Auto green sì, no, forse. In Europa attorno al regolamento che prevede lo stop alle vendite di veicoli con motori a diesel o benzina dal 2035 si è scatenata la solita babele. Molti Stati favorevoli, l'Italia fortemente contraria e la Germania in bilico tra il no e un via libera condizionato a una deroga ai carburanti sintetici, quelli a minimo impatto ambientale.

E così sul tema l'Europa è andata in stallo, scegliendo la più classica delle soluzioni: il rinvio della decisione. Eppure la direzione indicata dalla Commissione Ue è chiara: il futuro dell'auto in Europa deve essere elettrico. Un piano ambizioso, ma questo è il programma di Bruxelles per combattere il cambiamento climatico e difficilmente verrà stravolto. Le conseguenze e gli impatti sul settore sono potenzialmente enormi e quella imposta dall'Unione Europea è una rivoluzione epocale, che presuppone anche un cambiamento infrastrutturale e culturale profondo. Una sfida che coinvolge soprattutto i costruttori europei, che rischiano di essere fagocitati dalla concorrenza cinese e americana, ma che non risparmia anche tutta la supply chain. MF-Milano Finanza ha provato a capire chi può vincere la partita dell'elettrico. Lo stato attuale. «Sebbene si sia assistito a una crescita delle vendite di nuove auto a batteria elettrica (Bev) sul totale, passate dal 9,1% del 2021 al 12,1% del 2022, le auto a benzina, diesel e ibrido (Phev e Hev) rappresentano ancora quote importanti nel mercato europeo, con l'88% delle immatricolazioni di nuove auto nel 2021 e l'85% nel 2022», spiega Gabriel Debach, market analyst di eToro. «Segno che l'Europa è ancora decisamente indietro rispetto ad esempio al mercato cinese quando si parla di auto elettrica». Una panoramica a livello mondiale (si veda la tabella) mostra che a oggi Tesla rimane leader del mercato globale, «ma la casa di Elon Musk ha perso quote di mercato globali nel 2022 (dal 19,5% al 17,1%) a causa dell'intensificarsi della concorrenza», evidenzia un report di Bank of America. Soprattutto da parte della cinese Byd che «è stata la vincitrice globale nel 2022, aumentando la quota di mercato dal 6,8% all'11,9%, nonostante sia stata influenzata negativamente dai blocchi in Cina a dicembre». Insegue al terzo posto Volkswagen. In vantaggio. «Tesla beneficia senza ombra di dubbio del maggiore vantaggio competitivo, grazie a un margine lordo del 26% e operativo del 16,8%», prosegue Debach, «anche se in borsa potrebbe rischiare di soffrire tali pressioni con multipli decisamente elevati rispetto ai competitor e per le necessità di raggiungere i suoi target». Elon Musk aspira a vendere nel mondo 20 milioni di veicoli all'anno entro il 2030, rispetto ai circa 1,3 milioni del 2022, ma l'investor day di mercoledì 1 marzo ha deluso le attese del mercato per gli scarsi dettagli e il silenzio sulla tanto attesa «Tesla di massa» da 25.000 dollari.

Le vendite a dicembre 2022 sono rimaste al di sotto del record di settembre (174.000 contro 190.000) e quelle in Cina sono crollate. Questo forse spiega anche perché Tesla a gennaio ha annunciato drastici tagli dei suoi prezzi di listino per le Model 3 e Y negli Stati Uniti e in Europa, con riduzioni che vanno dall'1% al 20% che potrebbero scatenare una nuova guerra dei prezzi tra produttori. L'avanzata cinese. I produttori in Cina hanno potuto beneficiare di un maggiore supporto statale sull'elettrico e di una maggiore presenza di materie prime in loco. «Con il venir meno delle barriere del marchio, la Cina potrebbe presto trovarsi a invadere i mercati europei, beneficiando di un costo del veicolo decisamente più economico», sottolinea ancora Debach. Sostenere che il regolamento Ue sul motore termico sia un vantaggio per la Cina è quindi sensato, ma forse lo è anche interpretarlo in quest'ottica: l'ultimo tentativo di spingere i produttori europei e i loro fornitori a cambiare, accelerando la transizione, per evitare che vengano spazzati via. Secondo Debach sono Byd e Geely le principali case cinesi da monitorare. «La prima è in grado di saper offrire la sua versione più economica in Cina a soli 14.500 dollari e il modello più costoso a 30.500 dollari, rispetto ai 33.500 del modello più economico di Tesla, la Model 3». Inoltre, nota ancora l'analista, «con Warren Buffett quale investitore a garanzia della società il biglietto da visita di Byd è certamente di primo piano». Geely invece, grazie al suo fondatore Li Shufu, «è già in grado di assumere un controllo sul mercato europeo. La tela di rapporti con Volvo, Mercedes e Renault, con ottimi risultati, è senza alcun dubbio qualcosa di importante per un marchio in decisa crescita (+8% nelle vendite dello scorso anno, con il Bev in rally del 328%)».

Sfida americana. Oltreoceano Tesla domina il mercato anche grazie alla rete di ricarica ampia e affidabile come nessun'altra, fattore che gli conferisce un vantaggio competitivo. Anche lì però il mercato delle auto elettriche evolve continuamente. Il mese scorso Ford ha raggiunto un accordo con la cinese Contemporary Amperex Technology, meglio nota come Catl, per la produzione di batterie al litio-ferro-fosfato (Lfp) con cui dotare le proprie auto elettriche e la società sta già rispondendo al taglio dei prezzi di Tesla. Ma non vuole restare a guardare nemmeno General Motors: il ceo Mary Barra ha deciso di affrontare direttamente Tesla e il mese scorso ha dichiarato a Wall Street che il 2023 sarà un anno di svolta per Gm per dimostrare che la società può lanciare una serie di nuovi veicoli elettrici e ottenere margini di profitto da leader del settore su di essi. L'obiettivo a 10 anni è addirittura quello di superare proprio l'attuale leader nelle vendite di veicoli elettrici negli Stati Uniti, Tesla.

Rincorsa europea. La più avanti a oggi è Volkswagen. Le sue consegne di veicoli elettrici a batteria (Bev) sono aumentate del 26% a oltre 570.000 unità nel 2022, per una quota di circa il 7% rispetto al totale delle auto consegnate. «Siamo sulla buona strada per una quota del 20% di Bev sul totale delle consegne nel 2025 e del 50% nel 2030», ha spiegato la società presentando i conti del 2022. Tra i marchi europei, però, Debach vede bene anche Stellantis, «che si posiziona in prima posizione in Europa nella vendita di veicoli commerciali Bev e con una gamma di 23 modelli disponibili sul mercato e altri nove attesi nell'anno». Inoltre il gruppo guidato da Carlos Tavares, spiega ancora l'esperto, «beneficia delle strette collaborazioni con Automotive Cells Company, Samsung Sdi e Lg Energy Solution ma soprattutto con Vulcan Energy, Controlled Thermal Resources, Alliance Nickel Limited (ex GME Resources Limited), Element 25 e Terrafame nella fornitura di materie prime». Stellantis gode anche «di solidi bilanci e di un free cash flow quasi doppio rispetto a quello di Tesla». Ma nel passaggio all'elettrico, e quindi ad auto più costose, case come Stellantis e Renault, meno focalizzate sul premium, rischiano di faticare di più? «Non credo che sarà decisivo», puntualizza Debach. «Partnership e investimenti saranno fondamentali per ridurre il gap tecnologico. Basti pensare ai recenti rumors su Elon Musk e un imminente piano di Tesla per offrire veicoli più economici». Startup in pista. Solo a febbraio è stato investito da private equity e venture capital oltre mezzo miliardo di dollari in startup legate al settore dell'automotive. Di questi, oltre il 70% è andato a società che lavorano sulla tecnologia delle batterie, centrali per il futuro dei veicoli elettrici. Spesso sono proprio le stesse case auto o le loro holding a partecipare ai finanziamenti alle startup. Con le batterie dei veicoli elettrici che rappresentano il 25-40% del costo totale di un veicolo elettrico, le aziende automobilistiche si stanno affrettando, nel tentativo di creare strutture di produzione integrate verticalmente e impianti di joint venture. Il rischio però è che molte di queste startup possano andare incontro a un destino simile a quello visto con la bolla delle Dot-com: è probabile che soltanto qualcuna riuscirà effettivamente a imporsi.

Una storia italiana. La corsa all'auto elettrica non è un gioco per soli costruttori. Lo scorso 10 febbraio Eurogroup, azienda di Baranzate che produce rotori e statori per veicoli elettrici, ha debuttato a Piazza Affari con una capitalizzazione di circa 920 milioni di euro.

La prima matricola del 2023 sul mercato principale milanese è anche la (finora) unica società di Borsa Italiana il cui business primario (nel 2021 un terzo dei ricavi, 186 milioni) è legato alla mobilità elettrica. Il fondatore, Sergio Iori, ha aperto l'azienda nel lontano 1967, specializzandosi in tranciatura. E poi è arrivata l'auto elettrica: nel 2021, ha detto l'amministratore delegato Marco Arduini in un'intervista, la società ha equipaggiato 2,5 milioni di veicoli, con l'obiettivo di arrivare a 10 milioni nel 2028. Una riconversione industriale che ha portato l'azienda a settorializzarsi in una specifica nicchia del trend: rotori e statori, due componenti dei motori elettrici. Ci sono poi società che alla conversione all'auto elettrica dedicano una parte consistente degli sforzi di ricerca e sviluppo. Pirelli, ad esempio, ha lanciato la linea di pneumatici Elect, pensati per aumentare l'autonomia della batteria, che hanno superato di 2,5 volte la media di omologazioni nei veicoli rispetto ai concorrenti. Così come Brembo, che già dal 2019 si concentra su una linea di sistemi frenanti di ultima generazione, che si attivino autonomamente e siano più silenziosi. Il patto di consultazione tra le due società per blindare il controllo di Pirelli e tenere Marco Tronchetti Provera al vertice ha

lanciato la suggestione di una fusione tra i due gruppi: che si voglia creare un colosso della componentistica tenendo a bada la concorrenza (esterna e potenzialmente sulla società stessa) dei cinesi? L'incognita chip. C'è un'altra azienda italiana i cui destini sono intrecciati all'auto elettrica.

Stm, gigante mondiale dei semiconduttori, giovedì 2 marzo ha perso il 3,2% a Piazza Affari dopo che Tesla, nel corso dell'investor day, ha annunciato l'intenzione di ridurre del 75% il consumo di carburo di silicio. Un materiale chiave per i chip di Stm, che di Tesla è fornitore. «La componentistica ad alta tecnologia», spiega Matteo Solfanelli, ceo della società di Etf a gestione attiva Investlinx (di cui Exor è azionista di minoranza), «è una delle parti a maggior valore aggiunto della supply chain, perché l'auto elettrica richiede una maggiore presenza di componenti elettronici rispetto all'auto a combustione». Attenzione quindi alle aziende di semiconduttori: Solfanelli guarda alla olandese Asml, produttrice di macchinari per la costruzione di chip (+16% ad Amsterdam da gennaio), «che permette di esporsi al trend di crescita del mercato dell'auto elettrica limitando la pressione competitiva a cui invece sono soggetti i produttori di auto».

Dalla Groenlandia a Tokyo. La filiera dell'auto elettrica comprende un universo di aziende molto diversificato, a livello geografico e settoriale. La tabella in pagina mostra l'ecosistema di investimento del fondo Pharus Electric Mobility Value Niche, che da inizio anno rende il 6,6% e dal lancio, avvenuto nel 2019, più del 51%. Diviso in tre temi principali, batterie, gruppo motore e titoli satelliti, il fondo si dipana in oltre 20 sotto-settori, che vanno dalla produzione e assemblaggio delle batterie ai rotori-statori, alle celle al litio, alla grafite. Al 31 dicembre 2022 il fondo aveva un'esposizione dell'80% all'area Asia-Pacifico (50% Giappone, 23% Corea del Sud), e solo marginale ai mercati occidentali. Segnale del fatto che la corsa all'auto elettrica potrebbe spostare il baricentro degli investimenti dal tradizionale duopolio Stati Uniti-Europa alle borse, ancora sottopesate nei portafogli globali, dell'Estremo Oriente. Non finisce qui: questo giornale ha già parlato di quanto la transizione all'elettrico dipenda dai giacimenti di terre rare. Elementi chimici come disprosio, neodimio o praseodimio sono tutti indispensabili alla costruzione dei veicoli elettrici. Ragione che ha spinto e sta spingendo governi e privati, negli Stati Uniti e in Cina, a un risiko tra i ghiacciai della Groenlandia, ottavo detentore al mondo di terre rare con 1,5 milioni di tonnellate.

A tutta ricarica. E poi c'è l'infrastruttura. La Casa Bianca ha stimato che entro il 2030 dovranno essere installati nel territorio degli Stati Uniti oltre 2 milioni di impianti pubblici di ricarica rapida (le colonnine), per soddisfare la necessità crescente degli automobilisti. Un'occasione per investire. L'Etf Electric Vehicle Charging Infrastructure ha reso più del 13% da inizio anno a Milano, dove è stato quotato grazie a HanEtf. «Sembra sensato che Tesla, così come gli altri costruttori, investa in un'infrastruttura di ricarica unica e uniforme che verrà realizzata dagli operatori del settore», ipotizza Konrad Sippel, head of research dell'index provider Solactive. Un esempio?

«La recente partnership tra la più grande rete di stazioni di ricarica in Nord America ed Europa, ChargePoint, e Mercedes per la realizzazione di 10 mila stazioni in tutti gli Usa». Sul tema sono esposte anche alcune delle più grandi utility italiane: da Enel con Enel X ad A2a.

Il fronte degli sconfitti. A fianco alla schiera dei beneficiari sono tanti i settori della filiera a rischio. Uno studio di PwC commissionato dalla Clepa, associazione europea dei fornitori, ha calcolato che entro il 2040 i posti di lavoro che potrebbero venire a mancare sono 500mila solo per il settore dei motori termici. A fronte dei 226 mila impieghi aggiuntivi legati alla produzione di componenti per l'auto elettrica il saldo resta comunque negativo di 275 mila unità. Potrebbero perdere il lavoro o essere costretti a reinventarsi i meccanici (a favore degli elettrauto), i fabbri e i saldatori, ma anche i produttori di cambi manuali e frizioni e le concessionarie (l'auto elettrica è meno soggetta a usura di quella tradizionale). Tra i colossi in fase di riconversione del business figurano le tedesche Bosch e Zf, multinazionale dei cambi e delle frizioni. Nel report finanziario di fine 2021 di Zf la stringa «mobilità elettrica» compare 39 volte, contro le appena due del 2020.

Le spese in ricerca e sviluppo del gruppo sono aumentate di quasi il 22%, superando i 3 miliardi.

alu

fine

MF-DJ NEWS

0608:30 mar 2023

 

(END) Dow Jones Newswires

March 06, 2023 02:31 ET (07:31 GMT)

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