Finanza: Tamagnini (Fsi), che occasione il fintech italiano (Mi.Fi.)
12 Febbraio 2022 - 10:33AM
MF Dow Jones (Italiano)
Fsi, il più grande fondo corporate dedicato all'Italia e il
terzo fondo growth in Europa, in quattro anni ha investito 600
milioni in fintech: circa il 50% del valore complessivo degli
investimenti condotti sinora dal fondo guidato da Maurizio
Tamagnini, affiancato dal cio Barnaba Ravanne, con cui Tamagnini ha
co-fondato Fsi e con cui lavora da più di 20 anni. Il fondo nel
marzo 2019 ha chiuso la raccolta con 1,4 miliardi di impegni
sottoscritti da investitori istituzionali italiani e
internazionali, oltre che da fondi sovrani.
Tutti soggetti che hanno cari i rendimenti e che su questo
fronte sono stati già premiati, visto che a i 600 milioni investiti
oggi corrispondono a un Irr in linea con il cosiddetto top quartile
dei fondi di buyout internazionali raccolti negli ultimi cinque
anni. Cioè, secondo Preqin, oltre il 20% all'anno. Insomma niente
male. E infatti Tamagnini a MF-Milano Finanza ribadisce che
«investire nelle belle aziende italiane è un buon investimento.
Investire nelle aziende italiane fintech, in particolare in quelle
che hanno già una struttura e sono aperte al cambiamento, è un
ottimo investimento».
Domanda. Quando si parla di fintech, di solito si pensa a realtà
giovani che hanno inventato nuovi modelli di business, che vengono
finanziate da operatori di venture capital. Questo mercato, secondo
i calcoli di BeBeez, nel 2021 ha raccolto 900 milioni di euro dopo
i soli 247 milioni del 2020. Ma il fintech in cui investe Fsi è
diverso e ha dimensioni molto più importanti. Fsi è il più grande
investitore italiano in fintech. Perché credete così tanto in
questo settore?
Risposta. Perché è un investimento trainante per l'economia del
Paese. L'Italia, lo sappiamo, è ancora molto indietro in tema di
digitalizzazione delle imprese, il nostro rapporto tra investimenti
in It e pil è il più basso d'Europa e c'è quindi un'enorme
opportunità da cogliere. Per questo Fsi si è strutturata con un
team appositamente focalizzato sul tech, guidato dal cio
Ravanne.
D. In effetti nel settore ormai avete un solido track record. E
solo in quest'ultimo anno avete portato a termine due investimenti
e un reinvestimento. Qual è la logica che adottate per riuscire ad
avere quei risultati?
R. Lavoriamo sempre con un approccio a tre fasi: prima
individuiamo la società che rappresenta nel suo settore la
piattaforma di sviluppo più promettente ed entriamo nel capitale
senza caricarla di debito, per lasciarla libera di investire poi
per la crescita. Dopodiché la affianchiamo in questa crescita,
prima a livello domestico e poi internazionale. Infine cerchiamo un
partner strategico di grandi dimensioni in grado di farle fare un
ulteriore salto di sviluppo e cerchiamo di restare parte di questo
ulteriore sviluppo, reinvestendo nella nuova realtà. Lo abbiamo
fatto con Cedacri, il gruppo specializzato in software per il
banking e servizi cloud dove avevamo investito nel 2018,
affiancandoci nel capitale alle banche azioniste, aiutandole quindi
a razionalizzare la governance e inserendo Corrado Sciolla, un ceo
di grande esperienza che ha poi operato una profonda trasformazione
dell'azienda. Nel tempo abbiamo supportato il gruppo nello sviluppo
dell'attività anche verso clienti non captive e abbiamo condotto
altre due acquisizioni, quella di Oasi e quella di Cad.It, per
ampliare l'attività al software. Dopodiché l'anno scorso abbiamo
individuato come partner con il quale continuare l'avventura Ion
Investment Group, il fornitore tecnologico globale del settore
finanziario, fondato più di 20 anni fa dall'imprenditore italiano
Andrea Pignataro. Ion ha quindi comprato l'intera Cedacri, valutata
1,5 miliardi di euro, e noi abbiamo reinvestito in minoranza.
D. Farete lo stesso percorso anche con il vostro ultimo
investimento, Bcc Pay?
R. L'obiettivo è quello e mi fa piacere che l'azienda sia
rimasta di proprietà italiana. Con Mauro Pastore, direttore
generale di Iccrea, abbiamo condiviso un progetto industriale che
parte da una piattaforma che oggi lavora solo con il gruppo Iccrea,
ma che andrà molto oltre: l'idea è creare nuovi servizi per Iccrea,
ma anche essere attraenti per altre banche di piccola e media
dimensione. Come in Cedacri, abbiamo trovato in Bcc Pay ottime
competenze nel team guidato dal ceo Fabio Pugini. Anche in questo
caso il nostro orizzonte di investimento è di medio-lungo
periodo.
D. Tornando al tema dei partner strategici, Ion sarà vostro
partner anche nel vostro prossimo investimento in Cerved, visto che
avete sottoscritto un impegno di finanziamento da 150 milioni in
una delle società della catena di controllo del gruppo di business
information e credit management, appena delistato proprio a seguito
dell'opa lanciata da Ion. A che punto è l'operazione?
R. Per quanto ci riguarda, ipotizziamo che ci possa volere
ancora un po' di tempo. Ma si tratta ovviamente di un progetto
assai interessante e Pignataro è un imprenditore visionario, che
porterà sia Cerved sia Cedacri a giocare un ruolo di alto livello
in Europa.
D. Molti grandi player del fintech italiano sono stati promossi
da consorzi di banche, una struttura del capitale che non può
essere efficiente oggi, se si vuole restare competitivi a livello
internazionale. Come fate a gestire queste situazioni?
R. Lo abbiamo imparato tempo fa. Sul settore abbiamo
un'esperienza decennale, visto che il team di Fsi è in realtà lo
stesso che lavorava una volta per Fondo Strategico Italiano del
gruppo Cdp. Nel 2013 avevamo investito in Sia, il leader nei
servizi e nelle infrastrutture di pagamento, che grazie poi al
supporto di Cdp Equity si sta ora sposando con la paytech quotata
Nexi, che a sua volta si è fusa con la danese Nets. Il gruppo si
trasformerà nella più grande piattaforma paytech a livello
paneuropeo. Quando siamo entrati in Sia il capitale era in mano
anche in quel caso a un nutrito gruppo di banche. Nel mondo del
tech l'innovazione è continua e vanno prese delle decisioni in
tempi brevissimi, per questo è importante che le società consortili
si dotino di regole societarie semplici ed efficaci che permettano
di implementare piani aziendali trasformativi. Sul tech abbiamo un
punto di osservazione privilegiato, essendo io presidente di St
Microelectronics, colosso europeo dell'It. E le dico che gli
ingegneri e gli informatici italiani sono tra i migliori d'Europa,
per questo ci teniamo così tanto a scoprire aziende italiane tech
in cui investire.
D. Quali saranno i prossimi target tech?
R. Stiamo guardando a piattaforme software, in particolare a
quelle di Erp (Enterprise Resource Planning) e software gestionali
per le imprese. A oggi l'investimento più simile che abbiamo fatto
è quello in Lynx, system integrator specializzato in soluzioni
tecnologiche a supporto di grandi aziende nel settore utility, di
banche, assicurazioni e pubblica amministrazione. In sostanza la
società, guidata da due giovani imprenditori, Matteo e Federico
Moretti, fa scouting di tecnologia laddove ci sono le nuove
frontiere, in particolare negli Stati Uniti, in California. Lynx è
una piattaforma aperta ad altri system integrator italiani disposti
a condividere un progetto di crescita dimensionale importante.
Proprio di recente per esempio Lynx ha comprato la toscana Iol, con
gli imprenditori venditori che sono stati portati a bordo del
gruppo.
red
lucrezia.degliesposti@mfdowjones.it
fine
MF-DJ NEWS
1210:17 feb 2022
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February 12, 2022 04:18 ET (09:18 GMT)
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