Spigolature

- Modificato il 01/12/2017 10:47
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010

e di tutto un po'.

gocce di saggezza, briciole di buone letture,

poesia e musica indimenticabile e chi più ne ha più ne metta.

Buona giornata!





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281 di 996 - 10/11/2017 17:40
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
SOTTO IL VESTITO

Da qualche giorno, a Istanbul, chi prende in mano un vestito negli spacci di alcune catene di abbigliamento ci trova dentro un biglietto: “Il capo che stai per acquistare è stato realizzato da me, ma non sono stato pagato per questo.” Si tratta della originale protesta degli ex operai tessili della Bravo, una delle tante aziende subappaltatrici a cui i grandi marchi mondiali, non solo dell’abbigliamento, delegano il lavoro sporco di sottopagare i dipendenti per poi licenziarli in tronco senza neanche prendersi il disturbo di pagare loro gli arretrati.

Il meccanismo di questa caricatura di capitalismo, che ai veri liberali fa venire il voltastomaco, è perverso ancorché supinamente accettato dal pensiero unico come ineluttabile. Funziona così. Poiché i consumatori impoveriti possono ormai permettersi solo prodotti a basso costo, per abbattere i prezzi si riducono in tutto il mondo i salari dei lavoratori, che si impoveriranno ancora di più e, come consumatori, potranno permettersi solo prodotti dai costi ancora più bassi, per realizzare i quali sarà necessario ridurre ulteriormente i salari di chi li fa. Siamo all’avvitamento del sistema. Come recita l’articolo unico della Costituzione Globale, il lavoro non è più un diritto, ma un costo. Da abbassare di continuo, fino all’azzeramento finale tramite robot.

Nel frattempo è già stato azzerato dal dibattito pubblico: c’è forse ancora un politico di prima fila che ne parla? Eppure sarebbe l’unico argomento in grado di riportare alle urne i tanti impoveriti a cui non resta che nascondere biglietti sotto il vestito.

Massimo Gramellini
282 di 996 - 10/11/2017 17:51
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
VOTARE NON E' PIU' DEMOCRATICO?

David Sassoli Vicepresidente parlamento europeo

Il tema sta facendo il giro del mondo. O meglio, del mondo dove la Democrazia è acquisita da tempo e le elezioni sembrano essere il solo modo per riconoscerla. In effetti le elezioni non esauriscono il tema della democrazia e il dibattito è aperto fin dai tempi di Rousseau e Constant. "Contro le elezioni", dell'intellettuale belga David Van Reybrouck, è un viaggio nello strumento che ha reso possibile la democrazia in molti paesi. Che ha consentito a uomini e donne di entrare nel gioco politico, di allargare le basi popolari dei sistemi politici, di superare logiche oligarchiche, di garantire cittadinanza. Ma come tutti gli strumenti, sostiene Van Reybrouck, è destinato ad essere sostituito o integrato da altre invenzioni.
L'autore, famoso per "Congo", un vero capolavoro uscito nel 2014, lancia la sua provocazione fin dal sottotitolo: "Perché votare non è più democratico". Il riferimento è alla stanchezza che suscitano i meccanismi che tengono in vita i regimi democratici. Primo fra tutti, le elezioni.
Il dibattito viene da lontano e rilancia la distanza fra democrazia formale e democrazia sostanziale. La questione è sotto gli occhi di tutti. Mentre in tanta parte del mondo si muore ancora per ottenere libere elezioni, in molti paesi di antica tradizione l'astensionismo è ormai il primo partito. Che qualcosa non vada è scontato. Anche atteggiamenti considerati populisti, in alcuni casi, non escludono opzioni democratiche, ma rivendicano discontinuità e maggiore partecipazione. Bollare ogni fenomeno semplicemente come disaffezione sarebbe superficiale. Lo stesso vale, però, anche per le ricette provocatorie contenute nel libro, come il sorteggio fra i cittadini per amministrare la cosa pubblica. Alcuni degli esempi proposti, infatti, non consentono ancora di intravedere meccanismi idonei a garantire pratiche di "rianimazione" e di superare il formalismo che ha caratterizzato i regimi democratici.
Scriveva Norberto Bobbio, nel 1983: "le regole stabiliscono come si debba arrivare alla decisione politica, non che cosa si debba decidere". Far coincidere l'esperienza democratica alla sola pratica delle elezioni, dunque, potrebbe distruggere la democrazia. Quantomeno esaurirla. Scrive Van Reybrouck:
"Se si guarda l'aumento dell'astensionismo, la diserzione dei militanti e il disprezzo che colpisce i politici, se si guarda la difficile gestazione dei governi, la loro mancanza di efficacia e la severità della correzione inflitta dall'elettore alla fine del loro mandato, se si guarda la rapidità del successo del populismo, della tecnocrazia e dell'antiparlamentarismo, se si guarda il numero crescente di cittadini che aspirano a una maggiore partecipazione, e la velocità con cui quest'aspirazione può trasformarsi in frustrazione ci si dice: ci resta un minuto. Il nostro tempo è contato".
Insomma, democratizzare la democrazia è il sottofondo della riflessione contenuta nel saggio di Van Reybrouck. E non è questione oziosa, né da sottovalutare. "Per il momento la quiete sembra regnare, ma è la quiete prima della tempesta", scrive l'autore. "È la quiete del 1850, quando la miccia della questione operaia fumava, ma non aveva ancora dato fuoco alle polveri. È la quiete che precede un lungo periodo di forte instabilità. All'epoca, la grande questione era il diritto di voto, oggi il diritto di espressione. Ma in fondo è la stessa lotta: è la lotta per uscire dalla curatela politica, per la partecipazione democratica". La diagnosi è accurata e chiama in causa tutti "i soggetti" della democrazia, primi fra tutti i partiti politici tradizionali, che si presentano in Europa prigionieri di schemi antichi e spompati. Il loro appeal non è mai stato così scarso e il tasso di inquinamento e corruzione esagerato, come riferiscono i recenti dati di Global Corruption Barometer. La capacità di suscitare partecipazione da parte dei partiti, infatti, è troppo spesso legata alla difesa di interessi particolari o utilizzata a sostegno delle leadership politiche del momento. Ma senza partiti, come possono vivere i sistemi democratici? Reazioni non se ne vedono e le derive oligarchiche, tecnocratiche e populiste sono dietro l'angolo: "O la politica spalanca le porte o queste non tarderanno a essere sfondate da cittadini in collera che sfasceranno la mobilia della democrazia".
La questione che ha appassionato generazioni di costituzionalisti e politologi fra democrazia formale (governo del popolo) e democrazia sostanziale (governo per il popolo) torna di attualità. Era anche un cavallo di battaglia della riflessione dei giovani riformatori - dossettiani, azionisti e radicali - negli anni successivi alla Costituente. Poi, il tempo ha reso opaco e burocratico il discorso che ora torna ad interrogare il fronte democratico. Il dibattito è aperto e una cosa è certa: della riflessione di Van Reybrouck sentiremo ancora parlare.
283 di 996 - 10/11/2017 18:05
luomo_nero N° messaggi: 458 - Iscritto da: 15/3/2016
mi vengono sempre in mente coloro i quali devono rendere conto e devono andare a votare per forza, si insomma coloro i quali vengono chiamati i novantagradi
chissà cosa pensa quella gente della parola DEMOCRAZIA?
284 di 996 - 10/11/2017 18:14
luomo_nero N° messaggi: 458 - Iscritto da: 15/3/2016
invece che chiamarli gente con le balle girate adesso al radical chic fa bene riempirsi la bocca con populismo però si chiama gente incazzata
285 di 996 - 10/11/2017 18:14
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010

LA POLITICA (Trilussa)

Ner modo de pensà c'è un gran divario:
mi' padre è democratico cristiano,
e, siccome è impiegato ar Vaticano,
tutte le sere recita er rosario;

de tre fratelli, Giggi ch'er più anziano
è socialista rivoluzzionario;
io invece so' monarchico, ar contrario
de Ludovico ch'è repubbricano.

Prima de cena liticamo spesso
pe' via de 'sti principî benedetti:
chi vò qua, chi vò là... Pare un congresso !

Famo l'ira de Dio ! Ma appena mamma
ce dice che so' cotti li spaghetti
semo tutti d'accordo ner programma.

286 di 996 - 10/11/2017 18:18
luomo_nero N° messaggi: 458 - Iscritto da: 15/3/2016
ahha haaha brava signora Lella questa di Trilussa me la ricordavo ma ha fatto bene a proporla una bella rinfrescata di memoria serve sempre
MODERATO Fausto Bertinotti (Utente disabilitato) N° messaggi: 801 - Iscritto da: 23/10/2017
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296 di 996 - 11/11/2017 11:05
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010

GLI ITALIANI VISTI DAGLI ITALIANI:

Noi altri Italiani, abbiamo quasi tutti questo difetto organico di voler veder tutto e dirigere tutto con principi larghi e generali, trascurando poi le minuzie. Finché si parla di libertà, di virtù, di felicità, noi siamo sempre pronti a batterci o a ciarlare e abbiamo sempre pronte molte e belle teorie per risolvere i più astrusi problemi sociali o individuali. Ma poi, quando si tratta di tradurre le teorie nel linguaggio modesto della vita quotidiana, quando si deve pensare al bilancio della giornata e dell'ora presente, alziamo le spalle e lasciamo che le cose avvengano come a loro piace.

PAOLO MANTEGAZZA (1831-1910), L’arte di essere felici
297 di 996 - 11/11/2017 11:10
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010


FILOSOFANDO

"Per convincere l'uomo a lavorare e a produrre di più di quanto non sia capace di consumare, noi dobbiamo puntare tutto sulla voglia di arrivare prima degli altri. Dice Smith all'uomo : "Se tu lavori molto, io, in cambio di questo lavoro, ti darò tanti pezzi di carta sui quali scriverò 'una sterlina', cento o mille sterline, e tu sarai tanto più felice quanto più denaro riuscirai a mettere da parte. In pratica, il capitalismo fa affidamento sull'egoismo umano e sulla sua voglia di arraffare. Carlo Marx invece, avendo saputo da un certo Giacomo Rousseau che l'uomo era buono per natura, decise di far leva sulla bontà. In altre parole è come se avesse detto all'uomo : "tu devi lavorare per il bene della collettività ; poi tutto quello che riuscirai a produrre sarà diviso in parti uguali fra gli uomini della nazione". L. De Crescenzo.
298 di 996 - 11/11/2017 11:12
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010


L'INDENNITA'

Adesso, ar Parlamento Nazzionale,
ogni rappresentante der Paese
sai quanto pija? Mille lire ar mese:
dodici mila all’anno… Nun c’è male!
Chi je le dà? Nojantri: è naturale!
Ne la paga, però, ce so’ comprese
l’opinioni politiche e le spese
pe’ sostené la fede e l’ideale.
Quelli che ne potrebbero fa’ senza,
perché so’ ricchi e cianno robba ar sole,
li spenneranno pe’ beneficenza.
Er mio, defatti, pare che li dia
ar Pro-Istituto de le donne sole
ch’hanno bisogno d’una compagnia…

Trilussa 1913
299 di 996 - 11/11/2017 11:23
lucia31 N° messaggi: 436 - Iscritto da: 01/3/2016
Fausto il tuo parlar non mi è sconosciuto.. ci troveremo da qualche parte ci troveremo
300 di 996 - 12/11/2017 00:03
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
DALLE PIE FRODI ALLA NOBILE MENZOGNA:
Platone, Voltaire e la “politica del velo


Leo Strauss alla Casa Bianca

La necessità, evidente in Voltaire, di una duplice soluzione del “problema politico” – nelle diverse accezioni in cui quest’ultimo può essere inteso – che, presupponendola, tenga conto di una netta e incolmabile disuguaglianza a livello intellettuale e culturale fra gli individui, riemerge prepotentemente in Leo Strauss. A questo punto della riflessione, con l’obiettivo di comprendere fino a che punto siano condivisibili le tesi di Wingo e Rorty – secondo le quali il ricorso a “errori utili” e la rinuncia alla “politica della trasparenza” si rivelano necessari per la conservazione e il consolidamento delle democrazie liberali moderne – sembra utile analizzare come il concetto platonico di “nobile menzogna” venga reinterpretato in Strauss. Proprio la proposta filosofica e politica di carattere aristocratico di questo autore, infatti, dimostrerebbe come la legittimazione dell’inganno nei confronti di una parte dei cittadini di una società, oltre al fatto di presupporre una concezione evidentemente paternalistica, ben lungi dal favorire la democrazia, finirebbe per sovvertirla, se non nella forma, quantomeno nella sostanza.

Strauss, facendo propria una prospettiva antiegualitaria e aristocratica, in polemica con la modernità e con concezioni di tipo democratico e liberale, recupera esplicitamente la “nobile menzogna” platonica affermando l’esigenza dell’uso strumentale delle religione da parte dell’élite politica in ambito pedagogico. Evidentemente influenzato dalle riflessioni filosofiche di stampo platonico e presupponendo una differenza radicale, dal punto di vista intellettuale e morale, tra il popolo e i “filosofi”, Strauss ritiene necessario nascondere a livello pubblico e politico gli esiti scettici cui la critica filosofica conduce. Per realizzare questo obiettivo egli propone il ricorso al mito religioso, in quanto strumento retorico di manipolazione e dominio sulla massa.

Rispetto al “problema politico” – inteso come urgenza di conciliare ordine e libertà senza cadere nei rispettivi eccessi – Strauss si mostra convinto del fatto che l’unica soluzione possibile sia, non tanto di natura economica o giuridica, come sostenuto all’interno della prospettiva moderna e liberale, ma di carattere comunicativo. L’aspetto più interessante della riflessione straussiana è la duplicità della sua proposta; duplicità che, mantenendo come riferimento principale Platone e la filosofia classica, richiama da vicino l’elaborazione volteriana sopra descritta, giocata sull’individuazione di una religione per il popolo (le “pie frodi”) distinta dal deismo elitario.

In Liberalismo antico e moderno, Strauss individua due forme alternative di educazione applicabili nella sua contemporaneità politica e alternative al modello laico e secolare proprio della modernità, destinata a degenerare, dal suo punto di vista, nel nichilismo o nel materialismo radicale. La prima, di tipo esoterico, è quella destinata a una ristretta élite politica (i gentiluomini che devono governare) e ai filosofi (che si dedicano alla vita teoretica), considerati intellettualmente e moralmente superiori. L’educazione detta “liberale”, nel senso antico del termine: è l’educazione degna dell’uomo libero. La seconda, di tipo esoterico, è riservata alla massa ed è l’educazione “religiosa”. Quest’ultima, elaborata sul paradigma della “nobile menzogna” platonica, si basa sull’utilizzo funzionale, da parte di chi detiene il potere, della religione – e, in particolare dell’idea di un Dio vendicatore e rimuneratore – come freno morale, sociale e politico utile per garantire il controllo e il soggiogamento del popolo incolto e “inferiore”. A parere di Strauss, qualora la massa popolare venisse “illuminata” circa il carattere convenzionale della moralità e circa la falsità delle credenze e dei dogmi religiosi – ai quali la moralità stessa, nella prospettiva della “nobile menzogna”, è strettamente legata – l’opportunismo e l’irresponsabilità prenderebbero il sopravvento, spezzando i legami sociali. In tal senso chi governa, facendo propri il disincanto e lo scetticismo propri dell’autentica filosofia, ha non solo la possibilità, ma il dovere di ingannare, senza essere ingannato.

La reinterpretazione della menzogna platonica elaborata da Strauss, all’interno di una concezione aristocratica e paternalistica – ma legata a un rigido realismo e alla consapevolezza dell’impossibilità di un’aristocrazia universale – che mira a svuotare le istituzioni liberali e democratiche, fino a ridurle a pure formalità – per riempirle di contenuti nuovi attraverso il progetto educativo e politico a cui si è accennato – è, quindi, una dimostrazione evidente di come l’attuazione di una “politica del velo” possa arrivare, in senso opposto rispetto a quanto sostenuto da Wingo e Rorty, alla pericolosa negazione de facto delle democrazie moderne.

È interessante notare, per inciso, come, a parere di molti, la riflessione straussiana abbia influito, attraverso il movimento intellettuale statunitense “neoconservatore”, sulle politiche, soprattutto estere, dell’amministrazione di George W. Bush.

Lyndon Larouche, economista e politico democratico americano, ha ricostruito i presunti legami tra Strauss – che è stato docente all’università di Chicago – i neoconservatori e la politica di Bush jr.: Paul Wolfowitz, ex ambasciatore americano in Indonesia, Vicesegretario alla Difesa dal 2001 al 2005, è stato allievo di seconda generazione di Strauss (attraverso Allan Bloom); e tra gli “straussiani” sembrano esserci anche il giudice Clarence Thomas, l’editore del Weekly Standard William Kristol, l’editore della National Review William F. Buckley, il politico William Bennet, il politologo Francis Fukuyama, l’ex ministro John Ashcroft. E ancora, tra gli altri, Harry Jaffa, Allan Bloom stesso e Abram Shulsky, direttore dell’Office of Special Plans, organo del Ministero della Difesa statunitense, responsabile della raccolta di informazioni utili a suffragare le ragioni della guerra contro l’Iraq del 2003, attraverso il così detto “imbroglio” – o “(ig)nobile menzogna” – delle armi di distruzione di massa.

In un quadro, come quello attuale, in cui si sente discutere spesso di “post-verità”, “post-democrazia”, “democratura” – in cui la democrazia è ridotta a un significato puramente formale e funzionale ad atteggiamenti di tipo autoritario – la riflessione sulla “nobile menzogna”, le “pie frodi” e, più in generale, su tutti i tentativi di legittimazione e applicazione della “politica del velo” può aprire a un dibattito più ampio, fino a giungere a interrogarsi sull’effettiva applicabilità della trasparenza nella realtà contemporanea.
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