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Spigolature

- Modificato il 01/12/2017 10:47
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010

e di tutto un po'.

gocce di saggezza, briciole di buone letture,

poesia e musica indimenticabile e chi più ne ha più ne metta.

Buona giornata!





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1003 Commenti
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181 di 1003 - 25/12/2013 08:41
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Il piccolo tamburino (The little drummer boy)

Andiamo,mi hanno detto, c'è un re appena nato, ,
abbiamo preso il nostri doni migliori, ,
così da onorarlo,
quando veniamo

Piccolo bambino, ,
sono anch'io un bambino povero
non ho doni da portare,
posso suonare per te, sul mio tamburo?

Maria annuì, il bue e l'agnelllo battono il tempo,
ho suonato il mio tamburo per lui,
ho suonato nel modo migliore per lui,
dopo mi ha sorriso, a me e al mio tamburo.




Come they told me
A new born King to see,
Our finest gifts we bring,
To lay before the king
So to honor Him, When we come

Baby Jesus,
I am a poor boy too,
I have no gift to bring,
That's fit to give our King
Shall I play for you
On my drum

Mary nodded,
The ox and lamb kept time,
I played my drum for Him
I played my best for Him,

Then He smiled at me,
Me and my drum


http://www.youtube.com/watch?v=hANpVo5gjdw
182 di 1003 - 27/12/2013 19:13
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Quando si dice "rigirare il dito nella piaga".........

dal giornale
IL FATTO QUOTIDIANO ECONOMIA


Risparmi, dal flop Saipem ai Btp triennali: lo Stato tra i peggiori investimenti 2013

I tonfi più evidenti (a doppia cifra) si sono registrati nei fondi hanno investito in Paesi emergenti o nelle materie prime. Quanto ai buoni del tesoro, per trovare rendimenti decenti, gli investitori hanno dovuto buttarsi sulle scadenze più lunghe, anche perché i triennali sono scesi lo scorso novembre all’1,79%, il minimo da marzo 2010

Oltre ai guadagni, quando si investono i propri risparmi bisogna anche imparare a incassare i flop: titoli o prodotti finanziari che ci fanno perdere una parte (a volte importante) di quanto abbiamo investito o con un rendimento così basso da farci rimpiangere il caro e vecchio materasso. Ecco, quindi, una lista dei peggiori nel 2013, considerando i diversi strumenti di investimento.

Partendo da quelli più rischiosi (le azioni), stando ai dati di Borsa italiana aggiornati a lunedì 23 dicembre, la maglia nera da inizio anno va a Saipem: -48,36%. Penultima: Banca Monte Paschi di Siena con -21,67% da inizio anno, seguita da Eni (-5,73%) ed Enel (-1,02%). Il crollo della società che fornisce i servizi per le attività onshore e off shore di Eni si deve all’allarme lanciato a inizio anno: da allora il titolo, complici le inchieste giudiziarie, non si è più ripreso. Film analogo, ma in grande, per Rocca Salimbeni, che sconta le tortuose vicende societarie della banca senese (non ancora finite) e rischia a questo punto la nazionalizzazione.

Passando ai titoli di Stato, il 2013 ha fatto dimenticare i rendimenti da capogiro toccati due anni fa, quando il Btp triennale sfiorò nel novembre del 2011 (erano i giorni delle dimissioni dell’ex premier Berlusconi) un rendimento dell’8 per cento. Quest’anno, i ritorni per i Bot people sono stati ben più magri e prossimi allo zero (basta dare un’occhiata alle tabelle di Bankitalia). Quanto ai Btp per trovare rendimenti decenti, gli investitori hanno dovuto buttarsi sulle scadenze più lunghe, anche perché i triennali sono scesi lo scorso novembre all’1,79%, il minimo da marzo 2010.

Non hanno fatto meglio le soluzioni più liquide, come i conti deposito: basta scorrere un qualsiasi sito comparatore per scoprire tassi lordi attorno al 2,50%: detto altrimenti, investendo 10.000 euro in questi strumenti vincolati, dopo 12 mesi si ottiene un guadagno netto di poco superiore a 200 euro, quando un Btp comprato a fine 2011 ha continuato a garantire nei tre anni successivi una cedola di oltre 700 euro. Quanto ai fondi comuni d’investimento, quest’anno chi aveva messo i soldi sugli obbligazionari nella maggior parte dei casi è rimasto deluso. Come ha fatto notare Morningstar, una società che dà rating ai fondi, un campione del settore come Pimco Gis Total Return, gemello del fondo americano gestito dal “re dei bond” Bill Gross, ha perso addirittura il 29% del patrimonio in Europa a causa dei deflussi: i risparmiatori negli scorsi mesi hanno chiesto il riscatto della propria quota a fronte di rendimenti negativi. Il super fondo da 23 miliardi di euro quest’anno ha portato a casa un segno meno dopo l’altro, chiudendo il mese di novembre con una performance di -4,9 per cento. Stesso andamento per un altro big del comparto, Templeton Global Bond (oltre 44 miliardi di euro di masse in gestione in Europa): -3% a fine novembre.

Ma i tonfi più evidenti (a doppia cifra) si sono registrati sui prodotti più esotici che investono nei paesi emergenti o nelle materie prime (commodity): stando ai dati Morningstar, i fondi che investono in azioni di società operanti nel settore delle miniere d’oro e di altri metalli preziosi sono crollati del 50% da inizio anno.


183 di 1003 - 11/1/2014 12:24
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
VALORE (Erri De Luca)

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello
che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto

184 di 1003 - 26/1/2014 12:46
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
l'attimo fuggente.....

CARPE DIEM
O vergine,cogli l’attimo che fugge,
Cogli la rosa quand’è il momento,
Ché il tempo, lo sai, vola:
E lo stesso fiore che sboccia oggi,
Domani appassirà.
(Orazio)


Vi ricordate la famosa lezione del prof, Keating nel film "L'attimo fuggente"?

Eccone uno stralcio:[...] "Grazie per aver partecipato al nostro gioco . Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi. Perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza, un giorno smetterà di respirare, diventerà freddo e morirà. Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero? Stesso taglio di capelli, pieni di ormoni, come voi, invincibili, come vi sentite voi. Il mondo è la loro ostrica, pensano di essere destinati a grandi cose, come molti di voi, i loro occhi sono pieni di speranza, proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora, sono concime per i fiori. Ma se ascoltate con attenzione, li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi. Ascoltateli. Sentite? Carpe... Sentito? Carpe... Carpe diem... Cogliete l'attimo, ragazzi... rendete straordinaria la vostra vita..."

Io aggiungerei al carpe diem un'altra famosa frase...perchè"del doman non v'è certezza"....purtroppo mai come di questi tempi....
185 di 1003 - 26/1/2014 12:51
maromonari3 N° messaggi: 5610 - Iscritto da: 25/1/2013
....non so chi sei....ma amo le persone passionali com te! Felice domenica!
186 di 1003 - 26/1/2014 12:51
maromonari3 N° messaggi: 5610 - Iscritto da: 25/1/2013
https://www.youtube.com/watch?v=QE2gWCUP1fM&feature=youtube_gdata_player
187 di 1003 - 26/1/2014 12:52
tocai N° messaggi: 6060 - Iscritto da: 14/3/2011
Ke kaz
188 di 1003 - 26/1/2014 12:54
tocai N° messaggi: 6060 - Iscritto da: 14/3/2011
Siete andati a messa stamattina?
Vi dà solo bene ehehehehehe
189 di 1003 - 26/1/2014 15:43
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010

"

LE COSE CHE HO IMPARATO NELLA VITA Paulo Coelho

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:
- Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà... E per questo, bisognerà che tu la perdoni
- Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla
- Che la pazienza richiede molta pratica
- Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un'ora per piacergli, e un giorno per amarlo, ma ci vuole una vita per dimenticarlo
- Non cercare le apparenze, possono ingannare
- Cerca qualcuno che ti faccia sorridere perché ci vuole solo un sorriso per far sembrare brillante una giornataccia
- - Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare
- Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano, speranza sufficiente a renderti felice
- Mettiti sempre nei panni degli altri. Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così
- Le più felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino

PAULO COELHO

Di mio ci aggiungo
-Essere gentili ed educati ti sorprenderà e ti farà sentire uno tra le eccezioni
ma resisti e continua ad esserlo.


190 di 1003 - 26/1/2014 15:50
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
La strada della CORTESIA

C’era una volta un principino superbo e maleducato. Un giorno si perse in un bosco. Incontrò una vecchina curva sotto il peso di un sacco e le gridò sgarbatamente: “Vecchia, qual è la strada della reggia?”
La vecchina si strinse nelle spalle, allungò il mento, socchiuse gli occhi e rispose: “Non saprei. Chiedilo al gatto, che sa tutto”.
“Gatto” disse il principino “Voglio tornare alla reggia. Insegnami la strada!”
“Domandalo al cane, che ha girato tanto.”
“Cane, qual è la strada della reggia?”
“Domandalo allo scoiattolo, ce vede tutto”
“Scoiattolo, voglio sapere la strada della reggia”
“Chiedilo allo scricciolo, che ode tutto”
“Scricciolo, insegnami la strada della reggia”
Lo scricciolo volò sulla spalla del principe e gli sussurrò all’orecchio: “Principe, se vuoi ritrovare la reggia, prendi la strada della cortesia e comincia col domandare le cose -per piacere-”.
Il principe capì la lezione e subito disse: “Per piacere, mi potresti insegnare la via?”
Lo scoiattolo scese dall’albero e lo accompagnò fino a una radura dov’era il cane.
“Cane, per piacere mi accompagni verso la reggia?”
Il cane lo guidò fino al bivio dov’era il gatto.
“Gatto, per favore, mi dici dov’è la reggia?”
Il gatto, scodinzolando, lo condusse fino la limite del bosco. Qui era ad aspettarlo la vecchina.
“Nonnina, per gentilezza, mi dite dov’è la reggia?”
La vecchina lo prese per mano e lo condusse fino alla porta del palazzo reale.
“Entrate, per favore” disse il principino cortesemente.
“Grazie, caro. Sono contenta, perchè vedo che hai imparato la strada della gentilezza. D’ora in poi non ti perderai più”.
(P. Bargellini)
191 di 1003 - Modificato il 29/1/2015 12:04
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
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192 di 1003 - Modificato il 04/2/2014 11:08
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
"L'OCCASIONE FA L'UOMO LADRO"


"I partiti non fanno più politica. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss.


I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali ..."

"Noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità ...
A noi hanno fatto ponti d’oro, la Dc e gli altri partiti, perché abbandonassimo questa posizione d’intransigenza e di coerenza morale e politica. Ai tempi della maggioranza di solidarietà nazionale ci hanno scongiurato in tutti i modi di fornire i nostri uomini per banche, enti, poltrone di sottogoverno, per partecipare anche noi al banchetto. Abbiamo sempre risposto di no. Se l’occasione fa l’uomo ladro, debbo dire che le nostre occasioni le abbiamo avute anche noi, ma ladri non siamo diventati. Se avessimo voluto venderci, se avessimo voluto integrarci nel sistema di potere imperniato sulla Dc e al quale partecipano gli altri partiti, avremmo potuto farlo; ma la nostra risposta è stata no. E ad un certo punto ce ne siamo andati sbattendo la porta, quando abbiamo capito che rimanere, anche senza compromissioni nostre, poteva significare tener bordone alle malefatte altrui, e concorrere anche noi a far danno al Paese ...
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. ECCO PERCHE' DICO CHE LA QUESTIONE MORALE E' IL CENTRO DEL PROBLEMA ITALIANO Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche ...
Dopo le politiche del ’79 rischiammo una sconfitta che poteva metterci in ginocchio. Non tanto per la perdita di voti, che pure fu grave, quanto per un altro fatto: durante i governi di unità nazionale noi avevamo perso il rapporto diretto e continuo con le masse. Quei governi fecero anche cose pregevoli, che non rinneghiamo. Contennero l’inflazione, in politica estera presero qualche buona iniziativa, la lotta contro il terrorismo fu condotta con fermezza e dette anche risultati. Poi ci fu un’inversione di tendenza e gli accordi con noi furono violati. Ma sta di fatto che noi, anche per nostri errori di verticismo, di burocratismo e di opportunismo, vedemmo indebolirsi il nostro rapporto con le masse nel corso dell’esperienza delle larghe maggioranze di solidarietà. Ce ne siamo resi conto in tempo. Posso assicurarle che un’esperienza del genere noi non la ripeteremo mai più ..."

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Non ci sono parole più chiare ed esplicite di queste per fotografare ciò che succede in peggio oggi. Solo che queste parole le diceva in una intervista Enrico Berlinguer nel 1981!!! La natura umana non cambia e le occasioni per rendere l'uomo ladro esistono oggi come ieri. Non ci si può lamentare se la magistratura interviene per fare un po' di pulizia, questo succede perché i partiti non riescono a farlo, vuoi anche per una legge elettorale, il cui soprannome la definisce egregiamente, ha portato nel parlamento e nelle varie istituzioni persone NOMINATE DAI PARTITI per ragioni di opportunità, amicizia, fedeltà per favori ottenuti,ovvero le solite camarille utili e funzionali al sistema.

193 di 1003 - 24/2/2014 12:18
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
"Il sapere rende liberi gli uomini"

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L'educazione secondo i filosofi

Etimologicamente il termine educazione, dal latino ex-ducere, significa “condurre fuori”, indicando appunto che tutto ciò che il processo educativo si prefigge di raggiungere si trova già “dentro” l’educando.
Platone ritratto da Raffaello Nell’antica Grecia dei filosofi è stato elaborato da Socrate e Platone un’importante teoria sull’educazione che rispecchia il significato etimologico del termine; essa consiste in un metodo per rendere manifesto ciò che è già in potenza nell’individuo. Busto di Socrate
Al contrario, secondo il punto di vista della società moderna, è reale il cambiamento, “si è ciò che si diventa”; quindi l’educazione è il processo mediante cui l’educando apprende ciò di cui prima era privo.
La società moderna attribuisce un’eccessiva importanza al cambiamento, filosoficamente parlando il divenire; l’organizzazione della scuola, e di ogni altra istituzione educativa, oggi è basata sull’apprendimento di nozioni programmate, che l’insegnante deve esporre e dimostrarne la conoscenza.
La filosofia di Socrate differisce dal significato moderno che viene attribuito all’educazione. Secondo il noto filosofo, l’ideale educativo è l’ironia, quell’arte che consiste nell’interrogare e nel dissimulare, ovvero fingere di non sapere. Socrate interroga perché il suo insegnamento non consiste nel dare risposte ma nello stimolare, con domande, il fanciullo a darsele da sé.
Un insegnante che mostra eccessivamente la propria conoscenza non può stimolare la ricerca dell’alunno, innanzitutto perché il grande divario di conoscenza tra i due spaventa l’alunno; ed in secondo luogo, l’alunno è agevolato dalla conoscenza che gli viene offerta dall’esterno, dunque perché sforzarsi per qualcosa che puoi ottenere molto più facilmente?!
L’insegnante più che preoccuparsi dell’apprendimento delle nozioni programmate, dovrebbe andare incontro alla particolare natura dell’educando e alle sue reali esigenze.
In questo modo l’allievo stesso sentirà l’educazione non come un’imposizione, ma come il mezzo adeguato per esprimersi.
Il sapere rende libero l’uomo; le nuove generazioni avranno il grande compito di creare una nuova civiltà, basata su un livello di cultura più alta.
E’ importante che gli adulti di oggi lavorino affinché i giovani possano migliorare lo sviluppo della società. Ma si sta davvero lavorando per questo?!...
O si sta solo andando incontro ad un appiattimento della cultura??!!

Chiara Semprevivo
194 di 1003 - 24/2/2014 12:22
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Sentire non vuol dire ascoltare....


Saper ascoltare è una delle abilità più importanti nella vita di tutti i giorni, eppure sono in pochi a saperlo davvero fare.

Occorre lavorare su se stessi per imparare ad ascoltare davvero. Imparare a non interrompere, imparare a sospendere il giudizio, imparare ad aprire davvero la mente ed il cuore, prima ancora che le orecchie. Chi sa ascoltare è un grande leader; chi sa ascoltare è un grande comunicatore; chi sa ascoltare è un vincente. In ogni campo.

“""C’era una volta un pover’uomo che chiedeva qualche spicciolo all’angolo di una strada. Era conosciuto da molti negozianti e passanti della zona come una persona mite e che non dava assolutamente alcun fastidio: si limitava con molta discrezione ad esporre il suo cappello ed un breve biglietto per raccontare la sua storia.
Con regolarità passava da lui un signore molto distinto, che si fermava a parlare con lui. All’inizio nessuno dei vicini ci fece caso, ma poi questa presenza periodica iniziò ad attirare l’attenzione.
Qualcuno notò che questo signore, sempre ben vestito, non lasciava mai neanche un soldo, e così incominciarono a circolare critiche di tutti i generi sulla “tirchieria” di questo personaggio. Tuttavia l’ometto sembrava sempre molto contento di vederlo.
Una volta uno dei negozianti presso cui il nostro ometto stazionava, dopo che il signore distinto fu andato via, gli chiese:
“Come stanno andando le entrate oggi?”
“Molto poco… anzi quasi nulla…”
In quel momento passò una signora che lasciò qualche centesimo… Al che il negoziante aggiunse con una punta di sarcasmo:
“Certo però che se almeno quel signore così distinto ti desse una frazione dei suoi averi, potresti evitare di stare qui tutto il giorno…”
“Oh, no, non è così – rispose l’ometto – Sai chi è quello? Quello è il presidente di una grande società: per parlare con lui la gente fa la fila per settimane. Ogni minuto del tuo tempo vale un sacco di soldi…”
“E allora? A maggior ragione dovrebbe dare di più…”
“Ma lui da di più… Mi dona ogni giorno il bene più prezioso che ha una cosa che non si riguadagna: un po’ del suo tempo per ascoltarmi e per farmi sentire importante per qualcuno… E’ qualcosa che non potrà più avere in nessun modo, perchè il tempo non ritorna…”""



Quante volte diciamo a qualcuno di non avere tempo per ascoltarlo… quante volte ascoltiamo distrattamente, magari assorti nei nostri pensieri…
Troppo spesso riceviamo passivamente i segnali che ci vengono inviati, ascoltare è in realtà molto più che il semplice sentire.
Dedicare un pò del proprio tempo all’ascolto sincero è uno dei più bei regali che si possa fare, agli altri ed a se stessi.
195 di 1003 - 25/2/2014 16:40
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole........anzi d'antico..


La politica secondo Platone


L'ultima attività di Platone è ancora dedicata al problema politico. Nel Politico, Platone ricerca quale deve essere l'arte propria del reggitore dei popoli. E la conclusione è che questa arte deve essere quella della misura: in ogni cosa difatti bisogna evitare l'eccesso o il difetto e trovare il giusto mezzo. Tutta la scienza dell'uomo politico consisterà essenzialmente nel cercare il giusto mezzo, ciò che è in ogni caso opportuno o doveroso nelle azioni umane. L'azione politica deve «tessere insieme» nell'interesse dello stato le due indoli opposte degli uomini coraggiosi e dei prudenti, in modo che vengano contemperate in giusta misura nello stato la prontezza d'azione e la saggezza di giudizio.
La cosa migliore sarebbe che l'uomo politico non ponesse leggi giacché la legge, essendo generale, non può prescrivere con precisione ciò che è bene per ognuno. Le leggi sono tuttavia necessarie per l'impossibilità di dare prescrizioni precise ad ogni singolo individuo; ed esse si limitano quindi ad indicare ciò che genericamente e grossolanamente è il meglio per tutti. Tuttavia una volta che siano stabilite nel modo migliore, vanno conservate e rispettate e la loro rovina implica la rovina dello stato. Delle tre forme di governo storicamente esistenti, monarchia, aristocrazia e democrazia, ciascuna si distingue dalla corrispondente forma deteriore proprio per l'osservanza delle leggi.
Così il governo di uno solo è monarchia se è retto dalle leggi; è tirannide se è senza leggi. Il governo dei pochi è aristocrazia quando è governato da leggi, oligarchia quando è senza leggi e la democrazia può essere retta da leggi o governata contro le leggi. Il miglior governo, prescindendo da quello perfetto delineato nella Repubblica, è quello monarchico, il peggiore è quello tirannico. Tra i governi disordinati (cioè privi di leggi) il migliore è la democrazia.
In tal modo il problema politico, che nella Repubblica era stato considerato come il problema di una comunità umana perfetta, quindi nel suo aspetto morale, acquista un carattere più determinato e specifico nell'ultima fase della speculazione platonica; e diventa il problema delle leggi che devono governare gli uomini e indirizzarli gradualmente a diventare cittadini di quella comunità ideale. Al problema delle leggi è infatti dedicata l'ultima opera platonica, che è anche la più estesa di tutte, il dialogo in 12 libri intitolato Le Leggi, pubblicato da Filippo di Opunte dopo la morte del maestro.
Platone è ormai più vivamente consapevole della «debolezza della natura umana» e perciò ritiene indispensabile che anche in uno stato bene ordinato vi siano leggi e sanzioni penali (854 a). Ma la legge deve conservare la sua funzione educativa; non deve solo comandare, ma anche convincere e persuadere della propria bontà e necessità: ogni legge deve quindi avere un preludio insegnativo, simile a quello che si premette alla musica e al canto. Quanto alla punizione, poiché nessuno accoglie volentieri nell'anima l'ingiustizia che è il peggiore di tutti i mali, essa non deve essere una vendetta, ma solo correggere il colpevole spingendolo a liberarsi dell'ingiustizia e ad amare la giustizia.
Da ciò risulta che il fine delle leggi è quello di promuovere nei cittadini la virtù che, come già Socrate insegnava, si identifica con la felicità. Ed esse non devono promuovere una sola virtù, per esempio, il coraggio guerriero, ma tutte, perché tutte sono necessarie alla vita dello stato; e perciò devono tendere all'educazione dei cittadini, intendendo per educazione «l'indirizzare l'uomo sin dai teneri anni alla virtù, rendendolo amante e desideroso di divenire cittadino perfetto che sa comandare e ubbidire secondo giustizia», (643 e). Ma questa educazione ha come suo fondamento la religione, una religione che prescinda dall'indifferenza e dalla superstizione.
Contro coloro i quali spiegano l'universo con l'azione di forze puramente fisiche, Platone afferma la necessità di ammettere un principio divino del mondo. Difatti se ogni cosa produce un cambiamento nell'altra, bisogna, risalendo da cosa a cosa, giungere ad una cosa che si muove da sé. Una cosa che è mossa da un'altra non può essere la prima a muoversi. Il primo movimento è dunque quello che muove se stesso ed è quello dell'anima. C'è dunque un'anima, un'intelligenza suprema che muove e ordina tutte le cose del mondo (896 e). Ma non basta ammettere un principio divino del mondo, bisogna anche vincere l'indifferenza di quelli che ritengono che la divinità non si occupi delle cose umane, che sarebbero per essa insignificanti. Ora questa credenza equivale ad ammettere che la divinità è pigra e indolente e a ritenerla inferiore al più comune mortale che vuole sempre rendere perfetta l'opera sua, grande o piccola che sia. Infine la peggiore aberrazione è la superstizione di chi crede che la divinità possa essere propiziata con doni ed offerte: costoro pongono la divinità alla pari dei cani che ammansiti dai doni permettono di depredare le greggi e al disotto degli uomini comuni che non tradiscono la giustizia accettando doni delittuosamente offerti.
Come si vede l'ultima speculazione platonica tende a delineare una forma di religione filosofica, che Platone esplicitamente riconnette alle credenze religiose tradizionali. Neppure qui c'è traccia pertanto di monoteismo: nella credenza nella divinità è la credenza negli dei: la divinità viene partecipata egualmente da un numero indefinito di enti divini i più alti dei quali trovano negli astri i loro corpi visibili.
La via che Platone ha percorso dai primi Dialoghi che si fermavano a illustrare atteggiamenti e concetti socratici, sino alla tarda speculazione delle Leggi, è stata ben lunga. Nel corso di essa si sono venute sommando le delusioni che l'uomo ha incontrato nei tentativi di realizzazione del suo ideale politico, i problemi che sono germinati l'uno dall'altro in una ricerca che non ha mai voluto riconoscere tappe o soste definitive. Chi confronta lo sbocco ultimo di questa ricerca (il calcolo matematico della virtù e il codice legislativo) con il suo punto di partenza, può facilmente scoprire un abisso tra i due punti estremi di essa. Ma chi consideri che anche a questi ultimi sviluppi Platone è stato condotto dall'esigenza di formulare come scienza rigorosa (e la matematica è il tipo stesso del rigore scientifico) l'aspirazione ad una vita propriamente umana, cioè virtuosa e felice insieme, non può non riconoscere che Platone si è mantenuto fedele allo spirito dell'insegnamento di Socrate e non ha fatto altro, in tutta la vita, che realizzarne il significato.
196 di 1003 - Modificato il 08/3/2014 11:24
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
8 marzo 2014- auguri a tutte le Donne e donzelle di questo forum.
Rispolveriamo un po' "di cor gentil" a cui "amor ratto s'apprende"
secondo Dante o "rempaira sempre amore" secondo Guinizzelli.Merce
molto rara al giorno d'oggi.....

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Dalla VITA NOVA cap. XXVI di Dante

Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole, venne in tanta grazia de le genti, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea. E quando ella fosse presso d’alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardia di levare li occhi, né di rispondere a lo suo saluto; e di questo molti, sì come esperti, mi potrebbero testimoniare a chi non lo credesse.

Ella coronata e vestita d’umilitade s’andava, nulla gloria mostrando di ciò ch’ella vedea e udia. Diceano molti, poi che passata era: "Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo". E altri diceano: "Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae adoperare!".

Io dico ch’ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto che ridicere non lo sapeano; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse sospirare.

Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente: onde io pensando a ciò, volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad intendere de le sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciò che non pur coloro che la poteano sensibilemente vedere, ma li altri sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere. Allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Tanto gentile.


Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.


197 di 1003 - 10/3/2014 07:19
Alexys60 N° messaggi: 1842 - Iscritto da: 29/4/2013
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198 di 1003 - 17/3/2014 10:30
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
A cor gentil......

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"Un giorno il sole ed il vento decisero di fare una gara per dimostrare chi tra i due fosse il più forte. Il vento disse: “Ti dimostrerò che sono più forte di te! Guarda quel vecchio signore laggiù con l’impermeabile, scommetto che riuscirò a farglielo togliere prima di quanto riusciresti a fare tu!”. Così il sole si nascose dietro una nuvola ed il vento cominciò a soffiare talmente forte fino a diventare un tornado. Ma più il vento soffiava forte più il signore si teneva stretto l’impermeabile. Dopo un po’ il vento si arrese e lasciò fare la prova al sole.

Il sole venne fuori da dietro le nubi e sorrise gentilmente al vecchio. Questi, visibilmente accaldato si asciugò la fronte e si tolse l’impermeabile! Il sole disse al vento che la gentilezza e la cordialità sono sempre più potenti della forza bruta."

Questa non è solo una fiaba ma è ciò che avviene anche nella realtà.

Un piccolo gesto di gentilezza, a volte dice più di tante parole e spesso ci costa davvero poco. Essere gentili nella vita quotidiana non è difficile:
aiutare una persona , regalare un sorriso ad una persona triste, scrivere un biglietto ad un amico che sta attraversando un periodo difficile, sono tutti atti di gentilezza che seppur transitori non richiedono sforzi disumani ma solo un po’ del nostro tempo e della nostra attenzione.

Cominciamo ad adottare la filosofia della gentilezza e a metterla in pratica anche nei più piccoli gesti quotidiani, non aspettiamoci che il mondo intero possa essere sempre gentile con noi ma proviamo lo stesso a dare il buon esempio, potremmo sembrare pecore fuori dal gregge ma l’importante è che abbiamo seminato qualcosa di positivo.

La gentilezza era e sarà sempre una delle più nobili espressioni del comportamento umano, la chiave che alimenta tutto, e come dicevano i nostri vecchi, la chiave che apre tutte le porte.
199 di 1003 - Modificato il 24/3/2014 10:50
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Dalla Dichiarazione Universale Dei Diritti Dell'Uomo(approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948)

Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire in uno spirito di fraternità vicendevole.

Articolo 4

Nessuno potrà essere tenuto in schiavitù né in servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi sono proibiti in tutte le loro forme.

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La schiavitù era ampiamente accettata nella gran parte delle civiltà antiche, ed era regolata dalle leggi e dalle consuetudini come ogni altra pratica economica. Tra le antiche civiltà, quella romana ha rappresentato il culmine delle società schiaviste, nelle quali il lavoro degli schiavi rappresentava una componente essenziale dell'economia: uno dei più importanti frutti delle guerre di conquista, per i Romani, era l'acquisizione di nuovi schiavi. Anche l'antica Grecia basava gran parte della sua economia sugli schiavi, tanto è vero che ad Atene per lunghi periodi ci sono stati più schiavi che uomini liberi.


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LETTERA SUGLI SCHIAVI (di Seneca a Lucilio)


Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si confà alla tua saggezza e alla tua istruzione. "Sono schiavi." No, sono uomini. "Sono schiavi". No, vivono nella tua stessa casa. "Sono schiavi". No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro. Perciò rido di chi giudica disonorevole cenare in compagnia del proprio schiavo; e per quale motivo, poi, se non perché è una consuetudine dettata dalla piú grande superbia che intorno al padrone, mentre mangia, ci sia una turba di servi in piedi? Egli mangia oltre la capacità del suo stomaco e con grande avidità riempie il ventre rigonfio ormai disavvezzo alle sue funzioni: è più affaticato a vomitare il cibo che a ingerirlo. Ma a quegli schiavi infelici non è permesso neppure muovere le labbra per parlare: ogni bisbiglio è represso col bastone e non sfuggono alle percosse neppure i rumori casuali, la tosse, gli starnuti, il singhiozzo: interrompere il silenzio con una parola si sconta a caro prezzo; devono stare tutta la notte in piedi digiuni e zitti. Così accade che costoro, che non possono parlare in presenza del padrone, ne parlino male. Invece quei servi che potevano parlare non solo in presenza del padrone, ma anche col padrone stesso, quelli che non avevano la bocca cucita, erano pronti a offrire la testa per lui e a stornare su di sé un pericolo che lo minacciasse; parlavano durante i banchetti, ma tacevano sotto tortura. Inoltre, viene spesso ripetuto quel proverbio frutto della medesima arroganza: "Tanti nemici, quanti schiavi": loro non ci sono nemici, ce li rendiamo tali noi. Tralascio per ora maltrattamenti crudeli e disumani: abusiamo di loro quasi non fossero uomini, ma bestie. Quando ci mettiamo a tavola, uno deterge gli sputi, un altro, stando sotto il divano, raccoglie gli avanzi dei convitati ubriachi. Uno scalca volatili costosi; muovendo la mano esperta con tratti sicuri attraverso il petto e le cosce, ne stacca piccoli pezzi; poveraccio: vive solo per trinciare il pollame come si conviene; ma è più sventurato chi insegna tutto questo per suo piacere di chi impara per necessità. Un altro, addetto al vino, vestito da donna, lotta con l'età: non può uscire dalla fanciullezza, vi è trattenuto e, pur essendo ormai abile al servizio militare, glabro, con i peli rasati o estirpati alla radice, veglia tutta la notte, dividendola tra l'ubriachezza e la libidine del padrone, e fa da uomo in camera da letto e da servo durante il pranzo. Un altro che ha il còmpito di giudicare i convitati, se ne sta in piedi, sventurato, e guarda quali persone dovranno essere chiamate il giorno dopo perché hanno saputo adulare e sono stati intemperanti nel mangiare o nei discorsi. Ci sono poi quelli che si occupano delle provviste: conoscono esattamente i gusti del padrone e sanno di quale vivanda lo stuzzichi il sapore, di quale gli piaccia l'aspetto, quale piatto insolito possa sollevarlo dalla nausea, quale gli ripugni quando è sazio, cosa desideri mangiare quel giorno. Il padrone, però non sopporta di mangiare con costoro e ritiene una diminuzione della sua dignità sedersi alla stessa tavola con un suo servo. Ma buon dio! quanti padroni ha tra costoro. Ho visto stare davanti alla porta di Callisto il suo ex padrone e mentre gli altri entravano, veniva lasciato fuori proprio lui che gli aveva messo addosso un cartello di vendita e lo aveva presentato tra gli schiavi di scarto. Così quel servo che era stato messo tra i primi dieci in cui il banditore prova la voce, gli rese la pariglia: lo respinse a sua volta e non lo giudicò degno della sua casa. Il padrone vendette Callisto: ma Callisto come ha ripagato il suo padrone! Considera che costui, che tu chiami tuo schiavo, è nato dallo stesso seme, gode dello stesso cielo, respira, vive, muore come te! Tu puoi vederlo libero, come lui può vederti schiavo. Con la sconfitta di Varo la sorte degradò socialmente molti uomini di nobilissima origine, che attraverso il servizio militare aspiravano al grado di senatori: qualcuno lo fece diventare pastore, qualche altro guardiano di una casa. E ora disprezza pure l'uomo che si trova in uno stato in cui, proprio mentre lo disprezzi, puoi capitare anche tu. Non voglio cacciarmi in un argomento tanto impegnativo e discutere sul trattamento degli schiavi: verso di loro siamo eccessivamente superbi, crudeli e insolenti. Questo è il succo dei miei insegnamenti: comportati con il tuo inferiore come vorresti che il tuo superiore agisse con te. Tutte le volte che ti verrà in mente quanto potere hai sul tuo schiavo, pensa che il tuo padrone ha su di te altrettanto potere. "Ma io", ribatti, "non ho padrone." Per adesso ti va bene; forse, però lo avrai. Non sai a che età Ecuba divenne schiava, e Creso, e la madre di Dario, e Platone, e Diogene? Sii clemente con il tuo servo e anche affabile; parla con lui, chiedigli consiglio, mangia insieme a lui. A questo punto tutta la schiera dei raffinati mi griderà: "Non c'è niente di più umiliante, niente di più vergognoso." Io, però potrei sorprendere proprio loro a baciare la mano di servi altrui. E neppure vi rendete conto di come i nostri antenati abbiano voluto eliminare ogni motivo di astio verso i padroni e di oltraggio verso gli schiavi? Chiamarono padre di famiglia il padrone e domestici gli schiavi, appellativo che è rimasto nei mimi; stabilirono un giorno festivo, non perché i padroni mangiassero con i servi solo in quello, ma almeno in quello; concessero loro di occupare posti di responsabilità nell'ambito familiare, di amministrare la giustizia, e considerarono la casa un piccolo stato. "E dunque? Inviterò alla mia tavola tutti gli schiavi?" Non più che tutti gli uomini liberi. Sbagli se pensi che respingerò qualcuno perché esercita un lavoro troppo umile, per esempio quel mulattiere o quel bifolco. Non li giudicherò in base al loro mestiere, ma in base alla loro condotta; della propria condotta ciascuno è responsabile, il mestiere, invece, lo assegna il caso. Alcuni siedano a mensa con te, perché ne sono degni, altri perché lo diventino; se c'è in loro qualche tratto servile derivante dal rapporto con gente umile, la dimestichezza con uomini più nobili lo eliminerà. Non devi, caro Lucilio, cercare gli amici solo nel foro o nel senato: se farai attenzione, li troverai anche in casa. Spesso un buon materiale rimane inservibile senza un abile artefice: prova a farne esperienza. Se uno al momento di comprare un cavallo non lo esamina, ma guarda la sella e le briglie, è stupido; così è ancora più stupido chi giudica un uomo dall'abbigliamento e dalla condizione sociale, che ci sta addosso come un vestito. "È uno schiavo." Ma forse è libero nell'animo. "È uno schiavo." E questo lo danneggerà? Mostrami chi non lo è: c'è chi è schiavo della lussuria, chi dell'avidità, chi dell'ambizione, tutti sono schiavi della speranza, tutti della paura. Ti mostrerò un ex console servo di una vecchietta, un ricco signore servo di un'ancella, giovani nobilissimi schiavi di pantomimi: nessuna schiavitù è più vergognosa di quella volontaria. Perciò codesti schizzinosi non ti devono distogliere dall'essere cordiale con i tuoi servi senza sentirti superbamente superiore: più che temerti, ti rispettino. Qualcuno ora dirà che io incito gli schiavi alla rivolta e che voglio abbattere l'autorità dei padroni, perché ho detto "il padrone lo rispettino più che temerlo". "Proprio così?" chiederanno. "Lo rispettino come i clienti, come le persone che fanno la visita di omaggio?" Chi dice questo, dimentica che non è poco per i padroni quella reverenza che basta a un dio. Se uno è rispettato, è anche amato: l'amore non può mescolarsi al timore. Secondo me, perciò tu fai benissimo a non volere che i tuoi servi ti temano e a correggerli solo con le parole: con la frusta si puniscono le bestie. Non tutto ciò che ci colpisce, ci danneggia; ma l'abitudine al piacere induce all'ira: tutto quello che non è come desideriamo, provoca la nostra collera. Ci comportiamo come i sovrani: anche loro, dimentichi delle proprie forze e della debolezza altrui, danno in escandescenze e infieriscono, come se fossero stati offesi, mentre l'eccezionalità della loro sorte li mette completamente al sicuro dal pericolo di una simile evenienza. Lo sanno bene, ma, lamentandosi, cercano l'occasione per fare del male; dicono di essere stati oltraggiati per poter oltraggiare. Non voglio trattenerti più a lungo; non hai bisogno di esortazioni. La rettitudine ha, tra gli altri, questo vantaggio: piace a se stessa ed è salda. La malvagità è incostante e cambia spesso, e non in meglio, ma in direzione diversa. Stammi bene.

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Aristotele definisce con molta esattezza la condizione dello schiavo, dicendo che è uno "strumento animato": una specie di macchina che offre il vantaggio di capire e di sapere più o meno eseguire gli ordini, uno strumento che appartiene a un altro uomo: una cosa, di cui un altro è il proprietario.
L'unica garanzia dello schiavo è l'interesse del suo padrone. Al padrone non conviene rovinare il suo strumento. Aristotele osserva a questo proposito: "Dello strumento bisogna avere cura, nella misura in cui è buono al lavoro". Quando, dunque, uno schiavo è un buon strumento di lavoro, conviene nutrirlo a sufficienza, vestirlo meglio, concedergli il necessario riposo, autorizzarlo a crearsi una famiglia, e infine lasciargli intravedere la speranza di quella suprema, rarissima ricompensa che sono l'affrancamento, la libertà. Anche Platone insiste sull'interesse che ha il padrone a trattar bene lo schiavo. Per Platone però lo schiavo è.....soltanto un "bruto"(!), ma bisogna che questo bruto non trovi intollerabile la sua condizione servile (la quale, secondo il filosofo, deriva da un'ineguaglianza che è nella natura stessa delle cose) Dunque è necessario trattare bene il "bruto" a nostro vantaggio, precisa, più che a vantaggio suo". Bel modo di ragionare, non vi pare ?
A. Bonnard
P.S. P.S. Per trovare un filosofo che sosterrà la causa della parità, dell'uguaglianza e del diritto alla libertà di tutti gli uomini, dovremo aspettare l'arrivo di Seneca. Citare anche le ricette di Catone.

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In una commedia di Aristofane, senza dubbio uno degli autori satirici greci più famosi, pungenti, ironici, critici e corrosivi, Prossàgora, una dama di idee molto avanzate, così si esprime: " A mio avviso, conviene porre in comune tutte le sostanze, unificare tutte le fonti di guadagno si che ognuno possa trarne vitto e beneficio. Non voglio che uno possegga quattrini a palate ed un altro viva miseramente, che uno abbia immense proprietà terriere e una folla di schiavi ai suoi ordini ed un altro neppure uno per accompagnarlo. Io, invece, voglio accomunare la vita di tutti, voglio eguali diritti per
tutti". Ma a questa tirata qualcuno obietta: " E chi eseguirà i lavori?", "Gli schiavi !", è la risposta.
E' inutile dire che da questa visione del mondo, egalitaria, libertaria, progressista, civile, democratica e filantropica, hanno tratto grandi insegnamenti i politici ed i galantuomini di tutti i tempi.
C.W. Brown

200 di 1003 - 24/3/2014 10:19
lella6 N° messaggi: 1519 - Iscritto da: 01/2/2010
Da "Trattato sulla natura umana" di David Hume

"Le dispute si sono moltiplicate, come se tutto fosse incerto, e queste dispute vengono condotte col massimo calore, come se tutto fosse certo. In tutto questo scompiglio, non è la ragione che conquista il successo, bensì l'eloquenza; e nessuno deve disperare di guadagnare proseliti all'ipotesi più stravagante, se ha arte bastante per rappresentarla sotto colori favorevoli. La vittoria non viene ottenuta dagli uomini armati, i quali maneggiano la picca o la spada; ma dai trombettieri, dai tamburini, dai musicanti dell'esercito."

David Hume
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