Con la chiusura delle indagini per 19 persone sulla gestione della pandemia da Covid-19, la procura di Bergamo accusa il vertice di Regione Lombardia, ma anche l'allora premier Giuseppe Conte e l'ex ministro della Salute Roberto Speranza, insieme ai membri del Comitato tecnico scientifico, di aver omesso quelle misure che avrebbero salvato dal contagio e dalla morte migliaia di persone.

Oltre alla mancata zona rossa, scrive Repubblica, i pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino, coordinati dal procuratore capo Antonio Chiappani e dall'aggiunto Cristina Rota, accusano la catena istituzionale e medica della mancata attuazione del Piano pandemico regionale: accusa di epidemia colposa anche per l'allora assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera. Rispondono di epidemia, omicidio e lesioni colpose anche i dirigenti sanitari di Bergamo per le lacune nella gestione dell'ospedale di Alzano Lombardo. «La motivazione principale mia e della procura - commenta il consulente dei pm e ora senatore Pd Andrea Crisanti - è stata tentare di restituire agli italiani la verità su quelli che sono stati i processi decisionali che hanno portato a determinate scelte».

Se la "zona rossa" fosse stata estesa «a partire dal 27 febbraio 2020», 4.148 residenti nel bergamasco sarebbero ancora vivi. Secondo i pm, il presidente dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro e l'allora capo del Cts Agostino Miozzo, gli altri componenti del Comitato tecnico scientifico e i funzionari del ministero, indagati per epidemia colposa insieme a Fontana e Conte (atti trasferiti al Tribunale dei ministri), avevano a disposizione «tutti i dati per estenderla» ai comuni della Val Seriana.

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0309:15 mar 2023

 

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