Quando il giorno lascia il posto alla notte è il momento migliore per affrontare con calma i temi più spinosi, divisivi, lasciati in un angolo dall'ubriacatura da Covid. Come ad esempio, l'euro. Nella trasmissione Tra poco in edicola di Radio Uno chi scrive è stato ospite di un faccia a faccia con il professor Romano Prodi, colui che da presidente del Consiglio condusse il nostro Paese nella moneta unica e poi da presidente della Commissione ne vide l'adozione definitiva. La conversazione che segue, condotta da Stefano Mensurati, è quella che si è svolta a pochi giorni dal ventesimo anniversario dell'introduzione dell'euro.

Domanda. Professor Prodi, in qualità di Presidente della Commissione Europea ebbe la fortuna e l'onore di maneggiare gli euro per la prima volta e fare la spesa. E' così?

Romano Prodi. E' così. Quindi sono un po' un superstite. È accaduto a Vienna, insieme al cancelliere austriaco, lì abbiamo fatto il primo acquisto, chiamiamolo così, ufficiale.

D. Che bilancio trae dopo 20 anni?

Prodi: il bilancio che traggo è buono, anzi, per come sono andate le cose, ottimo. Certamente la crisi del 2008 ha interrotto la prima parte in cui l'euro sembrava veramente arrivare di fianco al dollaro e ci ha un po' allontanati da quell'obiettivo, che resta però ancora il grande obiettivo dell'Europa. Ricordiamoci che se non stiamo assieme non contiamo nulla e in secondo luogo che la moneta comune è uno dei fondamenti dell'unità. Lo Stato moderno si basa sulla moneta e sull'esercito. L'esercito non ce l'abbiamo ma la moneta sì. Quando dico esercito dico politica estera, perché il primo è lo strumento della seconda.

D. Saluto Roberto Sommella, direttore di Milano Finanza. Tu hai scritto un fondo sui 20 anni dell'euro. Che bilancio fai?

Roberto Sommella: Un bilancio a due facce. L'euro è nato in un ventennio cruciale del nuovo secolo. Subito dopo l'attacco alle Torri Gemelle, momento in cui tutto cambiò, anche una certa idea di capitalismo, e prima dell'avvento delle big tech, che sarebbe diventato poi il regime dominante. La moneta unica è comparsa sui mercati in una fase di grandissima trasformazione e al contempo ha rotto il monopolio secolare del dollaro, diventando una valuta di riserva per tutte le più grandi banche centrali. Dal punto di vista dell'economia reale, ci sono invece stati dei problemi nella fase del passaggio dalla lira all'euro, sicuramente degli arrotondamenti, che hanno generato aumenti di prezzo eccessivi dei beni di prima necessità. Giulio Tremonti, il ministro dell'Economia all'epoca del governo Berlusconi, in una recentissima intervista a Milano Finanza ricordava che, ad esempio, la parcella degli avvocati passò da dieci milioni di lire a diecimila euro: il doppio. Si è perso potere di acquisto. Dal punto di vista della finanza pubblica è stato infine sicuramente un beneficio: dal 2002 ad oggi il debito pubblico italiano è raddoppiato, ma in termini di interessi noi con l'euro abbiamo risparmiato 40 miliardi, perché i tassi sui titoli di Stato si sono dimezzati. L'euro è divenuto così uno scudo finanziario per la finanza pubblica italiana incredibile, soprattutto in tre fasi cruciali. La crisi del 2008, la crisi dei debiti del 2011 e la crisi che stiamo vivendo a causa del Covid dal 2020. Ma all'euro manca ancora un'anima, un tesoro unico, un bilancio federale, un esercito: insomma, quello che c'è da sempre negli Stati Uniti.

D. Professor Prodi, lei è tornato anche più volte sul Patto di stabilità e le sue storture. L'economia italiana è stata davvero messa in difficoltà da quel trattato?

Prodi: Non c'è dubbio, ma il Patto di stabilità non c'entrava con l'euro: è stata una decisione semplicemente sbagliata, che non teneva conto dell'economia reale. Però vorrei toccare un attimo il discorso dell'inflazione che giustamente il direttore Sommella ha toccato. L'inflazione c'è stata solo in due Paesi sui 12 che sono entrati nella moneta unica, cioè Grecia e Italia, e questo è avvenuto perché secondo me volutamente non si è controllato il passaggio della moneta. Quando ero al Governo avevamo deciso, prima che l'euro entrasse in vigore, che ci dovevano essere le commissioni provinciali a controllare i prezzi e che ci dovesse essere il doppio prezzo per almeno sei mesi in euro e in lire. Non è mai stato fatto, secondo me perché tutto sommato c'erano parecchie categorie interessate agli aumenti, di cui il direttore ha parlato. Lei pensi che uno dei primi aumenti è stato il prezzo dei giornali. Se un governo lascia andare il prezzo dei giornali, che è uno dei prezzi più controllati, lancia un messaggio chiaro: questo è stato l'errore iniziale. La gente non capiva, bisognava fare il doppio prezzo.

D. Una curiosità, perché è stato chiamato euro?

Prodi: C'è stata una grandissima discussione. Si scelse euro perché si pronunciava bene in tutte le lingue. E' stato un compromesso come lo sono state le banconote. Non ha idea delle litigate sui monumenti da mettere sulle banconote. E alla fine il compromesso, si è deciso, mettiamo una cosa astratta, perché ogni Paese ha i suoi eroi.

D. Ci sveli come si decise il rapporto di cambio.

Prodi: Il mio obiettivo e quello di Ciampi era di entrare con la lira più svalutata possibile, avvicinandoci a mille lire per ogni marco, che era una svalutazione rispetto al cambio esistente allora. I tedeschi volevano 950. La notte precedente alla decisione finale, ebbi una lunga conversazione con il cancelliere Helmut Kohl, durante la quale dissi «voglio un cambio mille lire per un marco». Kohl disse «950, io non vado nel mio Parlamento con il cambio a mille lire». E abbiamo chiuso a 990, vicinissimo all'obiettivo che ci eravamo posti. Tutti i giornali di allora scrissero infatti che l'Italia era entrata con un cambio favorevole che avrebbe aiutato il suo export. Siamo entrati quasi nel miglior modo possibile. Invece di mille, 990.

D. La Brexit sarà uno shock?

Sommella: Azzardo una previsione, tra qualche anno la Gran Bretagna cambierà idea. Non è tanto un problema di finanza, perché la finanza ormai vive anche fuori dalle regole, Londra scoprirà invece che non potrà rafforzare i suoi rapporti anglofoni con gli Stati Uniti. Perché gli Usa ormai fanno una corsa solo per loro, sia che ci sia Trump o che ci sia Biden. E' finito il tempo degli Stati Uniti sceriffi del mondo. E quindi è un calcolo sbagliato quello che fa la Gran Bretagna. Noi siamo il mondo dove è nato tutto il resto e il mercato unico è il più ricco del mondo, perché ci vive solo il 7% della popolazione mondiale, vi si produce il 25% del pil totale e viene speso il 50% del welfare state planetario. Siamo un continente benestante, dove i diritti vengono garantiti a tutti i livelli.

Prodi: Condivido assolutamente quello che è stato detto. Però il problema vero è che quando io con i miei colleghi universitari britannici parlavo di questo, semplicemente la loro risposta era: «Londra non è mai stata comandata da nessuno quindi non vuole essere comandata da Bruxelles». E' proprio un problema di diversità profonda che nutrivano e, come ha detto il direttore Sommella, gli inglesi pensavano a una preferenza americana. Adesso il vero interrogativo è cosa succede alla City. Alcune migliaia di persone sono già venute via, Parigi e Amsterdam fanno di tutto per prendere un pezzo della eredità e Londra sta diventando sempre più una piazza mondiale astratta, una enorme Svizzera. Bisognerà vedere se i grandi fondi americani e gli operatori monetari avranno con la capitale inglese lo stesso rapporto di oggi. L'America preferisce l'Europa intera alla Gran Bretagna.

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January 10, 2022 02:06 ET (07:06 GMT)

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