Erg: transizione riuscita (Mi.Fi.)
12 Dicembre 2022 - 8:51AM
MF Dow Jones (Italiano)
Un refolo di vento nuovo, un raggio di sole che si fa largo in
una fase piuttosto grigia della vita del listino di Piazza Affari e
del suo indice più rappresentativo, il Ftse Mib, che riunisce le
maggiori 40 società quotate. L'ingresso di Erg in questo ambito
consesso è uno dei segni più evidenti della famosa spinta alla
transizione ecologica che, complice il governo Draghi e
auspicabilmente anche quello attuale, più la sponda delle risorse
del Pnrr, dovrebbe ispirare gran parte delle politiche industriali
del Paese. Priva di materie prime, importatrice di gas e petrolio,
rimasta a torto o a ragione fuori dal nucleare, l'Italia deve
giocare le sue carte almeno in parte sulla crescita della filiera
delle rinnovabili. Erg da questo punto di vista è un modello
pionieristico per l'Italia. Stiamo parlando appunto del primo
gruppo nazionale per la produzione di energia eolica e che è in
fase di crescita nel fotovoltaico, dove è già tra i primi cinque
operatori in Italia. Ha assunto il suo nuovo profilo in maniera
emblematica quando nel 2008 ha deciso di abbandonare quella che era
stata dal Dopoguerra la sua attività centrale, ossia la
raffinazione petrolifera, e di lì a poco anche la rete delle
stazioni di rifornimento (rilevate da Api), reinvestendo i proventi
nell'acquisto di impianti eolici già in attività e avviandone di
nuovi. Provvidenziale fu l'offerta, attorno ai 2 miliardi di euro,
proveniente dalla russa Lukoil per l'impianto siciliano di Priolo,
oggi al centro delle attenzioni per il rischio di fermata legato
proprio dalla sua matrice russa. Fu la mossa che in quell'occasione
consentì al presidente di Erg, Edoardo Garrone, di dire con
evidente sollievo: "E non chiamateci più petrolieri".
Da lì, scrive MF-Milano Finanza, è partita la lunga marcia di
Erg verso le rinnovabili, percorso seguito in particolare dal
vicepresidente esecutivo Alessandro, fratello minore di Edoardo, e
dal ceo di allora, Luca Bettonte (che lo scorso anno è passato alla
guida della holding di controllo San Quirico lasciando il ruolo a
Paolo Merli). Consapevole delle difficoltà regolamentari che anche
questa attività comportava, richiedendo un costante dribbling tra
concessioni da strappare a vari enti locali e comitati di difesa
del territorio dall'impatto visivo delle pale eoliche, Erg ha
esteso il suo raggio d'azione ad altri Paesi europei, nove finora.
Poi la diversificazione ha cominciato a interessare altre forme di
energie rinnovabili. La prima su cui il gruppo genovese mise gli
occhi, anno 2015, fu quella idroelettrica, allorché il gruppo
tedesco E.on mise in vendita la fitta rete fluviale situata tra
Umbria, Marche e Lazio, imperniata sui fiumi Nera e Velino e che
comprende anche l'affascinante cascata delle Marmore, visibile solo
poche ore al giorno proprio perché usata in prevalenza per la
produzione elettrica. Ma anche in questo caso la combinazione di
più elementi, primo il fattore redditività, indusse i Garrone a
cambiare strada: così nel 2021 hanno ceduto l'attività idro
all'Enel ricavandone 1,265 miliardi da puntare sul fotovoltaico,
più facile da gestire e con maggiori possibilità di sviluppo.
Oggi Erg è un gruppo in salute in grado, in uno scenario reso
incerto da potenziali interventi governativi sui mercati europei
dell'energia (in Italia incombe l'imposta sugli extra-profitti), di
rivedere al rialzo la previsione per il margine operativo lordo,
ora compresa tra 520 e 550 milioni (dai precedenti 485-515),
confermando gli investimenti 2022 tra 900 milioni e 1 miliardo, che
permetteranno di raggiungere una capacità installata di circa 3.000
mw già a fine anno o al più tardi ad inizio 2023, come ha precisato
di recente l'ad Merli. Quello del gruppo genovese è un esempio tra
i più lampanti di come sta evolvendo il listino italiano, tra le
cui fila si registra sempre più di frequente l'uscita di scena dei
gruppi più affermati, spesso con alle spalle una lunga storia
consolidata e illustri famiglie (Agnelli con Exor e in parte la
stessa Stellantis, Benetton con Atlantia, Falck che ha ceduto le
sue renewables, ora i De Agostini con Dea Capital), mentre dimostra
buona vivacità il comparto dei titoli Star, punto di riferimento di
tanti gestori non solo italiani, e lo stesso segmento Egm, dove le
società più piccole sono oggetto frequente di offerte pubbliche
mirate al delisting, complice il ribasso delle quotazioni che ha
preso la scena nel corso di quest'anno.
In realtà anche in casa Enel, che in questo momento è la società
più capitalizzata di Piazza Affari (53,4 miliardi), il peso del
business rinnovabili è significativo e in costante crescita, e
questo vale anche se in misura di sicuro inferiore per Eni (50,3
miliardi). Facendo un rapida rassegna delle capitalizzazioni
maggiori, Stellantis (48 miliardi) è da considerarsi
italo-francese, così come StM (33,6 miliardi), mentre Tenaris (19,3
miliardi) ha la sede in Lussemburgo e solo una parte non
preponderante della produzione in Italia. Il marchio più
rappresentativo dell'industria italiana a questo punto è Ferrari
(42 miliardi), mentre per l'altra big della galassia Exor, ossia
Cnh (21,3 miliardi), si rincorrono le voci di un prossimo addio al
listino milanese. La finanza è rappresentata dal trio
Intesa-Generali-Unicredit (39,6, 27,1 e 25,4 miliardi
rispettivamente).
L'uscita di Atlantia, messa alla porta per scelta politica dopo
la tragedia di Genova, quanto meno è servita a far rientrare nel
paniere, appunto con Erg, un gruppo ancora schiettamente italiano.
E in ogni caso se la lista degli addii proseguirà non è il caso di
rammaricarsene troppo. Per fortuna ci sono realtà industriali
affermate che fanno la coda per trovare spazio nel FtseMib:
Cucinelli, Reply, Brembo o Ferragamo, solo per rimanere nelle
immediate retrovie dell'indice.
red
fine
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1208:35 dic 2022
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December 12, 2022 02:36 ET (07:36 GMT)
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