L'atteggiamento comunque ancora accomodante delle banche centrali e la ripresa economica globale sono condizioni favorevoli agli asset a rischio, come le azioni. Le valutazioni dei listini, soprattutto nel caso degli Stati Uniti, sono alte se le si confronta con i valori storici, ma in questa fase del ciclo non sono così importanti. Penso che siamo ancora in un bull market», dice Emilio Franco, amministratore delegato di Mediobanca Sgr, parlando con Milano Finanza. Secondo il gestore, nel breve periodo altri eventi simili a quelli cui abbiamo assistito nei giorni scorsi possono avverarsi, ma non ci sono rotture del trend di lungo termine, che rimane positivo per i mercati azionari. «La tenuta del mercato del credito è un altro elemento di supporto, che fa ben sperare. Non bisogna inoltre dimenticare che siamo in una fase stagionale positiva per le borse e che i rendimenti dei bond sono destinati a salire, ma non così in fretta da compromettere le potenzialità di ulteriore crescita delle economie e dei listini» .

Domanda. La flessione dei listini internazionali è arrivata in una fase decisamente positiva per l'economia. Cosa ne pensa?

Risposta. Le economie globali stanno crescendo in maniera sincronizzata, con nessun Paese che sta veramente trainando. Si tratta di una crescita ben distribuita, che si consolida anche nei Paesi emergenti, grazie anche alla debolezza del dollaro Usa. Gli Stati Uniti stanno crescendo oltre il 3% e riceveranno un ulteriore sostegno dalla riforma fiscale voluta da Trump, sebbene il consensus di mercato sia finora piuttosto prudente nel quantificarne l'impatto. E se è vero che il calo delle tasse sulle imprese porterà nel breve termine un minore gettito fiscale, nel medio lungo periodo questa manovra è destinata a migliorare strutturalmente la competitività delle aziende Usa. Penso che le riforme decise dall'amministrazione Trump, compresa quella che agevola il rimpatrio dei capitali delle multinazionali, cominceranno a essere rivalutate nei prossimi trimestri.

D. Anche nell'Eurozona c'è la sensazione di un miglioramento del sentiment.

R. L'Eurozona sta crescendo oltre il suo potenziale, a un ritmo al quale non eravamo più abituati. Il pil della Francia è aumentato di oltre il 2%, per non parlare dei progressi che sta evidenziando la Germania. Ma non solo, anche in Italia il clima è decisamente cambiato.

D. In Italia sembrano lontanissimi i tempi in cui si ventilava il rischio di uscita dall'Eurozona. Ma a suo parere la crescita è sostenibile?

R. Se solo fino a un anno fa eravamo assuefatti all'idea di crescita zero e appartenevamo, secondo i pessimisti, al club dei Paesi potenzialmente capaci di provocare il prossimo crash finanziario, adesso stiamo crescendo decisamente sopra il nostro potenziale, che è vicino allo zero, a un tasso che è stimato dell'1,2-1,3%, per una serie di fattori che vanno dalle migliorate condizioni finanziarie, al ritorno della fiducia dei consumatori e delle imprese. In sintesi stiamo molto meglio di quanto ci potessimo aspettare fino a 12 mesi fa. Per il lungo termine, comunque, andranno affrontati i temi strutturali del debito pubblico e della bassa produttività.

D. Il calo delle borse è stato innescato da aspettative di aumenti dei tassi di interesse oltre il consensus, a causa delle previsioni sull'aumento dell'inflazione, che però attualmente resta molto bassa.

R. È vero, c'è più inflazione, ma è modesta, anche nei Paesi che sono più avanti nel ciclo economico. Quello che è cambiato rispetto a due anni fa è che si è ridotta la probabilità di una calo dell'indice dei prezzi. In Eurolandia la probabilità di deflazione è scesa e negli Stati Uniti l'inflazione sta aumentando, ma molto gradualmente verso il 2%, perché nonostante il mercato del lavoro sia vicino alla piena occupazione gli incrementi dei salari non sono ancora tali da portare a una crescita dell'indice.

D. Alla crescita hanno contribuito le misure molto espansive adottate negli scorsi anni dalle banche centrali, che mantengono per ora un atteggiamento attendista. Ma cosa cambia negli Stati Uniti con la nomina di Powell?

R. In questa fase è mancato il meccanismo di trasmissione del credito. Il credito è cresciuto pochissimo anche negli Stati Uniti. Ma il fatto che a guidare la Fed sia ora un presidente che, in virtù della sua formazione, presumibilmente renderà meno stringenti le normative volute dopo la crisi Lehman andando non verso una deregulation bensì verso un'attenuazione delle rigidità, potrà aumentare la leva delle banche consentendo di sbloccare situazioni difficili. È un punto essenziale della politica di Powell, così come la gradualità e la continuità rispetto agli orientamenti dei suoi predecessori.

D. Il ciclo degli investimenti potrà così ripartire?

R. Gli investimenti dal punto di vista macro sono una voce della domanda aggregata. Favorendo l'efficienza dell'economia questi potranno assumere un importante impatto micro sulla produttività delle singole imprese, generando così un effetto virtuoso anche a livello macro. Grazie al reinvestimento degli utili e alle agevolazioni fiscali c'è infatti la possibilità di trasformare la crescita da ciclica a strutturale. E, per concludere, questo fa ben sperare sulle possibilità di ulteriore rialzo dei listini.

red/fch

 

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February 12, 2018 02:32 ET (07:32 GMT)

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