Spigolature

- Modificato il 01/12/2017 10:47
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010

e di tutto un po'.

gocce di saggezza, briciole di buone letture,

poesia e musica indimenticabile e chi più ne ha più ne metta.

Buona giornata!





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101 di 996 - 10/6/2013 09:42
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
"Noi non apprezziamo il valore di ciò che
abbiamo mentre lo godiamo; ma quando
ci manca o lo abbiamo perduto, allora
ne spremiamo il valore."

William Shakespeare


http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=yDDCmropw-Y#!
102 di 996 - 17/6/2013 21:15
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
La leonessa e la volpe




Serenamente accucciate all'ombra di una fresca pianta situata nel cuore della foresta, una tranquilla leonessa e una placida volpe, chiacchieravano tra loro come due vecchie amiche, discutendo del più e del meno.

Per un ascoltatore attento non era difficile però, scoprire che, nascoste nelle loro parole, vi era racchiuso un pizzico d'invidia. In effetti, la volpe, desiderava possedere lo stesso coraggio e l'identica sicurezza che alimentavano il comportamento dell'amica la leonessa, mentre a questa sarebbe piaciuto conquistare la celebre furbizia dell'altra. Nonostante le piccole gelosie racchiuse nei loro cuori, entrambe mantenevano un rapporto forzatamente cortese, scambiandosi sorrisi ed esagerati complimenti.

Finché, un giorno, passeggiando insieme nel bosco con i rispettivi cuccioli che trotterellavano amabilmente intorno a loro, giocando e rincorrendosi fra gli alberi, la volpe non riuscì più a trattenere una frase alimentata unicamente dall'invidia. "Mia cara " disse atteggiandosi a gran dama e indicando con lo sguardo i suoi piccoli, "tu avrai anche un portamento da regina, possiedi grande forza e vigore, ma, in quanto a madre, devi ammettere che io sono più portata. Guarda i miei cinque volpacchiotti come giocano felici tra loro. Invece tu hai messo al mondo un solo figliolo e, poveretto, sembra tanto triste senza fratelli!

Evitando di scomporsi, la leonessa rispose: "Certo amica mia, io ho partorito un solo cucciolo. Ma questo piccolo vale più d'ogni altro animale. Egli è un leone e, una volta cresciuto, sarà un Re!" Non potendo ribattere niente la volpe si limitò ad ingoiare la propria gelosia accettando ciò che la natura aveva dispensato.

$$$$$$$$$$$$$

E' inutile invidiare ciò che non si possiede perché ognuno dispone di quello che la natura gli ha attribuito e soprattutto delle cose non si misura la quantità ma il valore.


103 di 996 - 24/6/2013 09:18
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Dalle lettere di Van Gogh al fratello Theo

Nuenen, aprile-maggio 1885. Ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani [n. 151], ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto che facesse pensare a un modo di vivere completamente diverso dal nostro, di noi esseri civili. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole...
Credo nondimeno che, anche se seguito a produrre opere nelle quali si potranno ritrovare difetti, volendole considerare con occhio critico, esse avranno una vita propria e una ragion d'essere che supereranno i loro difetti, per coloro soprattutto che sapranno apprezzarne il carattere e lo spirito. Non mi lascerò facilmente incantare, come si crede, nonostante tutti i miei errori. So perfettamente quale scopo perseguo; e sono fermamente convinto di essere, nonostante tutto, sulla buona strada, quando voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo, per preoccuparmi di quello che gli altri dicono di me. Tuttavia, a volte questo mi avvelena la vita, e credo che molto probabilmente più d'uno rimpiangerà un giorno quello che ha detto di me e di avermi ricoperto di ostilità e d'indifferenza. Io paro i colpi isolandomi, al punto che non vedo letteralmente più nessuno...

- Saint-Rémy, settembre 1889. Fratello mio caro — è sempre in un intervallo di lavoro che ti scrivo —, fatico come un vero ossesso, provo più che mai un furore sordo di lavoro, e credo che questo contribuirà a guarirmi. Forse mi succederà una cosa come quella di cui parla Delacroix: "Ho trovato la pittura quando non avevo più ne denti ne fiato", nel senso che la mia triste malattia mi fa lavorare con un furore sordo, molto lentamente, ma dal mattino alla sera senza interruzione; ed è questo, probabilmente, il segreto: lavorare a lungo e lentamente. Che ne so, ma credo di avere in corso un paio di tele non troppo male, prima di tutto il falciatore tra le spighe gialle [n. 681] e il ritratto su fondo chiaro [n. 683] : saranno per la mostra dei Vingtistes, se però si ricorderanno di me al momento buono; ma mi sarebbe assolutamente uguale, se non preferibile, che mi dimenticassero.

Auvers-sur-Oise: lettera trovatagli addosso il 29 luglio 1890. Per il mio lavoro, io rischio la vita, e la mia ragione vi è quasi naufragata ….


http://www.youtube.com/watch?v=ERPoPGXiggY
104 di 996 - 24/6/2013 18:14
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Così parlò a suo tempo Machiavelli:
Il Principe Capitolo XV

"Di quelle cose per le quali li uomini, e specialmente i principi, sono laudati o vituperati


Resta ora a vedere quali debbano essere è modi e governi di uno principe con sudditi o con li amici. E, perché io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scrivendone ancora io, non essere tenuto prosuntuoso, partendomi, massime nel disputare questa materia, dalli ordini delli altri. Ma, sendo l'intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa. E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero; perché elli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, impara più tosto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessità.

Lasciando adunque indrieto le cose circa uno principe immaginate, e discorrendo quelle che sono vere, dico che tutti li uomini, quando se ne parla, e massime è principi, per essere posti più alti, sono notati di alcune di queste qualità che arrecano loro o biasimo o laude. E questo è che alcuno è tenuto liberale, alcuno misero (usando uno termine toscano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui che per rapina desidera di avere, misero chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo); alcuno è tenuto donatore, alcuno rapace; alcuno crudele, alcuno pietoso; l'uno fedifrago, l'altro fedele; l'uno effeminato e pusillanime, l'altro feroce et animoso; l'uno umano, l'altro superbo; l'uno lascivo, l'altro casto; l'uno intero, l'altro astuto; l'uno duro, l'altro facile; l'uno grave l'altro leggieri; l'uno relligioso, l'altro incredulo, e simili. Et io so che ciascuno confesserà che sarebbe laudabilissima cosa uno principe trovarsi di tutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buone: ma, perché non si possono avere né interamente osservare, per le condizioni umane che non lo consentono, li è necessario essere tanto prudente che sappia fuggire l'infamia di quelle che li torrebbano lo stato, e da quelle che non gnene tolgano guardarsi, se elli è possibile; ma, non possendo, vi si può con meno respetto lasciare andare. Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considerrà bene tutto, si troverrà qualche cosa che parrà virtù, e seguendola sarebbe la ruina sua; e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola ne riesce la securtà et il bene essere suo."


In parole povere dallo studio delle qualità personali richieste a un principe
si evince un principio fondamentale: bisogna andare "drieto alla verità effettuale". Il principe deve
ragionare sulla base non di ciò che la realtà dovrebbe essere, ma di ciò che la realtà è, il principe idealista e obbediente
a princìpi di moralità assoluta è destinato alla rovina sua e del proprio Stato il principe che vuole conservare
lo Stato deve essere tanto prudente da capire che è virtù ciò che gli permette di mantenere il potere e vizio ciò
che glielo fa perdere.
L’autonomia della politica dalla morale
La morale comune e l’osservanza delle regole di convivenza civile, che prescrivono per ogni essere umano la lealtà,
l’onestà, il senso dell’onore, non sono adatte a un principe che voglia mantenere saldamente il potere. Quelle
che sono comunemente considerate virtù possono infatti essere causa della sua rovina, constatato che la maggior
parte degli esseri umani non ha una naturale inclinazione al bene. Il principe deve cautelarsi dall’eccessiva bontà;
deve essere scaltro e sapere quando è il momento di far tacere la propria coscienza, guardare in faccia la realtà e
comportarsi di conseguenza. Questa concezione – lontana da quella di tutti gli autori passati e contemporanei – è
fondata su un principio di autonomia della sfera politica rispetto alla dimensione morale ed è alla base della nascita
della moderna scienza politica.
105 di 996 - Modificato il 27/6/2013 00:25
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Da "l'UTOPIA DELLA RAGIONE"
riflessioni di Pompeo Maritati

Le nostre generazioni, dopo il secondo conflitto mondiale, stanno vivendo una pausa di pace relativa e di una crescita economica senza precedenti. Di tragedie belliche purtroppo nel mondo, in questi quasi settant’anni, da quel lontano 1945, hanno continuato a funestare vari parti del mondo che fatta eccezione per la Iugoslavia, il continente europeo ne è stato scevro.

Finalmente dopo decine di secoli nel vecchio continente ha cominciato a spirare un vento di pace e prosperità che con l’avvento dell’Unione Europea si è consolidato, anche se di tanto in tanto turbato da qualche localistico egoismo. Le turbolenze politiche per fortuna hanno iniziato ad essere calmierate da una oculata diplomazia che ha permesso a tutta l’Europa di crescere in tutti i settori della società, con le dovute eccezioni, che come al solito si son rese necessarie a scapito di qualche decina di milioni di persone, giusto per confermarne la regola. Questa crescita, non è stata ovunque uguale. La velocità veniva regolata soprattutto dal profilo etico prevalente nei singoli paesi. I paesi nordici in particolare quelli scandinavi hanno posto in essere a volte anche con minori risorse finanziarie strutture sociali ed economiche distanti anni luce dagli altri, in particolare da quei Paesi a ridosso del Mediterraneo. Sarebbe opportuno cominciare a porre maggiore attenzione sull’influenza climatica dell’area mediterranea sui popoli che li vi risiedono, visto che tutti sono stati interessati da crisi economiche e soprattutto di arretratezza e degrado del sistema sociale.

Gli elementi che hanno contraddistinto queste differenze sono sostanzialmente due. Il primo il più importante è quello etico. Il secondo, scaturente dalla scarsa sensibilità etica, è la carenza del senso di appartenenza ad un gruppo e che il benessere non andava visto solo in funzione egoisticamente individuale. Grandissima colpa di ciò, secondo me, risiede nel sistema scolastico e culturale in genere, che non ha saputo favorire il radicamento, nelle classi più giovani del paese, di quel necessario spirito del rispetto delle regole. Già la scuola stessa è stata la base di una tenue ma diffusa corruzione, da tutti conosciuta e mai combattuta, quella delle lezioni private, un’equa reciproca distribuzione di ore di ripetizione ovviamente in nero senza mai porsi, loro, la classe insegnante, cosa avrebbe potuto rappresentare tutto ciò nella mente di tutti quegli studenti che avrebbero dovuto soprattutto educare al rispetto dell’etica. Per fortuna ci sono tanti insegnanti che svolgono bene il loro compito ma anche a loro è rivolto il mio biasimo non avendo saputo ostacolare tale piaga. Potrò mai dimenticare quando a mio padre fu fatta esplicita richiesta di seguire delle lezioni private? E non mi pare che fossi poi un asino da legare al primo albero della strada. E cosa dire dell’università dove quasi tutti i posti disponibili erano appannaggio di figli e parenti dei docenti? Tutti sapevamo e abbiamo con apatica indifferenza mantenuto in essere un sistema che sicuramente avrà ulteriormente tarlato il concetto di etica di tutti quei ragazzi che una volta divenuti adulti, anch’essi non hanno fatto altro che adeguarsi al sistema, anche per non ritenersi o essere (peggio ancora) ritenuti più fessi degli altri.

Abbiamo convissuto per decenni con il clientelismo colonna portante del nostro sistema. Senza l’amico o l’amico dell’amico non si va da nessuna parte. Ci si raccomanda oltre che per la primaria necessità di un posto di lavoro anche per un trattamento di favore in un ospedale, per il rilascio di una certificazione, per ottenere un riconoscimento di un proprio sacrosanto diritto. Tutti servizi che in uno stato “normale” dovrebbero essere la condizione minimale per un etico e democratico funzionamento. Da noi no. Da noi non puoi nemmeno morire in pace, se non provvedi attraverso i soliti amici e amici di amici a trovarti un loculo nel cimitero e che ti tumulassero in tempi ragionevoli.

Possiamo pensare e credere di vivere in un paese che si possa definire veramente civile? Io penso di no. Non solo, ritengo anche che non sia democratico in quanto i più elementari diritti dei cittadini spesso si riconoscono attraverso l’intervento pilotato di chi detiene il potere di erogare un diritto. Si, è paradossale constatare che un diritto ci venga erogato per grazia ricevuta e non invece riconosciuto nel rispetto democratico ed etico rappresentato da leggi che favoriscano i meno abbienti o tutti quei cittadini in difficoltà. Oggi il parlamento è utilizzato per formulare leggi che tutelino solo ed esclusivamente i poteri forti e gli interessi personali di chi detiene il potere politico. Basti pensare come viene definita la nostra legge elettorale: “Porcellum”. Attenzione le leggi di un paese rappresentano il loro popolo e per quanti difetti abbiano la nostra gente, ritengo forse un po’ eccessivo appioppargli quello di “Porcellum”, anche se a dire il vero questa nostra gente non ha posto in essere nessuna seria protesta verso questo sistema che è un insulto alla democrazia.

Questo entusiastico quadro politico, etico, sociale ed economico del nostro paese lo si riscontra in generale in quasi tutti i paesi dell’area mediterranea. Più si sale verso nord più aumenta il differenziale etico. Più la temperatura media s’abbassa più la gente sembra più incline al rispetto delle regole. Pertanto ritengo che l’influsso climatico sullo sviluppo sociale sia determinante. Però paradossalmente rileviamo che tutte le più importanti culture che hanno segnato lo sviluppo dell’uomo, guarda caso, sono nate e progredite proprio nel bacino del Mediterraneo. Come spiegare questo paradosso? La Democrazia nasce in Grecia e proprio qualche decennio fa è stata protagonista di una feroce dittatura di stato. Penso che stiamo percorrendo un terreno minato, dove la mia personale conoscenza scientifica deve arrendersi alla semplice constatazione dei fatti evidenti, lasciando agli altri specialisti lo spazio necessario per risponderci a tale quesito. La speranza è che alla risposta ci sia anche qualche proposta che possa farci sperare in una necessaria quanto mai opportuna inversione di tendenza.



106 di 996 - 26/6/2013 12:18
giustiziere N° messaggi: 855 - Iscritto da: 27/11/2012
brava signora lella per me quello che lei posta non passa inosservato.Obbiettività ci vuole in questa vita invece loschi interessi la continuano a far da padrone saluti
107 di 996 - 27/6/2013 17:05
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Le parole sono pietre” è il titolo di un libro che evidenzia l’importanza del significato delle parole.

Come una pietra, una parola può ferire o lasciare il segno per sempre sia in senso positivo che negativo. Una parola offensiva detta per sottolineare errori o difetti di chi ci sta vicino crea stati d’animo negativi in chi la riceve. Se poi queste parole vengono ripetute giornalmente in maniera continua a una persona, possono farla stare male soprattutto se questa è sensibile. Mi sono chiesta perché uno o più persone tendono ad offendere un’altra con le parole. Lo possono fare per difendersi, o per antipatia, o per cattiveria, o perché non riflettono abbastanza sulle conseguenze, semplicemente perché immature o non educate abbastanza. Chi usa parole offensive e inopportune può provocare anche conseguenze gravi in chi le riceve, conseguenze che rimangono per sempre. Ricevere continuamente offese comporta dispiacere, perdita dell’autostima, fino al cambiamento del carattere. Una parola può unire e creare dei buoni rapporti tra le persone o separare e rompere questi rapporti. Come una parola offensiva può danneggiare una persona, così una parola gentile, di gratitudine e di affetto può influenzare positivamente una persona per tutta la giornata o per tutta la vita. Quindi è importante riflettere prima di parlare.
108 di 996 - 27/6/2013 17:32
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Quotando: giustizierebrava signora lella per me quello che lei posta non passa inosservato.Obbiettività ci vuole in questa vita invece loschi interessi la continuano a far da padrone saluti



Grazie gentilissimo del tuo apprezzamento, ne avevo bisogno e riprendendo
le parole del mio post precedente è vero che una parola gentile può cambiare
il corso di una giornata quanto una parola offensiva detta in un certo contesto potrebbe rovinarti (non è il mio caso)i giorni a venire.
Buona giornata anche a te.
109 di 996 - Modificato il 28/6/2013 12:01
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010

YOU RAISE ME UP (Tu mi dai sostegno)

When I am down and, oh my soul, so weary;
When troubles come and my heart burdened be;
Then, I am still and wait here in the silence,
Until you come and sit awhile with me.

You raise me up, so I can stand on mountains;
You raise me up, to walk on stormy seas;
I am strong, when I am on your shoulders;
You raise me up To more than I can be..

There is no life - no life without its hunger;
Each restless heart beats so imperfectly;
But when you come and I am filled with wonder,
Sometimes, I think I glimpse eternity.

&&&&&&&&

Quando sono depresso e, oh, la mia anima è così provata
Quando arrivano i problemi e il mio cuore ha un peso
Allora mi fermo e aspetto qui in silenzio
Finché tu non arrivi e ti siedi un po' con me

Tu mi sollevi tanto da farmi scalare le montagne
tu mi sollevi da farmi camminare sui mari
Io sono forte quanto sono sulle tue spalle
Tu mi sollevi, fino a raggiungere più di ciò che sono

Non c'è vita, nessuna vita senza sofferenza
Ogni cuore batte senza sosta in modo così imperfetto
Ma quando arrivi tu e io mi riempio di meraviglia
A volte mi sembra di scorgere l'eternità


Tu mi sollevi, fino a raggiungere più di ciò che sono


http://www.youtube.com/watch?v=nduBOPw8eaM
110 di 996 - Modificato il 30/6/2013 01:49
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
"La saggezza sta alla follia come la ragione sta al sentimento"
Così dice Erasmo da Rotterdam presentando la "Follia", tessendone
"l'elogio" in quanto a questa Signora è dovuto tutto quello che
è degno di essere vissuto poiché tutto ciò che da sapore alla
vita è praticamente merito suo.....

Spigolando dal suo libro

IO SONO LA FOLLIA

Se poi volete anche sapere dove sono nata, visto che oggi nel valutare il grado di nobiltà attribuiscono la massima importanza al luogo dove si sono messi fuori i primi vagiti: ebbene, io non sono nata nell'errante Delo, non tra i flutti del mare, non in grotte profonde, ma proprio nelle Isole Fortunate, dove tutto cresce senza seme né aratro. Là non esiste fatica, vecchiaia, malattie; nei campi non asfodeli, malva, squilla, lupini o fave, e simili piante da poco.
Da ogni parte ti accarezzano gli occhi e il naso moly, panacea, nepènte, maggiorana, ambrosia, loto, rose, viole, giacinti - i giardini d'Adone. Nata fra queste delizie, non ho cominciato la vita nel pianto; subito ho sorriso dolcemente a mia madre.
Al sommo figlio di Crono non invidio la capretta nutrice; ad allattarmi con le loro mammelle sono state due graziosissime ninfe, Mete l'Ebbrezza, figlia di Bacco, e Apedia l'Ignoranza, figlia di Pan. Le vedete qui con me, nel gruppo di tutte le altre mie compagne e seguaci, delle quali se, per Ercole, vorrete sapere i nomi, da me li sentirete solo in greco.
Quella che vedete con le sopracciglia inarcate è senz'altro Filautia; quella che sembra ridere con gli occhi, e che batte le mani, è Colacìa; quella mezza addormentata e vinta dal sonno si chiama Lete; quella appoggiata sui gomiti e con le mani intrecciate si chiama Misoponia; l'altra, cinta da un serto di rose, e tutta cosparsa di profumi, Hedonè; Anoia questa, dai mobili sguardi lascivi. Quella dalla pelle splendente e dal corpo rigoglioso si chiama Trufè. Tra le fanciulle potete vedere anche due Dèi: Como e Ipno, il dio del sonno profondo. Col fedele aiuto di questa mia corte io signoreggio su tutte le cose, e sono sovrana degli stessi sovrani.

111 di 996 - 30/6/2013 01:33
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
I BENI DELLA VITA SONO PAZZIE

Innanzitutto, che cosa può esserci di più dolce e prezioso della vita? ma a chi, se non a me, riportarne la desiderata origine? Non l'asta di Pallade dal padre possente, né l'egida di Giove adunatore di nembi, generano e propagano la stirpe umana. Lo stesso padre degli Dèi e re degli uomini, al cui cenno trema l'Olimpo intero, quando vuol fare quello che poi fa sempre, e cioè generare dei figli, deve deporre quel suo famoso fulmine a tre punte, deve spogliarsi del titanico sembiante con cui spaventa a suo piacimento tutti gli Dèi, e, come un povero commediante qualsiasi, deve assumere la maschera di un altro personaggio. Quanto agli stoici che si credono così vicini agli Dèi, datemene uno che sia stoico magari tre o quattro volte, o, se volete, stoico mille volte! Anche lui dovrà deporre, se non la barba che è l'insegna della sapienza (comune, a dir il vero, con i caproni), certamente il suo sussiego. Dovrà spianare la fronte, mettere da parte i suoi princìpi adamantini, e abbandonarsi un poco a qualche leggerezza e follia. Se vuole davvero diventare padre, insomma, anche quel saggio deve chiamare me, proprio me.
E perché, dal momento che sto chiacchierando con voi, non essere più esplicita, secondo il mio costume? E' forse con la testa, col volto, col cuore, con la mano, con l'orecchio (parti considerate tutte oneste) che si generano gli Dèi e gli uomini? No davvero! propagatrice del genere umano è quella parte così assurda e ridicola che non si può neppure nominare senza ridere. Quello è il sacro fonte a cui tutto attinge la vita, quello e non la tetrade pitagorica. E, ditemi, quale uomo vorrebbe porgere il collo al capestro del matrimonio se prima, secondo la consuetudine di codesti saggi, ne considerasse gli svantaggi? Quale donna accosterebbe un uomo, se conoscesse e avesse in mente i pericolosi travagli del parto, e i fastidi di allevare i figli? Perciò se dovete la vita al matrimonio, e il matrimonio ad Anoia del mio seguito, comprenderete quello che dovete a me. D'altra parte quale donna dopo la prima esperienza vorrebbe riprovarci, se non ci fosse ad assisterla la presenza di Letes? Venere medesima, protesti pure Lucrezio, non negherebbe mai che senza l'aiuto della mia divinità la sua forza sarebbe insufficiente e inutile. Perciò è da quella nostra ebbrezza giocosa che sono nati i filosofi severi, a cui ora sono subentrati quelli che il volgo chiama monaci, e i re ammantati di porpora, i pii sacerdoti, i pontefici, tre volte santissimi. E infine anche tutto quel consesso degli Dèi dei poeti, così affollato che a stento può contenerlo l'Olimpo, pur vasto che sia.

112 di 996 - Modificato il 30/6/2013 01:37
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
L'INFANZIA E LA VECCHIAIA SONO PAZZIA

E, tanto per cominciare, chi non sa che la prima età dell'uomo è per tutti di gran lunga la più lieta e gradevole? ma che cosa hanno i bambini per indurci a baciarli, ad abbracciarli, a vezzeggiarli tanto, sì che persino il nemico presta loro soccorso? Che cosa, se non la grazia che viene dalla mancanza di senno, quella grazia che la provvida natura s'industria d'infondere nei neonati perché con una sorta di piacevole compenso possano addolcire le fatiche di chi li alleva e conciliarsi la simpatia di chi deve proteggerli? E l'adolescenza che segue l'infanzia, quanto piace a tutti, quale sincero trasporto suscita, quali amorevoli cure riceve, con quanta bontà tutti le tendono una mano!
Ma di dove, di grazia, questa benevolenza per la gioventù? di dove, se non da me? E' per merito mio che i giovani sono così privi di senno; è per questo che sono sempre di buon umore. Mentirei, tuttavia, se non ammettessi che appena sono un po' cresciuti, e con l'esperienza e l'educazione cominciano ad acquistare una certa maturità, subito sfiorisce la loro bellezza, s'illanguidisce la loro alacrità, s'inaridisce la loro attrattiva, vien meno il loro vigore. Quanto più si allontanano da me, tanto meno vivono, finché non sopraggiunge la gravosa vecchiaia, la molesta vecchiaia, odiosa non solo agli altri, ma anche a se stessa. Nessuno dei mortali riuscirebbe a sopportarla se, ancora una volta, impietosita da tanto soffrire non venissi in aiuto io, e, a quel modo che gli Dèi della fiaba di solito soccorrono con qualche metamorfosi chi è sul punto di perire, anch'io, per quanto è possibile, non riportassi all'infanzia quanti sono prossimi alla tomba, onde il volgo, non senza fondamento, usa chiamarli rimbambiti. Se poi qualcuno vuol sapere come opero questa trasformazione, neppure su questo farò misteri.
Conduco i vecchi alla fonte della mia ninfa Lete, che sgorga nelle Isole Fortunate - il Lete che scorre agli Inferi è solo un esile ruscello. Lì, bevute a grandi sorsi le acque dell'oblio, un poco alla volta, dissipati gli affanni, torneranno bambini.
Ma delirano ormai, non ragionano più! Certo. E' proprio questo che significa tornare fanciulli. Forse che essere fanciulli non significa delirare e non avere senno? e non è proprio questo, il non aver senno, che più piace di quella età? Chi non vivrebbe come mostro un bambino con la saggezza di un uomo? Lo conferma il diffuso proverbio: "Odio il bambino di precoce saggezza". E chi, d'altra parte, vorrebbe rapporti e legami di familiarità con un vecchio che alla lunga esperienza di vita unisse pari forza d'animo e acutezza di giudizio?
Così, per mio dono, il vecchio delira. E tuttavia questo mio vecchio delirante è libero dagli affanni che travagliano il saggio; quando si tratta di bere, è un allegro compagno; non avverte il tedio della vita, che l'età più vigorosa sopporta a fatica. Talvolta, come il vecchio di Plauto, torna alle tre famose lettere [AMO], che se fosse in senno ne sarebbe infelicissimo. Invece per merito mio è felice, simpatico agli amici, piacevole in compagnia. Del resto anche in Omero il discorso scorre dalla bocca di Nestore più dolce del miele, mentre amare sono le parole di Achille; e, sempre in Omero, i vecchi che se ne stanno seduti insieme sulle mura parlano con voce soave. In questo senso sono superiori alla stessa infanzia, che è sì deliziosa, ma non parla, e, priva della parola, manca del principale diletto della vita, che è quello di una schietta conversazione. Aggiungi che ai vecchi piacciono moltissimo i bambini, e altrettanto ai bambini i vecchi, "perché il dio spinge sempre il simile verso il simile". In che differiscono, infatti, se non nelle rughe e negli anni che nel vecchio sono di più? Per il resto, capelli sbiaditi, bocca sdentata, corporatura ridotta, desiderio di latte, balbuzie, garrulità, mancanza di senno, smemoratezza, irriflessione: in breve, sotto ogni altro aspetto si accordano. Quanto più invecchiano, tanto più somigliano ai bambini, finché, come bambini, senza il tedio della vita, senza il senso della morte, abbandonano la vita.
113 di 996 - 30/6/2013 01:39
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
LA PAZZIA DA' SAPORE ALLA VITA

E' tempo ormai di seguire l'esempio di Omero lasciando da parte gli Dèi e tornare sulla terra per vedere fino a qual punto gioia e fortuna vi si trovino solo per mio dono.
In primo luogo osservate con quanta previdenza la natura, madre e artefice del genere umano, ebbe cura di spargere dappertutto un pizzico di follia. Se, infatti, secondo la definizione stoica, la saggezza consiste solo nel farsi guidare dalla ragione, mentre, al contrario, la follia consiste nel farsi trascinare dalle passioni, perché la vita umana non fosse del tutto improntata a malinconica severità, Giove infuse nell'uomo molta più passione che ragione: press'a poco nella proporzione di mezz'oncia ad un asse. Relegò inoltre la ragione in un angolino della testa lasciando il resto del corpo ai turbamenti delle passioni. Quindi, alla sola ragione contrappose due specie di violentissimi tiranni: l'ira, che occupa la rocca del petto e il cuore stesso che è la fonte della vita, e la concupiscenza che estende il suo dominio fino al basso ventre. Quanto valga la ragione contro queste due agguerrite avversarie ce lo dice a sufficienza la condotta abituale degli uomini: la ragione può solo protestare, e lo fa fino a perderci la voce, enunciando i princìpi morali; ma quelle, rivoltandosi alla loro regina, la subissano di grida odiose, finché lei, prostrata, cede spontaneamente dichiarandosi vinta.
114 di 996 - 30/6/2013 01:48
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
LA PAZZIA RENDE AMABILE LE DONNE

Tuttavia, poiché l'uomo, nato per far fronte agli affari, doveva ricevere in dote un po' più di un'oncia di ragione, Giove, per provvedere debitamente, mi convocò perché lo consigliassi, come su tutto il resto, anche a questo proposito; e il mio pronto consiglio fu degno di me: affiancare all'uomo la donna, animale, sì, stolto e sciocco, ma deliziosamente spassoso, che nella convivenza addolcisce con un pizzico di follia la malinconica gravità del temperamento maschile. Platone, infatti, quando sembra in dubbio circa la collocazione della donna, se fra gli animali razionali o fra i bruti, vuole solo sottolineare la straordinaria follia di questo sesso. E, se per caso una donna vuole passare per saggia, ottiene solo di essere due volte folle, come se uno volesse, contro ogni ragionevole proposito, portare un bue in palestra. Infatti raddoppia il suo difetto chi, distorcendo la propria natura, assume sembianza virtuosa. Come, secondo il proverbio greco, la scimmia è sempre una scimmia, anche se si ammanta di porpora, così la donna è sempre una donna, cioè folle, comunque si mascheri.

Non però così folle, voglio credere, da prendersela con me perché la giudico folle, io che sono folle, anzi la Follia in persona. Le donne, infatti, se ponderassero bene la questione, anche questo dovrebbero considerare come un dono della Follia: il fatto di essere, sotto molti aspetti, più fortunate degli uomini. In primo luogo hanno il dono della bellezza, che giustamente mettono al disopra di tutto, contando su di essa per tiranneggiare gli stessi tiranni. Quanto all'uomo, di dove gli viene l'aspetto rude, la pelle ruvida, la barba folta, e un certo che di senile, se non dalla maledizione del senno? Le donne, invece, con le guance sempre lisce, con la voce sempre sottile, con la pelle morbida, danno quasi l'impressione d'una eterna giovinezza. Ma che altro desiderano poi in questa vita, se non piacere agli uomini quanto più è possibile? Non mirano forse a questo, tante cure, belletti, bagni, acconciature, unguenti, profumi; tante arti volte ad abbellire, dipingere, truccare il volto, gli occhi, la pelle? C'è forse qualche altro motivo che le faccia apprezzare dagli uomini più della follia? Che cosa mai non concedono gli uomini alle donne? Ma in cambio di che, se non del piacere? E il diletto da nient'altro viene se non dalla loro follia. Che questo sia vero non si può negare basti riflettere alle assurdità che l'uomo dice, alle sciocchezze che fa, ogni volta che si prefigge di prendersi piacere di una donna.
115 di 996 - 30/6/2013 01:59
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
LA PAZZIA E' CAUSA DELLE GUERRE

Ora dovrei aggiungere che nulla di grande si può intraprendere senza la mia spinta, perchè è a me che si deve l'invenzione di ogni nobile arte. Forse che non sia la guerra la fonte e il coronamento di ogni celebrata impresa? E che c'è di più pazzesco dell'impegnarsi, per non so quali cause, in un confronto da cui, immancabilmente, ognuna delle due parti trae più danno che guadagno? Dei caduti, poi, neanche si parla, quasi fossero gente di Megara. Quando le schiere in armi si fronteggiano e le trombe intonano il loro rauco suono, a che servono, di grazia, i sapienti esauriti dagli studi, col loro sangue povero e privo di calore, e che a malapena tirano il fiato? C'è bisogno di gente ben piantata; con moltissima audacia e pochissimo cervello. A meno che non si preferisca arruolare Demostene, tanto vile soldato quanto grande oratore, che, seguendo il consiglio d'Archiloco, appena vide il nemico fuggì abbandonando lo scudo.
La prudenza, obiettano, in guerra ha grandissimo peso. Lo riconosco; ma lo ha in chi comanda; e si tratta di prudenza militare, non filosofica; per il resto, l'impresa tanto egregia della guerra è affidata a parassiti, ruffiani, briganti, sicari, contadini, imbecilli, debitori e altri rifiuti del genere; non a filosofi da tavolino.

116 di 996 - 30/6/2013 02:02
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
L'UTILITA' DI CERTE FAVOLE

Ma, per tornare all'argomento proposto, quale forza, se non l'adulazione, raggruppò nella città quegli uomini primitivi, simili ai sassi e alle querce? Questo solo vuole indicare la famosa cetra di Anfione e di Orfeo. Cosa mai riportò alla concordia cittadina la plebe romana che già stava per spingersi ad atti irreparabili? Forse un discorso filosofico? Nemmeno per sogno! Al contrario, fu il ridicolo e puerile apologo del ventre e delle altre membra. Altrettanto si dica dell'analogo apologo di Temistocle, della volpe e del riccio. E quale discorso di un sapiente avrebbe potuto raggiungere l'efficacia della famosa cerva immaginata da Sertorio, o della trovata dei due cani, dello spartano Licurgo, o dell'altra ridicola storia, sempre di Sertorio, sul modo di strappare i peli dalla coda del cavallo? Per non parlare di Minosse e di Numa: entrambi governarono la stolta moltitudine con invenzioni favolose. E' con simili sciocchezze che si fa presa su quella grossa e potente bestia che è il popolo.

117 di 996 - 30/6/2013 02:03
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
LA VITA NON E' CHE PAZZIA

Viceversa, quale città ha mai fatto sue le leggi di Platone e di Aristotele, o i precetti di Socrate?
Che cosa persuase i Deci a votarsi spontaneamente agli Dèi Mani? Che cosa trascinò nella voragine Quinto Curzio, se non la vanagloria, dolcissima sirena (ma quanto esecrata dai sapienti!).
Che c'è infatti di più sciocco, dicono, di un candidato che lusinga il popolo in tono supplichevole, che compra i voti, che va in cerca degli applausi di tanti stolti, che si compiace delle acclamazioni, che si fa portare in giro in trionfo, come una statua da mostrare al popolo, che fa collocare nel foro il proprio simulacro di bronzo? Aggiungi la sfilza dei nomi e dei soprannomi, gli onori divini tributati a un uomo insignificante, il fatto che si dà il caso di tiranni scelleratissimi elevati con pubbliche cerimonie alla gloria dell'Olimpo. Sono autentiche manifestazioni di follia, e per riderci sopra non basterebbe un solo Democrito. Chi lo nega? Tuttavia, proprio di qui sono nate le grandi imprese degli eroi, levate al cielo dall'opera di tanti letterati. Questa follia genera le città; su di essa poggiano i governi, le magistrature, la religione, le assemblee, i tribunali. La vita umana non è altro che un gioco della Follia.
118 di 996 - 30/6/2013 09:54
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Edoardo Bennato- Elogio alla follia
http://www.youtube.com/watch?v=cxvySbOHGPU

Tutti avrete sentito parlare
del grande Erasmo da Rotterdam
che qualche secolo fa
in un suo scritto
aveva celabrato l'elogio alla follia
La follia che secondo lui
è l'unica vera compagna e protezione
agli uomini in ogni età e in ogni occasione ...

Anche per me, elogio alla follia
mi salverà con garbo e maestria
lei si, lei si, con la sua ascetica impudenza
accanto a me lotta per la sopravvivenza

Eccola qua, arriva la follia
audacia, ritmo e megalomania
fidati, fidati, ti salverà con eleganza
e lei con te, lotta per la sopravvivenza

Ergo te absolvo in nomine stultitiae
quod errae humanum est
In hoc signo nulla fides nec iustitiae
unquam nihil potest
Mazza et panella aequae distributions
resolutio sunt
Absit iniura verbis optimi dicunt

Eccola qua, sfrontata e provocante
è la follia, che arriva tra la gente
ci salverà, ci salverà dall'alto della sua esperienza
e lei con noi, lotta per la sopravvivenza.

Ego te absolvo in nomine stultitie quod errare humanum est
In hoc signo nulla fides nec iustitiae unquam nihil potest

Avanti chi, ha un conto da pagare
più il prezzo è alto, più lei ti può aiutare
ti salverà ti salverà, con quella sua finta innocenza
e lei con te, lotta per la sopravvivenza!...

Tempus transit gelidum, mundus renovatur
vergue redit floridum forma rebus datur
insania tibi iubet quid facias cras
insania tibi dicit quid fas quid nefa
119 di 996 - 30/6/2013 16:30
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
CONTRO I RE E I LORO CORTIGIANI

Non mi par vero di concludere, oramai: ne ho abbastanza di questi istrioni tanto ingrati nel nascondere ciò che mi devono, quanto empi nell'ostentare una finta pietà religiosa.

E' giunto il tempo di trattare un po', con tutta schiettezza, dei re e dei prìncipi di corte, che, come si conviene a uomini liberi, mi onorano con la massima sincerità. Se, infatti, avessero solo una briciola di senno, che vi sarebbe di più malinconico, o di meno desiderabile, della loro vita? Né riterrà che valga la pena d'impadronirsi del potere con lo spergiuro o col parricidio, chiunque consideri l'entità del peso che grava sulle spalle di chi vuole essere un principe sul serio. Chi assume il potere supremo deve occuparsi degli affari pubblici, non dei propri interessi. Deve pensare esclusivamente alla pubblica utilità; non deve scostarsi neanche di un pollice dalle leggi, di cui è autore ed esecutore; deve assicurarsi dell'integrità di tutti i funzionari e di tutti i magistrati. Lui solo, agli occhi di tutti, può, a guisa di astro benefico, giovare enormemente alle cose di quaggiù coi suoi costumi senza macchia, oppure, come letale cometa, trarle all'estrema rovina. I vizi degli altri non sono altrettanto conosciuti e non si propagano tanto. Ma se il principe, con la posizione che occupa, si scosta appena dalla retta via, subito la corruzione si diffonde contaminando moltissimi uomini. Inoltre poiché la condizione del principe porta con sè parecchie cose che di solito inducono a tralignare piaceri, libertà, adulazione, lusso - tanto più attentamente egli deve stare in guardia, se non vuole venir meno al proprio compito. Infine, per non parlare di insidie, odi, e altri pericoli o timori, gli sta sopra la testa quel vero Re che quanto prima gli chiederà ragione anche della colpa più lieve, e tanto più severamente quanto più prestigioso fu il suo imperio. Se il principe riflettesse su queste cose e su moltissime altre del genere - e ci rifletterebbe se avesse senno - non dormirebbe, credo, sonni tranquilli, né riuscirebbe a gustare il cibo.

Col mio aiuto, i prìncipi lasciano, ora, tutti questi motivi d'affanno nelle mani degli Dèi, e se la spassano porgendo orecchio solo a chi sa dire cose gradevoli, perché una punta d'ansia non abbia mai a levarsi dal fondo del cuore. Ritengono di avere compiuto in ogni suo aspetto il dovere di un principe, se vanno sempre a caccia, se allevano bei cavalli, se mettono in vendita per trarne un utile magistrature e prefetture, se ogni giorno escogitano nuovi stratagemmi per alleggerire i cittadini delle loro sostanze, facendole confluire nel loro tesoro privato: ma trovando dei pretesti, tanto da conferire una qualche apparenza di giustizia anche alla peggiore iniquità. E per conquistare comunque le simpatie popolari aggiungono qualche parola di adulazione. Dovete immaginare un uomo, come se ne vedono a volte, ignaro delle leggi, quasi nemico del pubblico bene, tutto preso dai suoi interessi privati, dedito ai piaceri, con un'autentica avversione per la cultura, la libertà e la verità, che non si cura minimamente della salvezza dello Stato, che adotta come unità di misura le proprie voglie e il proprio tornaconto. Mettetegli al collo una collana d'oro, simbolo della presenza in lui di tutte le virtù riunite; mettetegli in testa una corona ornata di gemme che lo richiami al suo dovere di superare gli altri in tutte le virtù eroiche. Dategli lo scettro che simboleggia la giustizia e la cristallina purezza dell'animo, e infine la porpora a significare il suo straordinario amore per lo Stato. Se un principe paragonasse questi ornamenti simbolici col suo genere di vita, credo che finirebbe col provare solo vergogna della sua pompa, e col temere che qualche critico salace non si prendesse gioco di lui volgendo in beffa questo apparato scenico.

56 - CONTINUA
Che dirò dei cortigiani più segnalati? Benché nulla vi sia di più strisciante, di più servile, di più sciocco, di più spregevole di loro, vogliono tuttavia essere ovunque al primo posto. In una cosa sola sono modesti all'estremo: paghi di portarsi addosso oro, gemme, porpora ed altre insegne della virtù e della sapienza, lasciano sempre agli altri il privilegio di praticarle. Si ritengono molto fortunati perché possono chiamare "mio signore" il re, perché hanno imparato un saluto di tre parole, perché sanno intercalare titoli onorifici: Serenità, Maestà, Magnificenza; perché sono abilissimi nel deporre ogni pudore quando si tratta di ricorrere a complimenti adulatori. Queste, infatti, sono le arti di un vero nobile, di un vero uomo di corte. Del resto, se vai a guardare più da vicino il loro costume di vita, troverai degli autentici Feaci, dei pretendenti di Penelope - il resto del verso lo conoscete, e l'Eco ve lo ripete meglio di me. Dormono fino a mezzogiorno, mentre un pretonzolo stipendiato aspetta accanto al letto per celebrare la messa alla svelta quando ancora sonnecchiano. Poi la colazione e, a mala pena terminata, è già ora di pranzo. Dopo pranzo i dadi, gli scacchi, le lotterie, i buffoni, i parassiti, le cortigiane, i giochi, le insulsaggini. Nel frattempo un alternarsi di merende. Di nuovo a tavola, si cena; a questa seguono i brindisi, non uno solo, per Giove. E così, senz'ombra di noia, passano le ore, i giorni, i mesi, gli anni, i secoli. Io stessa, a volte, mi allontano col voltastomaco quando li vedo, quei magnanimi, in mezzo alle donne, ognuna delle quali si crede tanto più vicina all'Olimpo quanto più lunga ha la coda, mentre i grandi fanno a gomitate per mostrarsi più vicini a Giove, e ognuno tanto più è beato quanto più pesante ha la catena al collo, segno manifesto, non solo di ricchezza, ma anche di robustezza.
120 di 996 - Modificato il 02/7/2013 10:47
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
A Trio e Cesare un sincero grazie...
http://www.youtube.com/watch?v=YZLnGNrsCYg

Quanto sei bella Roma quann'è sera,
quando la luna se specchia dentro ar fontanone
e le coppiette se ne vanno via,
quanto sei bella Roma quando piove.
Quanto sei bella Roma quann'è er tramonto,
quando l'arancia rosseggia ancora sui sette colli
e le finestre so' tanti occhi
che te sembrano dì : quanto sei bella!
Ah, quanto sei bella.
Oggi me sembra che er tempo se sia fermato qui.
Vedo la maestà der Colosseo,
vedo la santità der Cuppolone,
e so' più vivo, e so' più bono, no, nun te lasso mai,
Roma capoccia der monno infame.
Na carrozzella va co' du' stranieri,
un robivecchi te chiede un po' de stracci,
li passeracci so' usignoli, io ce so' nato, Roma,
io t'ho scoperta, stamattina.
Oggi me sembra che er tempo se sia fermato qui.
Vedo la maestà der Colosseo,
vedo la santità der Cuppolone,
e so' più vivo, e so' più bono, no, nun te lasso mai,
Roma capoccia der monno infame.
Roma capoccia der monno infame.
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