Petrolio, export e raffinazione da primato negli Stati Uniti
di Sissi Bellomo
La discesa delle scorte di petrolio negli Stati Uniti è ormai l’unico fattore che riesce a far salire il prezzo del barile. Tutto il resto, a torto o a ragione, è passato in secondo piano.
L’ennesima conferma di quella che sembra diventata una vera ossessione per gli investitori è arrivata ieri: le statistiche settimanali dell’Energy Information Administration (Eia) hanno mostrato una nuova, forte riduzione degli stock di greggio – ben 6,4 milioni di barili – accompagnata da una diminuzione di 2,9 milioni di barili per le benzine. E il mercato ha subito invertito la rotta: Brent e Wti, ancora bersagliati dalle vendite dopo il tonfo del 3% di mercoledì, si sono ripresi (salvo poi chiudere la seduta quasi invariati, a 50,36 e 48,36 dollari al barile rispettivamente).
Negli ultimi due mesi le scorte di greggio americane non hanno mai smesso di scendere, riducendosi in totale di 25,6 mb: un segnale che viene interpretato come la prova dell’efficacia dei tagli di produzione dell’Opec e dei suoi alleati. Ma gli Stati Uniti, benché importanti per gli equilibri del mercato petrolifero, non sono il mondo. E comunque l’orizzonte non si è improvvisamente rasserenato per i fondamentali del greggio.
Sono le stesse statistiche Usa a rilanciare anche altri segnali, meno rassicuranti. A 509,9 mb le scorte di greggio Usa sono ancora molto alte, soprattutto per questo periodo dell’anno. Ma soprattutto sono i motivi della riduzione che dovrebbero suonare come un allarme alle orecchie dell’Opec.
A svuotare gli stoccaggi americani infatti non sono tanto i consumi interni – buoni per il greggio, ma tutt’altro che brillanti per i prodotti raffinati – quanto le esportazioni. La settimana scorsa hanno preso il largo 1,3 milioni di barili al giorno di greggio «made in Usa»: un record storico, tanto più impressionante in quanto Washington ha liberalizzato l’export solo a fine 2015.
A incoraggiare le vendite all’estero sono anche i differenziali di prezzo favorevoli: nel caso del greggio un premio del Brent, benchmark internazionale, sul Wti di circa 2 $. Ma sono gli stessi tagli Opec a dare una spinta al greggio Usa, spingendo le raffinerie asiatiche a cercare fornitori alternativi.
E poi c’è la superproduzione americana: le estrazioni sono salite ancora, a 9,34 mbg.
Anche i carburanti Usa vanno bene all’estero, con esportazioni a 4,9 mbg, in crescita del 31% rispetto a un anno fa. È grazie a questo che le scorte di benzine sono calate, nonostante le raffinerie Usa abbiano utilizzato il 95% della capacità degli impianti, per lavorare ben 17,5 mbg di greggio: una quantità senza precedenti. Gli automobilisti americani stanno infatti iniziando la driving season con una domanda incerta: 9,6 mbg nelle ultime 4 settimane, -0,7% rispetto a un anno fa.
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302 di 345-11/6/2017 10:500
GIOLA
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Prezzo petrolio: Brent a -8% dal summit Opec, neppure il terrorismo rilancia la quotazione
La quotazione del petrolio non mostra segnali di ripresa oramai da giorni. Nella seduta di ieri (mercoledì u.s.) tanto il petrolio Wti quanto il Brent hanno registrato significative flessioni. Nel dettaglio il prezzo del petrolio Wti ha perso quasi un punto percentuale pieno a quota 47,73 dollari al barile. Non è andata meglio al derivato Brent che ha segnato invece un calo dello 0,25% a quota 49,87 dollari al barile. Entrambi gli indici, come del resto si può facilmente vedere dai grafici corrispondenti, restano schiacciati sotto il muro dei 50 dollari al barile.
Se si osserva l'andamento del greggio da questo punto di vista, si può affermare che il tanto elogiato accordo tra i membri Opec sul taglio della produzione dell'oro nero non ha prodotto alcun effetto. Nei giorni precedenti all'intesa, tanti analisti avevano prospettato una ripartenza della quotazione del petrolio proprio in scia all'importante accordo. In altre parole il taglio della produzione tra i più grandi paesi produttori ed esportatori avrebbe dovuto costituire una sorta di trampolino di lancio del prezzo del petrolio. A distanza di circa 10 giorni dall'accordo del 25 maggio, si può affermare che l'accordo tra i produttori non ha sortito l'effetto sperato. Del resto lo stesso Brent da 25 maggio ha registrato un calo dell'8% che non è poca roba.
Il prezzo del petrolio continua a restare molto debole.
Non è questa l'unico particolarità della fase che le quotazioni del greggio stanno attualemente attraversando. Se si considera, infatti, la tensione internazionale tra mezzo Golfo Persico e il Qatar nonchè gli attentati di ieri in Iran, si dovrebbe pensare che il prezzo del petrolio sia ad un passo dalla ripartenza. Solitamente, infatti, le quotazioni del petrolio aumentano in scia all'acuirsi della tensione nelle aree a maggiore produzione di greggio. La situazione attuale, invece, ha dimostrato che anche questa tendenza è saltata.
E' bastato che ieri (mercoledì u.s.) gli Usa comunicassero un dato relativo alle scorte di petrolio, per dare nuovamente il via alla vendite. Non appena il Dipartimento del Commercio Usa ha comunicato che le scorte settimanali di greggio sono risultate pari a 513,207 milioni di barili, in aumento di 3,295 milioni rispetto a settimana precedente, Wti e Brent hanno stabilizzato la loro contrazione.
Alla luce di quello che sta avvenendo sembrerebbe che sia l'atteggiamento degli Usa a determinare l'andamento del prezzo del petrolio. Più in generale, però, possiamo affermare che la crisi economica internazionale ha fatto saltare tutti gli schemi e senza crescita consolidata la quotazione del petrolio continua ad essere debole. Nonostante le tensioni geopolitiche un tempo viste come l'anticamera del rally del greggio.
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303 di 345-15/6/2017 16:040
GIOLA
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304 di 345-28/6/2017 20:020
GIOLA
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Le scorte di petrolio salgono, Opec e Russia non si parlano
Le scorte settimanali di greggio Usa sono risultate pari a 509,213 milioni di barili, in aumento di 0,118 milioni di barili rispetto alla settimana precedente, mentre il consenso si aspettava un -2,4 milioni. L'Opec deve ancora discutere con la Russia la proposta di aumentare i tagli alla produzione di petrolio concordati a maggio
di Francesca Gerosa
L'Opec deve ancora discutere con la Russia la proposta di aumentare i tagli alla produzione di petrolio concordati a maggio, in occasione del meeting di Vienna. E' quanto ha dichiarato quest'oggi, secondo l'agenzia Tass, il ministro dell'Energia russo, Alexander Novak, aggiungendo che "non ne stiamo parlando al momento, durante la riunione di luglio affronteremo con gli altri ministri la situazione generale del mercato petrolifero".
Novak non si è dunque voluto esprimere sulla possibilità o meno di confrontarsi sulla proposta nel quadro dell'incontro del comitato di vigilanza del Cartello in programma per il 24 luglio in Russia. In quest'occasione, i ministri potranno formulare raccomandazioni da estendere agli altri Paesi membri dell'accordo, che si incontreranno a novembre oppure apportare aggiustamenti al patto.
Per Tamas Varga, analista di Pvm, è il momento che l'Opec prenda decisioni importanti per dare supporto al mercato del petrolio. L'idea di ulteriori tagli della produzione di greggio non dovrebbe essere abbandonata. Sembra, infatti, che l'output di oro nero non diminuirà in modo significativo nei prossimi mesi e che i prezzi non aumenteranno come previsto. Il bilanciamento del mercato non arriverà dal lato della domanda né dal rallentamento della produzione di petrolio statunitense, a detta dell'esperto.
Le scorte settimanali di greggio Usa sono, infatti, risultate pari a 509,213 milioni di barili, in aumento di 0,118 milioni di barili rispetto alla settimana precedente, mentre il consenso si aspettava un -2,4 milioni. Le scorte settimanali di benzina, però, sono state pari a 240,972 milioni di barili, 0,894 milioni in meno rispetto alla scorsa settimana (-0,6 milioni il consenso).
Mentre quelle di carburante distillato si sono attestate a 152,272 milioni di barili (-0,223 milioni di barili). L'incremento delle scorte di greggio Usa suggerisce ancora un'ampia disponibilità di offerta globale malgrado gli sforzi guidati dall'Opec per tagliare la produzione di 1,8 milioni di barili al giorno a partire da gennaio di quest'anno.
Lo stesso Centro Studi Confindustria oggi ha avvertito che, in mancanza di una significativa riduzione delle enormi scorte, incombe il rischio di una nuova caduta del costo del greggio". La quotazione del Brent, al momento a 47,35 dollari al barile (+0,92%) dopo il dato sulle scorte Usa, è attesa dal Csc recuperare lentamente quota 52 dollari al barile a fine anno (55 nei primi quattro mesi del 2017) e poi rimanere sostanzialmente stabile fino a fine 2018. La quotazione, quindi, resterà molto al di sotto dei valori del 2014 (108 nei primi 8 mesi).
Tale profilo riflette il graduale riequilibrio del mercato mondiale, nell'ipotesi che si completi nel 2017, e che nel 2018 la domanda rimanga molto vicina all'offerta, a seguito dell'accordo Opec e non-Opec dello scorso 25 maggio per un congelamento della produzione sui valori raggiunti dopo il taglio di inizio anno. Il rialzo indicato dal Csc nella media del 2017, pur essendo molto contenuto (tenuto conto anche della volatilità), potrebbe rivelarsi sovrastimato così come la stabilità nel 2018 date le molte variabili, anche non-economiche, che potrebbero spingere nuovamente i prezzi al ribasso.
305 di 345-01/7/2017 13:140
GIOLA
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Perché petrolio e tassi sono legati e come deprimono l'inflazione
Tassi e petrolio interagiscono tra di loro e in questa fase sembrano avere l'effetto di deprimere l'inflazione oltre le attese.
di Giuseppe Timpone
L’industria petrolifera americana ha estratto nella settimana al 23 giugno scorso 9,25 milioni di barili al giorno, in calo dai 9,35 milioni della settimana precedente. Una contrazione, che ha rinvigorito le quotazioni del petrolio, consentendo loro di tornare sopra i 45 dollari per il Wti americano e a 48 dollari per il Brent. Resta il fatto che quest’anno, la produzione negli USA è cresciuta di quasi mezzo milione di barili al giorno, il 40% di quanto l’OPEC si sia impegnato a tagliare nel novembre scorso. Questo contribuisce a spiegare il calo dei prezzi negli ultimi mesi, accentuato a giugno e a sua volta apre un capitolo assai più complesso, quello dell’interazione tra numero di barili estratti e tassi d’interesse.
L’America di Janet Yellen e Donald Trump è nel bel mezzo di una stretta monetaria, iniziata nel dicembre del 2015. Tassi USA più alti tendono a fare apprezzare il dollaro contro le altre valute. Poiché il petrolio si vende proprio in dollari, ciò comporta costi più alti per i clienti stranieri e conseguente riduzione della domanda. (Leggi anche: Quotazioni del petrolio e tassi zero, il circolo vizioso che fa tremare il mercato)
Boom shale finanziato a debito
Mai i tassi impattano negativamente sulle quotazioni petrolifere per il tramite dell’incentivo all’aumento della produzione. Già, perché ad avere sostenuto il boom dello “shale” nell’ultimo decennio è stato il credito elargito dalle banche alle compagnie a stelle e strisce. Tale debito diventa più caro con il rialzo dei tassi, man mano che deve essere rinnovato o qualora sia stato contratto a interessi variabili. Secondo la Columbia University, le compagnie petrolifere con rating da “B” a “CCC-” si vedrebbero esplodere del 30% la spesa per interessi, nel caso i tassi Libor aumentino del 2%.
Il debito di 63 compagnie americane tra il 2005 e il 2015 si è quadruplicato e quando le quotazioni del petrolio si sono schiantate, un centinaio di imprese meno efficienti ha chiuso battenti. Il mercato sta scontando negli ultimi mesi proprio un aumento del rischio per le compagnie attive nel settore energetico USA e con rating “junk”, come segnala il boom dei rendimenti extra richiesti rispetto agli altri titoli “junk”: da un premio di 43 punti base di fine gennaio si è arrivati ai 150 bp del 20 giugno scorso. (Leggi anche: USA, bond energetici fanno paura)
Più barili per pagare debiti
Man mano che i tassi di mercato crescono, le compagnie petrolifere indebitate si vedono costrette a massimizzare i ricavi per ottenere flussi di cassa positivi con i quali pagare gli interessi e il capitale. Per fare ciò, devono aumentare le estrazioni, compatibilmente con il livello dato degli investimenti, ma finendo inevitabilmente di deprimere le quotazioni internazionali.
Riassumendo: la stretta monetaria della Federal Reserve tende a rafforzare il dollaro, indebolendo le quotazioni del greggio. Salendo i tassi di mercato, le compagnie più indebitate sono costrette a produrre di più per ricavare il massimo possibile e ripagare i prestiti ottenuti. L’insieme di queste due tendenze spinge l’inflazione verso il basso. Unica spinta contrastante verrebbe dalla stretta eventualmente adottata dalle altre principali banche centrali, che finendo per apprezzare le rispettive valute, contrasterebbe il super-dollaro. E’ quello che è accaduto questa settimana: -1,7% accusato dal biglietto verde mediamente contro le altre valute, a seguito dei toni “hawkish” dei banchieri centrali europei. E il petrolio ha guadagnato oltre il 4%.
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306 di 345-05/7/2017 15:340
GIOLA
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Mosca contro Opec, borse alla finestra
Bloomberg ha scritto che la Russia si opporrà a ogni proposta di ulteriori tagli alla produzione petrolifera alla riunione dell'Opec di questo mese. Il prezzo del petrolio scende e trascina con sé Eni e Saipem. Coeuré ha ribadito che il consiglio della Bce non ha discusso di cambiamenti nella politica monetaria, ma che in futuro questa discussione potrà esserci
di Francesca Gerosa
Le borse europee aspettano poco convinte l'avvio di Wall Street con le tensioni politiche in Corea che restano sullo sfondo. Oggi sono attesi i verbali dell'ultima riunione della Fed di giugno, quando la Banca centrale americana ha alzato il costo del denaro: l'attesa è per le possibili ulteriori indicazioni sulle prossime mosse, con i mercati che si aspettano un altro rialzo dei tassi entro l'anno e possibili dettagli sull'inizio della riduzione del reinvestimento dei titoli in scadenza.
Sul fronte del petrolio, emergono indiscrezioni secondo cui la Russia sarebbe contraria all'ipotesi di ulteriori tagli della produzione eventualmente adottati dall'Opec e i prezzi hanno ripreso a scendere: il Brent scambia al momento a quota 49,20 dollari al barile (-0,83%), mentre il Wti a 46,55 dollari al barile (-1,10%). Oggi Bloomberg, citando quattro diverse fonti anonime nel governo russo, ha scritto che la Russia si opporrà a ogni proposta di ulteriori tagli alla produzione petrolifera alla riunione ministeriale dell'Opec, prevista questo mese.
Ogni ulteriore riduzione, hanno detto le fonti, decisa così a ridosso dell'estensione dell'esistente accordo, manderebbe un segnale sbagliato al mercato petrolifero. Una tale mossa farebbe pensare che l'Opec, la Russia e i loro alleati sono nervosi per il fatto che il patto per ridurre la produzione di 1,8 milioni di barili al giorno, fino a marzo 2018, non stia dando l'effetto desiderato.
La Russia ha in programma di ospitare un incontro di alcuni ministri dei Paesi membri Opec e di altri petro-Stati non aderenti al cartello il prossimo 24 luglio a San Pietroburgo. In quest'occasione, i partecipanti potranno formulare raccomandazioni da estendere agli altri Paesi membri dell'accordo oppure apportare aggiustamenti al patto la cui estensione è stata decisa, e approvata anche da Mosca, a maggio.
Una parte del governo russo, hanno fatto sapere le fonti di Bloomberg, si oppone sia a un aumento dei tagli che a un ulteriore prolungamento dell'accordo sul congelamento della produzione. Sempre le stesse fonti hanno spiegato che più i tagli rimangono in vigore, peggiore sarà la volatilità quando l'accordo terminerà. Ufficialmente, il ministro dell'Energia russo, Aleksandr Novak, non si è ancora espresso sulla possibilità di confrontarsi con l'Opec.
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307 di 345-06/11/2017 15:070
GIOLA
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Le purga araba spinge il petrolio ai massimi da 2 anni
Brent a 62,57 dollari e Wti a 55,98 grazie anche all'Arabia Saudita che vuole tornare a controllare l'estrazione del greggio. E' in pieno svolgimento la purga di Stato che ha portato alla morte di un principe, all'arresto di una decina di reali e di molti ministri
di Elena Dal Maso
I prezzi del petrolio hanno toccato i massimi da due anni, mentre è in atto la purga in Arabia Saudita che sta toccando 38 ex ministri e 11 dei principi della famiglia reale arrestati sabato (e uno misteriosamente morto cadendo con l'elicottero mentre tentava di lasciare il Paese). Tra questi, particolare scalpore ha destato il nome del principe, Alwaleed bin Talal, preminente uomo d'affari della monarchia del Golfo, entrato sotto i riflettori durante la campagna elettorale presidenziale statunitense per uno scambio di accuse reciproche con l'attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump.
Il Brent, greggio di riferimento del mare del Nord, sta guadagnando lo 0,81% a quota 62,57 dollari dopo un picco a 62,90. Mentre l'americano West Texas Intermediate (Wti) sale dello 0,61% a 55,98 dollari. Livelli che risultano i più elevati dall'estate del 2015 grazie anche alla posizione dell'Arabia, primo produttore del cartello Opec, di allungare al 2018 i tagli all'estrazione.
"Riteniamo che il regno si atterrà all'accordo Opec e continuerà a focalizzarsi sulla riduzione delle scorte a livello globale", ha previsto l'analista di Ubs, Giovanni Staunovo. Lo stesso ministro dell'energia saudita, Khalid al-Falih, ha detto che c'è "soddisfazione" per l'accordo sul taglio alla produzione dei Paesi Opec e non Opec, ma che "il lavoro non è ancora finito". Per gli esperti del settore l'Opec estenderà il taglio di circa 1,8 milioni di barili al giorno per l'intero 2018. Di riflesso Barclays ha alzato le sue previsioni per il prezzo medio del Brent nel quarto trimestre di quest'anno di 6 dollari a 60 dollari al barile e le previsioni per l'intero 2018 di 3 dollari a 55 dollari al barile.
Nel frattempo, sabato sera principi, quattro attuali ministri e decine di ex ministri sono stati arrestati da una "commissione anti-corruzione" nata appena poche ore prima. In mattinata si era dimesso il primo ministro del Libano, appoggiato da tempo dall'Arabia Saudita. Domenica il figlio dell'ex principe ereditario è morto insieme ad altri funzionari di Stato in un misterioso incidente in elicottero, di cui al momento si sa molto poco. La persona attorno a cui ruotano tutte queste notizie è Mohammed bin Salman, figlio del re, ministro della Difesa e principe ereditario dalle idee innovative e radicali.
Bin Salman ha 32 anni e si era guadagnato visibilità già l'anno scorso. Fu lui a studiare e presentare il documento "Vision 2030", un progetto per ridurre progressivamente la dipendenza dell'economia saudita dall'estrazione del petrolio, di cui detiene circa un quinto delle riserve mondiali e concentrarsi sulle energie rinnovabili. Bin Salman sarà anche il fautore della quotazione, nel 2018, del 5% di Saudi Aramco, la gigantesca compagnia di Stato a cui sono molto interessati gli investitori esteri.
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308 di 345-13/11/2017 19:040
GIOLA
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Iscritto da: 03/9/2014
Opec verso nuovi tagli. Aramco studia un'ipo fra 50 e 100 miliardi
In attesa del meeting di Vienna il 30 novembre, l'Opec ha anticipato che la produzione di greggio è scesa di 151mila barili al giorno a ottobre. E oggi l'Arabia Saudita ha detto che l'ipo di Aramco sta scaldando i motori, sarà la più grande nella storia. Londra, Hong Kong e Wall Street in lotta per aggiudicarsi la quotazione
di Elena Dal Maso
L'Opec ha reso noto oggi che la produzione di petrolio è scesa a ottobre di 151 mila barili al giorno, mentre il cartello ha aumentato le sue previsioni di crescita della domanda petrolifera per quest'anno e per il 2018. La notizia giunge in contemporanea ad alcuni dati riguardanti quella che è stata definita la maggiore quotazione al mondo, Aramco, la compagnia petrolifera di Stato dell'Arabia Saudita. Il governo saudita ha detto in queste ore che spera di raccogliere 100 miliardi di dollari vendendo circa il 5 per cento del gruppo. È il punto centrale del piano di riforma del principe Mohammed bin Salman, che vuole diversificare l'economia del regno rispetto alla classica estrazione di greggio e investire maggiormente nelle infrastrutture.
Anche se Aramco raccogliesse la metà, 50 miliardi di dollari, sarebbe ancora un'ipo doppia rispetto alla maggiore fino a oggi, i 25 miliardi di dollari raccolti dalla cinese Alibaba nel 2014. La quotazione avverrà sicuramente in Arabia, mentre il governo sta cercando di capire se il secondo mercato sarà Londra, Hong Kong oppure Wall Street.
Nel frattempo la produzione greggio dei membri dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori Petroliferi è scesa dello 0,46%, a 32,59 milioni di barili al giorno in ottobre, rispetto al mese precedente. Al taglio hanno contribuito Iraq, Nigeria, Venezuela, Algeria ed Iran. La relazione Opec, che arriva poche settimane prima di una riunione delc artello molto attesa a Vienna, mette in evidenza gli sforzi per riequilibrare il mercato petrolifero tagliando l'estrazione dei Paesi membri.
Ed ecco perché sempre oggi il ministro dell'Energia degli Emirati arabi uniti, Suhail al-Mazrou ha assicurato che i Paesi Opec prolungheranno l'accordo sui tagli alla produzione, alla prossima riunione del cartello che si terrà il 30 novembre, a Vienna. "La mia impressione è che continueremo a fare il possibile per riequilibrare i mercati", ha spiegato il ministro. L'accordo del novembre scorso per un taglio di 1,8 milioni di barile al giorno è stato esteso fino al marzo prossimo.
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309 di 345-14/11/2017 16:080
GIOLA
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Iscritto da: 03/9/2014
ATTENZIONE 1-2-3 HIGH JOE ROSS: SHORT DA 62,95 €!
310 di 345-22/1/2018 12:260
GIOLA
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Iscritto da: 03/9/2014
BofA, solo un petrolio a 100 dollari minaccia la crescita globale
Secondo gli esperti dell'investment bank la corsa dell'oro nero può rappresentare un rischio per la crescita economica, ma solo se questo supererà i 100 dollari. Un target ancora lontano da raggiungere e che, secondo gli esperti, ha basse probabilità di verificarsi
di Roberta Castellarin
Quotazioni in rialzo per il petrolio in apertura sulle borse europee come conseguenza del calo delle trivellazioni negli Usa e le tensioni geopolitiche in Medioriente. Il Wti guadagna 14 centesimi a 63,51 dollari al barile, mentre il Brent si mostra in rialzo di 19 centesimi a 68,80 dollari al barile. Continua quindi la forza dell'oro nero. E gli investitori iniziano a chiedersi se questo trend finirà per danneggiare la crescita economica.
Se lo chiede anche uno studio di BofA Merrill Lynch intitolato proprio Oil slick (petrolio scivoloso). Secondo gli esperti dell'investment bank proprio la corsa dell'oro nero può rappresentare un rischio per la crescita economica, ma solo se questo supererà i 100 dollari. Un target ancora lontano da raggiungere e che, secondo gli esperti, ha basse probabilità di verificarsi.
Lo studio di BofA ricorda che finora l'apprezzamento del petrolio è stato dovuto a un forte aumento della domanda e finché questo continua sono bassi i rischi che minacci la crescita economica globale. In particolare negli Stati Uniti l'impatto negativo che ci potrà essere sui consumi sarà compensato da un aumento delle spese per investimento (capex) nel settore, che darà impulso proprio alla crescita economica
Il discorso è un po' diverso per l'area euro, che è importatrice di energia, ma in questo caso a mitigare l'impatto sulla crescita è la debolezza del dollaro. Si stima che una crescita di 20 dollari del prezzo del greggio possa causare una riduzione della crescita del pil di 0,5%. Si tratta di un numero importante, ma il deprezzamento del dollaro di circa il 10% rispetto all'euro mitiga l'effetto e quindi l'impatto sul pil scende a 0,3-0,4%.
Gli esperti ricordano che il prezzo del petrolio Wti è salito di 20 dollari da giugno 2017, ma il team di esperti di BofA attribuisce questo movimento non solo a limitazioni della produzione imposti dall'Opec, ma anche a una più forte domanda. La tesi che sia importante anche il fattore domanda è supportata dai dati sulla crescita economica globale e dai dati sul clima, con un inverno freddo negli Stati Uniti.
Questi dati supportano la tesi dell'economista Jim Hamilton che ha suggerito in un post che il 45% dell'aumento del prezzo del petrolio sia attribuibile a fattori che hanno inciso sulla domanda. Gli economisti di Bofa ricordano che la distinzione tra un rally supportato dalla domanda o da un calo della produzione è importante perché finché la salita dei prezzi è dovuta a un aumento dei consumi ogni freno all'attività economica sarà solo un effetto di secondario rispetto alla crescita e quindi non troppo pericoloso. Peraltro il team di esperti di energia di BofA non vede rischi di un ulteriore forte rialzo del petrolio d'ora in poi, perché la concorrenza dei produttori di shale oil rallenterà la corsa.
La conclusione a cui arrivano gli economisti di BofA Aditya Bhave ed Ethan Harris è che: "Finora il rally del petrolio non è stato tale da rallentare sostanzialmente il momentum positivo della crescita economica. Questo potrebbe cambiare se il prezzo del greggio salirà a 100 dollari al barile e se questa ulteriore crescita sarà dovuta a tagli alla produzione piuttosto che a un aumento della domanda. Fino a quel momento crediamo che gli investitori dovrebbero concentrarsi si un altri rischi che minacciano la crescita economica, come un possibile ritorno al protezionismo".
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311 di 345-29/1/2018 15:420
GIOLA
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Iscritto da: 03/9/2014
Gli hedge scommettono sul petrolio
A cavalcare il rally dell'oro nero sono gestori ed hedge fund che hanno preso posizioni molto forti sul petrolio nelle scorse settimane. I money manager hanno alzato le loro esposizioni lunghe nette su futures e opzioni sul greggio a New York e Londra. Mentre le banche di investimento alzano il prezzo obiettivo sul petrolio
di Roberta Castellarin
I prezzi del petrolio oggi trattano intorno alla parità. I future sul Light crude Wti salgono di 16 cent a 66,30 dollari, trainati dall'indebolimento del biglietto verde, che fa rialzare la domanda. I future sul Brent cedono 8 cent a 70,44 dollari al barile. Continua quindi la forza dell'oro nero, che beneficia del doppio effetto delle limitazioni della produzione imposti dall'Opec, ma anche di una più forte domanda supportata dalla crescita economica globale e dal clima, con un inverno freddo negli Stati Uniti. Di fatto il prezzo del petrolio Wti è salito di 20 dollari da giugno 2017.
A cavalcare il rally dell'oro nero sono gestori ed hedge fund che hanno preso posizioni molto forti sul petrolio nelle scorse settimane. I money manager hanno alzato le loro esposizioni lunghe nette su futures e opzioni sul greggio a New York e Londra di 7612 contratti, arrivando a oltre 549 mila contratti lo scorso 23 gennaio, un nuovo record in base ai dati della Commisione Usa sul trading in futures sulle commodity.
Nel complesso la posizione degli hedge fund verso il petrolio è molto tirata con i gestori che hanno 10,5 posizioni lunghe sull'oro nero contro una short (scommessa al ribasso). In passato posizioni così forti verso un asset hanno portato a un certo punto a una correzione nel momento in cui i gestori cercano di prendere profitto dalla posizione.
Intanto i ministri dei Paesi Opec e quelli degli altri Paesi produttori hanno sostenuto la narrativa di un greggio forte confermando che continueranno ad avere una politica restrittiva dell'offerta nel 2018, che continuerà anche nel 2019. Molti money manager stanno scommettendo che l'Opec piuttosto rischierà di ridurre troppo l'offerta per poi eventualmente correggere il tiro, piuttosto che essere troppo accomodante e lasciare correggere i prezzi.
Ma questa posizione forte e uniforme degli hedge resta una fonte di potenziale volatilità. Gli hedge possiedono posizioni lunghe per almento 1,6 miliardi di barili tra i sei maggiori contratti, si tratta di una crescita dell'80% da giugno 2017.
Intanto le grandi investment bank da inizio anno hanno iniziato ad alzare i prezzi obiettivi per il petrolio. Bank of America Merrill Lynch e Morgan Stanley hanno alzato le loro stime per il greggio. Le banche di investimento sottolineano che i prezzi stanno salendo più delle attese perrché la politica restritiva dei Paesi produttori si combina con una domanda più forte.
In particolare BofA vede un prezzo medio del petrolio nel 2018 a 64 dollari al barile contro la stima precedente dei 56 dollari. L'esperto di commodities Francisco Blanch ha sottolineato come le scorte siano scese più rapidamente delle attese. Mentre l'analista Martijn Rats di Morgan Stanley ha sottolineato che i forti flussi nel mercato del petrolio potranno spingere durante l'anno il prezzo del Brent fino a 70-75 dollari. Per il terzo trimestre 2018 Morgan Stanley ha alzato il target price sul Brent a 75 dollari al barile dai precedenti 63 dollari.
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312 di 345-30/1/2018 13:490
2nove
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313 di 345-20/2/2018 17:500
GIOLA
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L'Opec punta a un accordo con i produttori esterni entro il 2018
E' quanto ha annunciato, in occasione dell'International Petroleum Week, il presidente di turno dell'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, Suhail al-Mazroui. Intanto il Wti sale grazie alla riduzione dei flussi dal Canada, invece il Brent è penalizzato dal calo delle borse Ue e dal rafforzamento del dollaro
di Francesca Gerosa
L'Opec punta a raggiungere un accordo quadro per una partnership di lungo periodo con i produttori di greggio esterni al Cartello entro la fine di quest'anno. E' quanto ha annunciato, in occasione dell'International Petroleum Week, il ministro dell'Energia degli Emirati Arabi Uniti, nonché presidente di turno dell'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, Suhail al-Mazroui.
A novembre 2017 i 14 Stati membri del Cartello e 10 produttori non-Opec hanno rinnovato l'intesa per il taglio della produzione offerto sui mercati a 1,8 milioni di barili al giorno, nonostante vi fossero molti dubbi sulle effettive intenzioni della Russia di proseguire su questa strada a lungo termine. Il numero uno dell'Organizzazione ha, peraltro, evidenziato che Mosca è stata una parte fondamentale per il successo dell'accordo, aggiungendo che i produttori di petrolio dovranno spendere 10.000 miliardi di dollari nei prossimi 20 anni per coprire il fabbisogno energetico mondiale.
Intanto i prezzi del petrolio avanzano in ordine sparso. Il Wti sale dello 0,86% a 62,08 dollari al barile grazie alla riduzione dei flussi dal Canada, invece il Brent cede lo 0,62% a 65,26 dollari al barile, penalizzato dal calo delle borse europee e dal rafforzamento del dollaro. Gli investitori temono poi un'escalation del conflitto tra Iran e Israele.
Un premio più stretto del Brent rispetto al Wti significa che per i consumatori dell'Europa nord-occidentale è meno interessante importare greggio negli Stati Uniti, in particolare con i raffinatori che stanno effettuando lavori di manutenzione. "L'Opec e la Russia continuano a sostenere i tagli alla produzione che scadranno alla fine di quest'anno e assicurano ai mercati che ci sarà un aumento ordinato della produzione una volta scaduti i tagli", ha detto William O'Loughlin, analista di Rivkin Securities.
L'Arabia Saudita vuole che la Russia e altri produttori continuino a trattenere le forniture per sostenere i prezzi. Ma l'impennata della produzione americana sta minacciando di erodere gli sforzi dell'Opec. La scorsa settimana, infatti, il numero degli impianti di trivellazioni petrolifere statunitensi è salito per la quarta settimana consecutiva a 798, un'indicazione che la produzione Usa, già a un record di 10,27 milioni di barili, potrebbe aumentare ulteriormente.
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314 di 345-01/3/2018 15:120
GIOLA
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Prezzo del petrolio in calo, i mercati europei peggiorano
Il prezzo del greggio si allontana dalla soglia di 65 dollari a barile sulla scia di un amento delle scorte Usa, di una produzione su livelli record e di un dollaro più forte. Le obbligazioni sono poco mosse in vista delle elezioni in Italia. Male banche ed energetici
di Francesca Gerosa
I mercati europei peggiorano con perdite intorno al punto percentuale, mentre i future a Wall Street girano al ribasso. Febbraio per il mercato americano è stato il peggior mese degli ultimi due anni. Al momento a Piazza Affari l'indice Ftse Mib cede lo 0,88% a 22.408 punti. Male anche il Dax di Francoforte (-1,56%), il Cac40 di Parigi (-0,98%) e il Ftse100 di Londra (-0,73%).
Il dollaro si apprezza. Il cross euro/dollaro, sceso in mattinata sotto 1,22, ora scambia a 1,2166. Il prezzo del greggio cede terreno per la terza seduta consecutiva, allontanandosi ulteriormente dalla soglia di 65 dollari a barile sulla scia di un amento delle scorte Usa, di una produzione su livelli record e di un dollaro più forte, tutti fattori che relegano in secondo piano l'alta aderenza dell'Opec all'accordo di tagli all'offerta.
I dati Eia ieri hanno mostrato un aumento superiore alle attese delle riserve di greggio Usa e un accumulo delle scorte di benzina. La produzione di greggio Usa a novembre ha toccato un record, anche se è poi arretrata marginalmente nell'ultimo mese del 2017, secondo i numeri diffusi ieri dal governo, ma sono attesi ulteriori aumenti. "I dati settimanali suggeriscono che la tendenza rialzista riprenderà a gennaio e febbraio e i vecchi record probabilmente saranno infranti", ha commentato Tamas Varga del broker Pvm.
Al momento il Brent cede lo 0,99% a 64,09 dollari al barile e il Wti arretra dello 0,91% a quota 61,08 dollari al barile. Le obbligazioni sono poco mosse e registrano timidi rialzi dei prezzi in vista delle elezioni di domenica in Italia. Il rendimento del Bund decennale è al 0,631% e quello del Btp all'1,969%. "Il Movimento Cinque Stelle ha accantonato il suo piano per un referendum sull'uscita dall'euro e i mercati sono calmi riguardo alle elezioni italiane, con lo spread tra il rendimento dei Btp e dei Bund ancora prossimo ai minimi degli ultimi due anni. Lo scenario più probabile è quello di un voto inconcludente, seguito da settimane di negoziati e da un Governo di coalizione. Gli investitori si aspettano pienamente tale scenario", ha osservato Julien-Pierre Nouen, Chief Economic Strategist di Lazard Freres Gestion.
Anche il M5S ha recentemente fatto capire di essere disponibile a convergenze con le altre forze politiche sulla base di un contratto di governo. "Questa incertezza politica potrebbe non essere molto rilevante nel breve periodo, dato che le condizioni economiche sono favorevoli, ma potrebbe diventarlo più avanti. L'Italia rimane un Paese con una crescita potenziale debole, a causa della mancanza di crescita della produttività e di un grosso debito pubblico. Il vero punto è se il prossimo governo realizzerà le riforme necessarie per migliorare le prospettive di crescita strutturale del Paese", ha concluso Julien-Pierre Nouen.
Sul fronte macroeconomico, intanto, è arrivato il dato dell'Istat che ha confermato le previsioni del governo per una crescita del pil 2017 pari all'1,5%, mentre sul fronte del mercato del lavoro è emerso che a gennaio il tasso di disoccupazione è tornato a salire (+0,2%) attestandosi all'11,1%. Sul listino milanese sono negativi gli energetici (Enel -0,75%, Eni -1,31%, Snam -0,98%) e i finanziari, con Unicredit a -0,63%, Intesa Sanpaolo -1,15%, Mediobanca -1,06%, Generali -0,52%.
Dal lato dei rialzi, in evidenza Luxottica con un balzo del 3,93% in scia al via libera incondizionato dell'Antitrust Ue all'aggregazione con Essilor . Per quanto riguarda gli industriali, Ferrari segna un -1,37%, Cnh un -1,12%, Fca scende invece del 2,54% con l'Ad Sergio Marchionne che ha affermato che lo scorporo di Magneti Marelli verrà esaminato nel secondo trimestre. Mentre Tim e Mediaset registrano, rispettivamente, un -0,84 e un -1,12%.
Sotto scacco la banca centrale del petrolio. Ma per Eni è oro colato
Il greggio sta cercando di sfondare i 70 dollari dopo gli attacchi in Arabia Saudita, i più gravi di sempre secondo gli analisti. Rbc ritiene che saranno solo i primi droni e dubita che il Paese riuscirà a difendere le linee strategiche. Gli effetti sulla decisione della Fed mercoledì. Intanto crollano i rendimenti dei T bond.
Il petrolio Wti americano sta cercando di sfondare la resistenza dei 70 dollari al barile, questa mattina, una corsa di +9% a quota 59,7 dollari e il Brent balza del 9,83% a 66,14 dollari dopo il weekend caldo in Medio Oriente. Sabato dieci droni da combattimento hanno lanciato un attacco al sito produttivo di Saudi Aramco di Abqaiq a Buqyaq e al giacimento petrolifero di Khurais in Arabia Saudita, secondo quanto riportato da Gulf News. E' stata danneggiata metà della capacità produttiva del Paese, pari a 5,7 milioni di barili al giorno di greggio, che rappresentano oltre il 5% dell'intera produzione mondiale.
L'attacco è stato rivendicato dai ribelli Houthi dello Yemen, che nel 2014 hanno conquistato il maggior centro del Paese, San'a, e che sono in conflitto con il governo di Riyad, ma gli Usa hanno accusato direttamente l'Iran, loro storico sostenitore. E che ha preso di mira già in estate le petroliere di passaggio attraverso lo stretto di Hormuz. Theran si è subito difesa sostenendo di non aver alcuna responsabilità. E' stato definito subito dagli americani il maggior attacco petrolifero della storia dopo quello del 1990 di Saddam Hussein alle infrastrutture dell'Arabia Saudita durante la prima Guerra del Golfo.
Helima Croft, responsabile del settore materie prime a Rbc Capital Markets, ha scritto che rischia di essere in realtà il maggior attacco di sempre alla banca centrale del petrolio, l'Arabia Saudita, e che potrebbe rivelarsi un "game changer" per le dinamiche in Medio Oriente, visto che i droni sono riusciti a colpire con successo il più grande sito produttivo di petrolio esistente al mondo. Oggi Equita Sim concorda sostenendo che gli effetti sono più gravi rispetto all'invasione del Kuwait del 1990 e alla rivoluzione islamica in Iran del 1979.
Ora il dubbio si sposta sulla sicurezza dell'area: l'Arabia Saudita, che custodisce la maggiore scorta al mondo di petrolio, è in grado di proteggere i propri luoghi strategici? Gli analisti di Rbc ritengono che arriveranno altri attacchi e sospettano che riusciranno a colpire il segno. Il presidente Donald Trump ha dichiarato in una serie di tweet di aver autorizzato il rilascio della Strategic Petroleum Reserve, o SPR, "se necessario" per "mantenere i mercati ben forniti". Il Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti ha aggiunto che i 630 milioni di barili contenuti nell'SPR, la più grande scorta di greggio al mondo, verrebbero messi a disposizione "per compensare eventuali perturbazioni dei mercati petroliferi a seguito di questo atto di aggressione". Il presidente Trump ieri ha aggiunto che gli Stati Uniti sono "blocked and loaded", pronti quinti ad intervenire ne necessario in Medio Oriente con un un'azione militare.
Il Wall Street Journal, citando fonti saudite, ha scritto che entro questa sera Saudi Aramco riuscirà a recuperare un terzo della produzione. Robert Yawger, responsabile del settore Energia per conto di Mizuho Securities, ritiene che "3 milioni di barili al giorno torneranno sul mercato fra due e cinque giorni, mentre altri 2,7 milioni impiegheranno tempi più lunghi a causa della natura unica e dell'attrezzatura specifica in particolare ad Abqaiq". Lo stabilimento produce normalmente 9,8 milioni di barili di petrolio al giorno ed è considerato uno dei maggiori processori mondiali di greggio.
S&P Global Platts ha stimato che il Brent potrebbe toccare i 70 dollari e che a quel prezzo sarebbe sostenuto dai fondamentali. Negli scorsi mesi l'Arabia Saudita "ha portato le scorte di greggio ai livelli più bassi degli ultimi 10 anni, quindi il Paese da solo non ha più la stessa capacità reattiva di una volta”, ha scritto Bjørnar Tonhaugen, capo analisi del mercato petrolifero di Rystad Energy.
"L'attacco aereo della milizia appoggiata dall'Iran ai siti vitali di lavorazione del petrolio, nel cuore della regione petrolifera dell'Arabia Saudita ha letteralmente rovesciato il mercato in un weekend", ha aggiunto Magnus Nysveen, responsabile delle analisi di Rystad, suggerendo che potrebbe essere necessario sfruttare le riserve mondiali di petrolio per arginare un forte aumento dei prezzi. Tonhaugen dubita che gli Stati Uniti saranno in grado di mitigare efficacemente un aumento dei prezzi nel breve termine con il loro shale non avendo ancora una sufficiente capacità di esportazione". Di conseguenza Flynn ritiene, come già Rbc, che si tratta di "un evento storico e potrebbe avere conseguenze per anni".
Ubs ricorda che la partenza del consigliere per la sicurezza nazionale Usa, John Bolton, la scorsa settimana, era stata interpretata da molti come una riduzione del rischio politico globale, essendo uno stratega molto duro nei confronti dell'Iran e molto attivista sul piano militare. L'attacco di sabato potrebbe avere notevoli conseguenze geopolitiche, scrive Ubs. Mercoledì la Fed si riunirà per decidere il futuro della politica monetaria negli Stati Uniti. La banca centrale non considera di solito il prezzo del greggio un elemento fondamentale da tenere in considerazione, lo sono invece le tensioni commerciali e politiche. Questa mattina i mercati stanno comprando T-bond decennali, con il rendimento tornato a scendere in maniera brusca dall'1,9% all'1,82%.
Quanto ai riflessi su Piazza Affari, per Equita i titoli che beneficiano maggiormente del rialzo del greggio sono chiaramente Eni e Saipem . L'effetto sui conti del gruppo petrolifero italiano è diretto, grazie al maggior prezzo del greggio. La sim calcola che per ogni aumento di 1 dollaro del valore del Brent, si hanno 170 milioni di utile netto in più, ovvero il 4% previsto per l'intero 2019. Se quindi il greggio restasse stabile ai valori attuali, circa 10 dollari sopra i prezzi di chiusura di venerdì, Eni potrebbe vedere un utile decuplicato. Questa mattina Eni guadagna il 2,5% a 14,4 euro, mentre Saipem sale dell'1,93% a 4,64 euro. Saras , invece, potrebbe soffrire degli attacchi per gli effetti negativi del greggio più caro.
di Sissi Bellomo
La discesa delle scorte di petrolio negli Stati Uniti è ormai l’unico fattore che riesce a far salire il prezzo del barile. Tutto il resto, a torto o a ragione, è passato in secondo piano.
L’ennesima conferma di quella che sembra diventata una vera ossessione per gli investitori è arrivata ieri: le statistiche settimanali dell’Energy Information Administration (Eia) hanno mostrato una nuova, forte riduzione degli stock di greggio – ben 6,4 milioni di barili – accompagnata da una diminuzione di 2,9 milioni di barili per le benzine. E il mercato ha subito invertito la rotta: Brent e Wti, ancora bersagliati dalle vendite dopo il tonfo del 3% di mercoledì, si sono ripresi (salvo poi chiudere la seduta quasi invariati, a 50,36 e 48,36 dollari al barile rispettivamente).
Negli ultimi due mesi le scorte di greggio americane non hanno mai smesso di scendere, riducendosi in totale di 25,6 mb: un segnale che viene interpretato come la prova dell’efficacia dei tagli di produzione dell’Opec e dei suoi alleati. Ma gli Stati Uniti, benché importanti per gli equilibri del mercato petrolifero, non sono il mondo. E comunque l’orizzonte non si è improvvisamente rasserenato per i fondamentali del greggio.
Sono le stesse statistiche Usa a rilanciare anche altri segnali, meno rassicuranti. A 509,9 mb le scorte di greggio Usa sono ancora molto alte, soprattutto per questo periodo dell’anno. Ma soprattutto sono i motivi della riduzione che dovrebbero suonare come un allarme alle orecchie dell’Opec.
A svuotare gli stoccaggi americani infatti non sono tanto i consumi interni – buoni per il greggio, ma tutt’altro che brillanti per i prodotti raffinati – quanto le esportazioni. La settimana scorsa hanno preso il largo 1,3 milioni di barili al giorno di greggio «made in Usa»: un record storico, tanto più impressionante in quanto Washington ha liberalizzato l’export solo a fine 2015.
A incoraggiare le vendite all’estero sono anche i differenziali di prezzo favorevoli: nel caso del greggio un premio del Brent, benchmark internazionale, sul Wti di circa 2 $. Ma sono gli stessi tagli Opec a dare una spinta al greggio Usa, spingendo le raffinerie asiatiche a cercare fornitori alternativi.
E poi c’è la superproduzione americana: le estrazioni sono salite ancora, a 9,34 mbg.
Anche i carburanti Usa vanno bene all’estero, con esportazioni a 4,9 mbg, in crescita del 31% rispetto a un anno fa. È grazie a questo che le scorte di benzine sono calate, nonostante le raffinerie Usa abbiano utilizzato il 95% della capacità degli impianti, per lavorare ben 17,5 mbg di greggio: una quantità senza precedenti. Gli automobilisti americani stanno infatti iniziando la driving season con una domanda incerta: 9,6 mbg nelle ultime 4 settimane, -0,7% rispetto a un anno fa.
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