Entro Giugno L''Ipo Facebook (FB)

- Modificato il 30/11/2012 13:32
businessman1 N° messaggi: 594 - Iscritto da: 13/8/2010
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Facebook ha presentato ieri notte la documentazione per sbarcare in Borsa e dar vita al collocamento azionario più atteso sui mercati dai tempi di Google. L'initial public offering, che potrebbe valutare la società tra i 75 e i 100 miliardi di dollari, ha l'obiettivo iniziale di rastrellare cinque miliardi, battendo ogni record nei debutti azionari dei protagonisti di Internet. E non ha ancora una data esatta ma quasi, «probabilmente avverrà nel secondo trimestre».
Per preparare senza indugi il terreno allo sbarco, nel dossier S-1 inviato alla Sec, Facebook ha sollevato il sipario sulla sua performance da re dei social network: 845 milioni di utenti mensili e un fatturato l'anno scorso pari 3,71 miliardi di dollari. Il gruppo, che ha 3.200 dipendenti, nel 2011 ha anche generato utili per un miliardo, lievitati del 65 per cento. Il fondatore e amministratore delegato Mark Zuckerberg, in una lettera destinata a corteggiare potenziali investitori, ha sposato una strategia che punta ancora su innovazione e crescita: «Non creiamo servizi per fare soldi, facciamo soldi per creare migliori servizi». E rivendicato continuità con il suo disegno iniziale: «Facebook non era nato per essere un'azienda, ma per rendere il mondo più aperto».
Facebook, a otto anni dalla nascita nei pensionati studenteschi di Harvard, ammette però tutti i rischi e le sfide di business nel suo futuro: cita la crescente concorrenza di grandi rivali del calibro di Google e Microsoft come di nuovi protagonisti dei social media quali Twitter. «Facciamo i conti con significativa competizione in ogni aspetto della nostra attività», si legge nel documento. E un invito alla cautela affiora già nelle cifre rese note: il giro d'affari del 2011 ha quasi doppiato gli 1,97 miliardi del 2010 e si è diversificato (85% dalla pubblicità contro il 95% del 2010), ma è stato inferiore alle previsioni degli analisti, comprese tra 4 e 5 miliardi. La stessa scelta di un'Ipo da cinque miliardi anziché dieci, come filtrato in precedenza, può suggerire prudenza: il progetto sarebbe tuttora di emendare l'obiettivo a dieci miliardi, ma solo dopo aver sondato l'appetito degli investitori.
Una delle poche certezze: il 27enne Zuckerberg – il cui compenso annuale è stato 1,5 milioni ma che dal 2013 prenderà solo 1 dollaro alla Steve Jobs – rimarrà saldamente al comando: avrà in tasca il 57% dei diritti di voto. La sua quota del 28% di azioni ordinarie potrebbe inoltre trasformarlo immediatamente, sulla carta, in uno degli imprenditori più ricchi al mondo, con una fortuna da 28 miliardi di dollari. Altre certezze: il collocamento di Facebook ha già i primi vincitori tra i professionisti della finanza. Morgan Stanley guiderà l'Ipo e al suo fianco, a spartirsi prestigio e commissioni da forse mezzo miliardo, ci saranno Goldman Sachs, JP Morgan, Bank of America, Barclays e anche una boutique d'investimento quale Allen & Co.

Ancora da decidere, invece, è la borsa dove il titolo con il simbolo "FB" verrà quotato: è duello tra Nasdaq e Nyse, il primo intento a riaffermare la sua leadership nelle azioni tecnologiche e il secondo a riscattarsi dalla fallita fusione con Deutsche Börse. Ma in cerca di risposta, tra gli investitori, resteranno anzitutto gli interrogativi sulle prospettive di Facebook e i pericoli di bolle speculativa: se la sua capitalizzazione di mercato sarà di 100 miliardi varrà 25 volte il giro d'affari (la media per la Corporate America quotata è 1,4). La sostenibilità del modello di business e la fedeltà del popolo di Facebook restano da mettere alla prova. E le questioni irrisolte comprendono temi spinosi al di fuori dalla finanza, come la privacy degli utenti.





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281 di 286 - 01/4/2018 11:35
GIOLA N° messaggi: 29912 - Iscritto da: 03/9/2014
Datagate, il «conto» sale a 700 miliardi

di Andrea Franceschi

Il conto dello scandalo “Cambridge Analitica” ha superato i 700 miliardi di dollari. Tanto il settore tecnologico a livello mondiale ha perso in termini di capitalizzazione dallo scoppio del «Datagate» due settimane fa. Chi ha perso più di tutti è ovviamente la società finita sul banco degli imputati: Facebook. Nelle ultime due settimane il titolo è sceso del 13,7% bruciando oltre 73 miliardi di dollari di capitalizzazione. Più dell’intero valore di mercato di Eni, prima società quotata a Piazza Affari, che di miliardi di dollari ne capitalizza 63. L’effetto contagio si è sentito in ogni caso su tutto il comparto.

A partire dalle società che lucrano sullo sfruttamento dei big data come Google, numero uno al mondo nella pubblicità digitale. Le azioni di Alphabet, la società che controlla il motore di ricerca, nelle ultime due settimane sono scese dell’8,5%, perdendo quasi 70 miliardi di dollari di capitalizzazione. In termini di performance poi è stato pesante il tributo pagato da Twitter. L’iniziale convinzione di una parte del mercato che il titolo del social network avrebbe tratto un vantaggio competitivo dalla crisi di Facebook si è rapidamente dissolta e in due settimane il ribasso è stato superiore al 18 per cento.

Google, Facebook e Twitter hanno lo stesso modello di business: vendono pubblicità mirata struttando l’enorme mole di informazioni che ogni giorno regaliamo loro tutte le volte che facciamo una ricerca online o che condividiamo contenuti nella rete social. Lo scandalo Cambridge Analitica ha messo in luce il tema dell’utilizzo che queste aziende fanno dei nostri dati e dell’opportunità politica di mettere dei paletti a un business cresciuto per anni in pressocché totale libertà. Il mercato in queste due settimane ha venduto i titoli dei grandi gestori di “big data” e dei loro fornitori prefigurando un intervento legislativo che ponga dei limiti, non solo allo sfruttamento dei dati personali, ma anche all’abbondante ricorso all’arbitraggio fiscale che ha permesso ai giganti dell’Hi-tech di pagare meno imposte del dovuto. Questo in parte è già successo nell’Unione europea, dove da maggio entrerà in vigore la nuova direttiva a tutela dei dati personali (Gdpr) e dove è allo studio la cosiddetta «web tax» per uniformare il trattamento fiscale delle big tecnologiche. Ma anche negli Stati Uniti qualcosa si sta muovendo come dimostrano i recenti attacchi contro Amazon del presidente americano Trump . Dopo il tweet di giovedì, che ha mandato al tappeto in Borsa il titolo della società di Jeff Bezos, ieri Trump è tornato all’attacco accusando l’azienda di causare danni alle poste americane e di non pagare abbastanza tasse.

Anche se non è possibile ad oggi sapere quali misure saranno messe in atto per arginare il settore tecnologico, se saranno messe in atto e quale impatto avranno il mercato ha venduto pesantemente il settore tecnologico in Borsa. Non solo negli Stati Uniti, come dimostra il tonfo dei colossi cinesi del web Alibaba (-8,3% in due settimane) e Tencent (-12%). E non solo tra i titoli delle società che operano nel business dei «big data» come testimonia il calo di Apple (-5,75%) e Amazon (-7,9%).


C’è una bolla nel settore tecnologico? Si rischia di rivedere il copione della crisi delle dotcom di inizio anni duemila? La situazione, a dir la verità, è molto diversa e i bilanci delle aziende sono decisamente più solidi. Basti pensare all’arsenale di liquidità da 285 miliardi di dollari a disposizione di Apple. No, non c’è il rischio di una bolla ma quello di una correzione sì. Per una due motivi. Il primo è che, come accennato, le prospettive future non sono così rosee come un tempo e questo, per un settore le cui valutazioni si giustificano proprio sulla base sulle aspettative di crescita future, sta spingendo il mercato a valutare se il prezzo a premio a cui scambiano questi titoli sia congruo. Il secondo è che il mercato è sovraesposto sui big tecnologici. Il 38% degli investitori che hanno partecipato all’ultimo sondaggio di BofA Merrill Lynch considera la scommessa al rialzo sulle cosiddette FAANG (acronimo di Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) il “trade” più affollato del momento. Per diversi anni questa è stata una strategia vincente ma quando sono in troppi a seguirla forse è meglio vendere e prendere profitto come in molti hanno fatto in queste settimane.
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282 di 286 - 01/4/2018 11:43
GIOLA N° messaggi: 29912 - Iscritto da: 03/9/2014
Se anche Zuckerberg vende azioni Facebook

di Andrea Franceschi

Tra chi ha venduto in queste settimane il titolo Facebook portandolo ai minimi da nove mesi c’è l’ultima persona da cui ci si aspetterebbe un simile comportamento: il numero uno della società Mark Zuckerberg. Stando alle rilevazioni di internal dealing nelle due settimane in cui la sua creatura ha perso 73 miliardi di capitalizzazione il fondatore si è disfato di circa 863mila azioni per un controvalore di oltre 140 milioni di dollari. Nell’ultimo mese e mezzo Zuckerberg ha venduto azioni Facebook per un controvalore superiore a 645 milioni di dollari. La quota di azioni Facebook nel portafoglio del fondatore è scesa oggi al 13,5% del capitale. Ai minimi storici.

Se ha fatto quello che ha fatto Zuckerberg avrà avuto le sue buone ragioni ma viene da chiedersi: che segnale dà all’esterno con un simile comportamento? In passato molti top manager di aziende in crisi hanno scelto di comprare le azioni delle società che amministravano per dare un segnale di fiducia sul futuro. Zuckerberg ha fatto l’esatto opposto e indirettamente il messaggio che manda all’esterno è quello di un oste che non beve il suo vino perché non è buono.
71s2h
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283 di 286 - Modificato il 01/4/2018 17:21
leo115 N° messaggi: 2539 - Iscritto da: 23/10/2014
Se Zuckerberg vendere allora qualcuno COMPRAREEEE
284 di 286 - 29/4/2018 07:40
GIOLA N° messaggi: 29912 - Iscritto da: 03/9/2014
FACEBOOK...LA GENTE DIMENTICA CON L'1-2-3 lOW JOE ROSS!

https://giolanalisys.blogspot.com/2018/04/facebookla-gente-dimentica-con-l1-2-3.html
MODERATO HappyFedina (Utente disabilitato) N° messaggi: 652 - Iscritto da: 30/8/2018
286 di 286 - 02/11/2021 21:10
protomega N° messaggi: 23994 - Iscritto da: 02/3/2007
400$ per FB
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