ROMA (MF-NW)--Il convitato di pietra nella grande assise di Mediobanca si chiama voto maggiorato. Ma la sua presenza si fare sentire soltanto su tempi lunghi. Più dilatati rispetto all'esito dell'assemblea di sabato 28 ottobre e della contesa tra il consiglio d'amministrazione uscente guidato da Alberto Nagel e la lista Delfin la cassaforte lussemburghese della famiglia Del Vecchio condotta da Francesco Milleri, forte del sostegno di Francesco Gaetano Caltagirone I riflessi delle novità introdotte con il ddl Capitali saranno graduali e potrebbero sconvolgere gli equilibri di Piazzetta Cuccia, come di molte altre quotate a Piazza Affari. L'esito sarà quello di rafforzare i diritti in assemblea dei soci di lungo corso.

Certo, affinché ciò accada, scrive MF-Milano Finanza, è tuttavia prima necessario che l'azienda, Mediobanca in questo caso, aggiorni il proprio statuto per includere le previsioni del disegno di legge per sostenere borsa e il mercato dei capitali, licenziato in prima lettura dal Senato martedì 24 ottobre, che dà la possibilità alle quotate di adottare la maggiorazione dei diritti di voto per ciascuna azione, attribuendo di anno in anno maggior peso, fino a ottenere un moltiplicatore dieci per ciascun titolo. Uno scossone per diverse società sul listino di Milano. Già l'attribuzione di tre voti per azione potrebbe scombussolare le dinamiche e la forza tra i soci. Occorre però che le aziende decidano di adottare tale meccanismo. La rivoluzione è legata a doppio filo alla partita Mediobanca. È stato nelle settimane di preparazione delle liste in campo in assemblea che le regole sul voto maggiorato hanno preso corpo nelle discussioni in commissione Finanze al Senato. Un dibattito spinto dalla decisione di Brembo di trasferire la sede legale nei Paesi Bassi.Il caso Brembo è diventato il segno che la maggiorazione dei diritti di voto per gli azionisti di lunga data, così come prevista nell'ordinamento, non è sufficiente. Oggi la maggiorazione è già consentita, ma fino a un massimo di due voti per azione. Finora, dati Consob, sono state 73 le società ad aver previsto nel proprio statuto tale possibilità. Tra queste anche Class Editori, società che pubblica questo giornale, tra le prima a optare per la novità fin dal 2015.

Il numero cresce di anno in anno. A fine 2021, ricorda l'ultima rapporto sulla governance stilato dalla Commissione di vigilanza su borsa e mercati, il voto maggiorato è previsto nello statuto di 69 emittenti (64 nel 2020), rappresentativi di poco più del 18% del valore totale di mercato. L'anno prima erano 64. Gli azionisti avevano maturato la maggiorazione dei diritti di voto in 46 società, nelle quali, per il socio principale si registra una differenza tra diritti di voto e diritti ai flussi di cassa (cosiddetta wedge) pari in media al 12,7.

Da inizio anno sono state invece cinque le società ad adottare il voto maggiorato: Brunello Cucinelli, Unidata, Technoprobe, Some e Digital Value. Il caso Brembo può dimostrare che il voto maggiorato non è forse l'unica ragione dietro la scelta di guardare al modello olandese. È solo una delle tante per preferire un sistema più competitivo. Il ddl Capitali, nelle intenzioni, serve appunto a invertire tale rotta.

Brembo è infatti una delle 73 società i cui statuti già prevedono la maggiorazione del voto.

Alberto Bombassei, attraverso la Nuova Fourb srl già ha assegnato un 69,679% sui diritti di voto e, dato di ottobre, aveva richiesto l'iscrizione nell'elenco speciale che tiene conto delle azioni che godono di maggiorato di titoli e che fornivano un altro 0,026%. Tra le prime aziende a ricorrere allo strumento c'è stata Maire. L'elenco più aggiornato degli azionisti che hanno puntato sullo strumento include il presidente Fabrizio Di Amato e la spagnola Cobas Asset Management. Dentro Iren tale scelta è stata soprattutto appannaggio dei soci pubblici e istituzionali. Fcu e Fct, ossia il Comune di Genova e quello di Torino, la cui partecipazione è del 18,851 e del 13,8% godono invece di diritti di voto pari al 23,991 e al 17,566%. Reggio Emilia sta all'8,174% su una partecipazione del 6,423%, la Compagnia di San Paolo è in realtà al 4,375%. Lo stesso schema è seguito in Hera, dove sono i Comuni di Bologna, Imola, Ravenna, Modena, Trieste, Padova e Udine a comparire nell'elenco, costituendo un solido argine.'istituto potrebbe diventare anche uno scudo nelle mani dello Stato, permettendo di alleggerire le partecipazioni nelle quotate pubbliche (nella Nota di aggiornamento del Def sono previste privatizzazioni per 20 miliardi) cementando comunque il controllo e dotandosi così di un ulteriore protezione capace di andare oltre al golden power e la possibilità di far valere poteri speciali sugli asset strategici.

Altrove è il modo per le famiglie e la proprietà di mantenere la presa. Dentro la Juventus è ovviamente Exor a dettare la linea: sul 63, 766% del capitale la casa Agnelli-Elkann conta su una forza in assemblea del 77,8%, mentre in Danieli la Sind International ha richiesto nel 2021 l'iscrizione all'elenco per partecipazioni pari al 67,71%. In campo finanziario il meccanismo piace a Banca Sistema e a Unipol. E poi c'è il caso Webuild, dove la possibilità di contare di più è stata adottata da Salini e dal Cdp Equity, con oltre il 40% e il 16% del capitale sociale.

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