Un refolo di vento nuovo, un raggio di sole che si fa largo in una fase piuttosto grigia della vita del listino di Piazza Affari e del suo indice più rappresentativo, il Ftse Mib, che riunisce le maggiori 40 società quotate. L'ingresso di Erg in questo ambito consesso è uno dei segni più evidenti della famosa spinta alla transizione ecologica che, complice il governo Draghi e auspicabilmente anche quello attuale, più la sponda delle risorse del Pnrr, dovrebbe ispirare gran parte delle politiche industriali del Paese. Priva di materie prime, importatrice di gas e petrolio, rimasta a torto o a ragione fuori dal nucleare, l'Italia deve giocare le sue carte almeno in parte sulla crescita della filiera delle rinnovabili. Erg da questo punto di vista è un modello pionieristico per l'Italia. Stiamo parlando appunto del primo gruppo nazionale per la produzione di energia eolica e che è in fase di crescita nel fotovoltaico, dove è già tra i primi cinque operatori in Italia. Ha assunto il suo nuovo profilo in maniera emblematica quando nel 2008 ha deciso di abbandonare quella che era stata dal Dopoguerra la sua attività centrale, ossia la raffinazione petrolifera, e di lì a poco anche la rete delle stazioni di rifornimento (rilevate da Api), reinvestendo i proventi nell'acquisto di impianti eolici già in attività e avviandone di nuovi. Provvidenziale fu l'offerta, attorno ai 2 miliardi di euro, proveniente dalla russa Lukoil per l'impianto siciliano di Priolo, oggi al centro delle attenzioni per il rischio di fermata legato proprio dalla sua matrice russa. Fu la mossa che in quell'occasione consentì al presidente di Erg, Edoardo Garrone, di dire con evidente sollievo: "E non chiamateci più petrolieri".

Da lì, scrive MF-Milano Finanza, è partita la lunga marcia di Erg verso le rinnovabili, percorso seguito in particolare dal vicepresidente esecutivo Alessandro, fratello minore di Edoardo, e dal ceo di allora, Luca Bettonte (che lo scorso anno è passato alla guida della holding di controllo San Quirico lasciando il ruolo a Paolo Merli). Consapevole delle difficoltà regolamentari che anche questa attività comportava, richiedendo un costante dribbling tra concessioni da strappare a vari enti locali e comitati di difesa del territorio dall'impatto visivo delle pale eoliche, Erg ha esteso il suo raggio d'azione ad altri Paesi europei, nove finora. Poi la diversificazione ha cominciato a interessare altre forme di energie rinnovabili. La prima su cui il gruppo genovese mise gli occhi, anno 2015, fu quella idroelettrica, allorché il gruppo tedesco E.on mise in vendita la fitta rete fluviale situata tra Umbria, Marche e Lazio, imperniata sui fiumi Nera e Velino e che comprende anche l'affascinante cascata delle Marmore, visibile solo poche ore al giorno proprio perché usata in prevalenza per la produzione elettrica. Ma anche in questo caso la combinazione di più elementi, primo il fattore redditività, indusse i Garrone a cambiare strada: così nel 2021 hanno ceduto l'attività idro all'Enel ricavandone 1,265 miliardi da puntare sul fotovoltaico, più facile da gestire e con maggiori possibilità di sviluppo.

Oggi Erg è un gruppo in salute in grado, in uno scenario reso incerto da potenziali interventi governativi sui mercati europei dell'energia (in Italia incombe l'imposta sugli extra-profitti), di rivedere al rialzo la previsione per il margine operativo lordo, ora compresa tra 520 e 550 milioni (dai precedenti 485-515), confermando gli investimenti 2022 tra 900 milioni e 1 miliardo, che permetteranno di raggiungere una capacità installata di circa 3.000 mw già a fine anno o al più tardi ad inizio 2023, come ha precisato di recente l'ad Merli. Quello del gruppo genovese è un esempio tra i più lampanti di come sta evolvendo il listino italiano, tra le cui fila si registra sempre più di frequente l'uscita di scena dei gruppi più affermati, spesso con alle spalle una lunga storia consolidata e illustri famiglie (Agnelli con Exor e in parte la stessa Stellantis, Benetton con Atlantia, Falck che ha ceduto le sue renewables, ora i De Agostini con Dea Capital), mentre dimostra buona vivacità il comparto dei titoli Star, punto di riferimento di tanti gestori non solo italiani, e lo stesso segmento Egm, dove le società più piccole sono oggetto frequente di offerte pubbliche mirate al delisting, complice il ribasso delle quotazioni che ha preso la scena nel corso di quest'anno.

In realtà anche in casa Enel, che in questo momento è la società più capitalizzata di Piazza Affari (53,4 miliardi), il peso del business rinnovabili è significativo e in costante crescita, e questo vale anche se in misura di sicuro inferiore per Eni (50,3 miliardi). Facendo un rapida rassegna delle capitalizzazioni maggiori, Stellantis (48 miliardi) è da considerarsi italo-francese, così come StM (33,6 miliardi), mentre Tenaris (19,3 miliardi) ha la sede in Lussemburgo e solo una parte non preponderante della produzione in Italia. Il marchio più rappresentativo dell'industria italiana a questo punto è Ferrari (42 miliardi), mentre per l'altra big della galassia Exor, ossia Cnh (21,3 miliardi), si rincorrono le voci di un prossimo addio al listino milanese. La finanza è rappresentata dal trio Intesa-Generali-Unicredit (39,6, 27,1 e 25,4 miliardi rispettivamente).

L'uscita di Atlantia, messa alla porta per scelta politica dopo la tragedia di Genova, quanto meno è servita a far rientrare nel paniere, appunto con Erg, un gruppo ancora schiettamente italiano. E in ogni caso se la lista degli addii proseguirà non è il caso di rammaricarsene troppo. Per fortuna ci sono realtà industriali affermate che fanno la coda per trovare spazio nel FtseMib: Cucinelli, Reply, Brembo o Ferragamo, solo per rimanere nelle immediate retrovie dell'indice.

red

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