapevole di questo condizionamento diretto, che appartiene per essenza alla sua natura, è giornalismo onesto. Quando ne è all ' oscuro, è giornalismo somaro. Quando si finge altrove, è giornalismo d ' inganni e di malizie. Il giornalismo italiano spreca troppe energie in una vana, risibile opera di censura della politica. Dovrebbe invece imparare a prendere le distanze dalla politica, e dunque a stabilire lo spazio e le regole di una contiguità sorvegliata e consapevole. È perfino troppo ovvio che la petulanza del politicante che sgomita va imbavagliata e resa muta, a costo di mozzargli la lingua. La pratica del soffietto, del titolo compiacente dell ' intervista precotta ha ormai, per la sua diffusione capillare, qualcosa di osceno ( e non è eccitante ). La marchetta fa parte del mestiere, come sanno per esperienza diretta i nostri migliori professionisti. Però bisognerebbe andarci piano. - ...
95 di 181 - 26/7/2018 17:51
quasi40 N° messaggi: 1287 - Iscritto da: 25/8/2016
...Ma non lasciarsi asservire dsl mondo politico non vuol dire che si debba castrare la natura intimamente polemica e conflittuale, politica, di questo lavoro. Un giornalista che non prende ordini dai partiti può ben essere disposto, deve esserlo, a cercarli come interlocutori. Più semplicemente, un cronista che non abbia contatti compromettenti con la politica e con gli animali che si muovono nelle sue gabbie non è un uomo libero, è un uomo vuoto. Il suo professionismo ha un sapore sciocco, generico, è il contrario della bravura, della spavalderia o almeno della curiosità intellettuale, della malizia onesta; è un ' accumulazione inerte di esperienza, l ' allineamento stanco di trucchi risaputi. Vadano a raccontarla a quslcun altro la favola del giornalista osservatore. Perfino il grande Sirius, il fondatore di " Le Monde " che aveva scelto come pseudonimo la stella più fredda e lontana dalle cose della terra, ha sempre guidato il suo austero barcone tra le burrasche della politica, senza alcuna paura di prendere gli spruzzi. La favola che piace a me e che piace al pubblico, quel formicaio di ipocrisie che è il grande pubblico, è tutta un ' altra. Parla di un giornalista complice e traditore, gentiluomo e ladro,confidente e spia dell ' esistenza, affogato senza paura nella congiuntura di un giorno o di un ' ora, pronto a sparire subito dopo come inchiostro disfatto e carta straccia. Eppoi la corruzione e la vanità sono l ' essenza del giornalismo. Non c ' é qualcosa di corrotto e di criminale nella pretesa di trattare i fatti a proprio beneficio immediato, per campare la vita? Non c ' é qualcosa di losco in questo trasformarsi e mescolarsi e scomporsi delle notizie, in questa degenerazione pulviscolare della Storia che è la cronaca? Parlo soprattutto della breve durata, del fiato corto del giornalismo più serio e meno serioso, della sua naturale tendenza a lasciarsi oltrepassare e assorbire da quel gioco sfuggente di specchi che è il valore incerto di una notizia nel tempo. Di ingannevole e disonesto nel mestiere c ' é soprattutto questo: la pretesa di attribuirgli il valore delle cose assolute. " Radio Londra " è stato un esempio effimero e libero di giornalismo e perciò forse ha diritto di morire in un libro invece che nella fossa comune degli archivi elettronici. La libertà di " Radio Londra " e stata la sua parzialità, la sua capacità quasi inesauribile di dividere il pubblico gigantesco e familiare della prima serata televisiva e di farlo pensare, sospettare, gioire, adirare. Per la sua trasparenza, per il destino di cristallo che l ' ha perseguitata, " Radio Londra " non poteva che finire in una campagna elettorale, il più alto atto di moralità politica e civile delle democrazie moderne. - ...
96 di 181 - 26/7/2018 18:16
quasi40 N° messaggi: 1287 - Iscritto da: 25/8/2016
...In questo paese è tollerato, e perfino vezzeggiato, il qualunquismo. Se vuoi costruirti una carriera di giornalista indipendente la regola è semplice : parla male di tutti, sii linguacciuto verso i potenti, mobilita il tuo spiritaccio, ( se ce l ' hai ) contro le mostruosità del potere in tutte le sue forme. Ma ricordati di non risparmiare nessuno. Le tue battute da treno o da negozio di barbiere devono passare sulla pellaccia di tutti, proprio di tutti. Allora sei un eroe dell ' ipocrisia nazionale. E all ' ombra di quella ipocrisia puoi fare tranquillamente i tuoi pasticvi, brigare con i potenti per la direzione di questo o quel giornale, barcamenarti tra una congiuntura e l ' altra con la sapienza di un vecchio navigatore. Se invece dai corso libero alle tue opinioni, alle tue sensibilità civili, e ti schieri per questa o per quella battaglia politica, e magari lo fai senza troppe riserve, senza troppi distinguo, per vincere, allora sei un giornalista fazioso. La tua faziosità starà nel non pensarla come la maggior parte dei tuoi colleghi in corporazione. La tua insopportabile superbia, la tua aggressività inspiegabile consisterà nel fatto che hai sputtanato la finta indipendenza della tua professione. Anzi, hai sputtanato la professione tutta intera. Parlar male di tutti vuol dire accontentare tutti. Ma un mondo di lettori e di spettatori tutti accontentati è un mondo di scontenti. I giornalisti che uniscono il pubblico certamente lo annoiano. Quelli che lo blandiscono a ogni passo lo torturano e lo peggiorano. Viva la faccia di quei pochi che lo dividono. - Roma settembre 1989 .
MODERATO DucaConte LupoGufoCorvo (Utente disabilitato) N° messaggi: 2372 - Iscritto da: 23/10/2017
MODERATO DucaConte LupoGufoCorvo (Utente disabilitato) N° messaggi: 2372 - Iscritto da: 23/10/2017
99 di 181 - 28/7/2018 18:47
quasi40 N° messaggi: 1287 - Iscritto da: 25/8/2016
Rileggere Machiavelli. Da Radio Londra. " Se avete visto il telegiornale della prima rete, quello della democrazia cristiana, diretto dal mio simpaticissimo amico Nuccio Fava, vi sarete accorti che De Mita non ha affatto perso: anzi, il segretario della democrazia cristiana é in sella più che mai; e la DC é un partito unito, pieno di applausi e di calorosi fraterni abbracci. Le cose non stanno propriamente così; anzi, devo dire che mi viene da sorridere, amichevolmente e benevolmente, se penso agli sforzi sovrumani che devono avere fatto i colleghi del telegiornale, quello ufficiale, per commentare questa notizia. Perché ormai l ' hanno capito pure i bambini che De Mita, in realtà, esce sconfitto da questo congresso, prima ancora che il congresso si concluda. Come sapete, infatti, De Mita perde la segreteria della democrazia cristiana e la perde,per di più, a favore di quello che egli stesso aveva considerato un suo rivale, cioè Arnaldo Forlani. In secondo luogo, De Mita affronta il congresso con il proprio esercito, la sinistra democristiana, scompaginato e diviso. In terzo luogo, De Mita ottiene soltanto una carica di consolazione, la presidenza del Consiglio nazionale della democrazia cristiana, e anche per quella carica non sono tutte rose e fiori. Infine, il Governo entra in una fase di pericolosa fibrillazione. Naturalmente, c ' é la claque che fischia Forlani, che applaude De Mita: baci, abbracci, lacrime, assicurazioni, giuramenti di mutuo soccorso, di reciproco aiuto ( i democristiani si considerano sempre amici in pubblico ); ma la realtà politica nuda e cruda di quello che sta succedendo è tutt ' altra. Ieri abbiamo spiegato come si è arrivati a questa sconfitta di De Mita. Stasera dobbiamo brevemente ragionare sul perché. Io credo che De Mita abbia perso perché non ha letto " Il Principe ", un libro scritto da Nicolò Machiavelli nel Cinquecento. Machiavelli conosceva molto bene la politica. De Mita, qualche anno fa, nel 1985, aveva il problema di contribuire a eleggere in Parlamento il nuovo presidente del Repubblica. A Pertini era scaduto il mandato e bisognava fare il nuovo presidente. Accordatosi con Craxi, avrebbe potuto eleggere Arnaldo Forlani, che era un candidato importante per il Quirinale. Ma De Mita preferì andare da Alessandro Natta, allora segretario del partito comunista, e, diciamo, decidere insieme con lui che il presidente sarebbe stato un altro, un presidente che tutti noi amiamo e rispettiamo, Francesco Cossiga, e che sarebbe stato eletto da tutto il Parlamento al primo scrutinio. Insomma tra due suoi compagni di partito - di allora, perché poi Cossiga lasciò la tessera della democrazia cristiana ed è diventato il presidente di tutti noi - scelse Cossiga, quello che allora giudicava più vicino; e naturalmente questo non gli comportò gratitudine da parte di Forlani. - ...
100 di 181 - 29/7/2018 09:07
quasi40 N° messaggi: 1287 - Iscritto da: 25/8/2016
...Due anni dopo, nell '87, dovendo abbattere Craxi, che era presidente del Consiglio, e dargli lo sfratto da Palazzo Chigi, De Mita si trovò di fronte a una situazione per lui imbarazzante: Andreotti poteva riuscire a diventare presidente del Consiglio, successore di Craxi. Questo, però, avrebbe comportato per De Mita una situazione sfavorevole, perché al posto di Craxi sarebbe arrivata a palazzo Chigi un leader politico che De Mita giudicava troppo vicino al segretario del partito socialista, il proprio rivale, con il quale ha duellato per tutti questi anni. E allora tagliò le gambe anche ad Andreotti. In che modo? Semplice. Disse: " Io non faccio nessun governo con i socialisti se i socialisti non sono d ' accordo con me nel cancellare i referendum sulla giustizia giusta e sull ' energia nucleare". I socialisti, naturalmente, non potevano essere d ' accordo, e Andreotti non potè fare il Governo. Si andò alle elezioni anticipate, allo scioglimento delle Camere. Poi, naturalmente, De Mita fece lo stesso un Governo con i socialisti, e come tutti ricorderete, perché vi avete partecipato, si svolsero anche i referendum; e anche questa Andreotti se la legò al dito. In questo libro - nel " Principe " - sta scritta una grande verità politica. Uno può essere d ' accordo o no, giudicarla giusta o non giusta, ma una grande verità in politica è questa: i nemici bisogna o vezzeggiarli, o spegnerli. Non si può stare in bilico tra queste due soluzioni. O tu li lusinghi e te li fai amici, oppure li devi eliminare. Non puoi tenerli lí con il loro carico di ingratitudine e contemporaneamente rinunciare a dargli il colpo. Ecco: questo è stato l ' errore fondamentale che ha creato a De Mita le difficoltà che lo hanno portato alla sconfitta attuale. Machiavelli commenta, a proposito di un altro leader politico, il duca Valentino: " Errò dunque el Duca in questa elezione e fu cagione dell ' ultima rovina sua ". Ciriaco De Mita si è costruito la sua sconfitta con le sue mani. "" Da Machiavelli a De Mita per arrivare a Salvini - Di Maio, attenderemo l ' esito. Chissà se i nostri due hanno avuto tempo, e voglia, di leggere " Il Principe ".
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