Mercati: Franco (Mediobanca), così il toro non scappa (Mi.Fi.)
12 Febbraio 2018 - 8:47AM
MF Dow Jones (Italiano)
L'atteggiamento comunque ancora accomodante delle banche
centrali e la ripresa economica globale sono condizioni favorevoli
agli asset a rischio, come le azioni. Le valutazioni dei listini,
soprattutto nel caso degli Stati Uniti, sono alte se le si
confronta con i valori storici, ma in questa fase del ciclo non
sono così importanti. Penso che siamo ancora in un bull market»,
dice Emilio Franco, amministratore delegato di Mediobanca Sgr,
parlando con Milano Finanza. Secondo il gestore, nel breve periodo
altri eventi simili a quelli cui abbiamo assistito nei giorni
scorsi possono avverarsi, ma non ci sono rotture del trend di lungo
termine, che rimane positivo per i mercati azionari. «La tenuta del
mercato del credito è un altro elemento di supporto, che fa ben
sperare. Non bisogna inoltre dimenticare che siamo in una fase
stagionale positiva per le borse e che i rendimenti dei bond sono
destinati a salire, ma non così in fretta da compromettere le
potenzialità di ulteriore crescita delle economie e dei listini»
.
Domanda. La flessione dei listini internazionali è arrivata in
una fase decisamente positiva per l'economia. Cosa ne pensa?
Risposta. Le economie globali stanno crescendo in maniera
sincronizzata, con nessun Paese che sta veramente trainando. Si
tratta di una crescita ben distribuita, che si consolida anche nei
Paesi emergenti, grazie anche alla debolezza del dollaro Usa. Gli
Stati Uniti stanno crescendo oltre il 3% e riceveranno un ulteriore
sostegno dalla riforma fiscale voluta da Trump, sebbene il
consensus di mercato sia finora piuttosto prudente nel
quantificarne l'impatto. E se è vero che il calo delle tasse sulle
imprese porterà nel breve termine un minore gettito fiscale, nel
medio lungo periodo questa manovra è destinata a migliorare
strutturalmente la competitività delle aziende Usa. Penso che le
riforme decise dall'amministrazione Trump, compresa quella che
agevola il rimpatrio dei capitali delle multinazionali,
cominceranno a essere rivalutate nei prossimi trimestri.
D. Anche nell'Eurozona c'è la sensazione di un miglioramento del
sentiment.
R. L'Eurozona sta crescendo oltre il suo potenziale, a un ritmo
al quale non eravamo più abituati. Il pil della Francia è aumentato
di oltre il 2%, per non parlare dei progressi che sta evidenziando
la Germania. Ma non solo, anche in Italia il clima è decisamente
cambiato.
D. In Italia sembrano lontanissimi i tempi in cui si ventilava
il rischio di uscita dall'Eurozona. Ma a suo parere la crescita è
sostenibile?
R. Se solo fino a un anno fa eravamo assuefatti all'idea di
crescita zero e appartenevamo, secondo i pessimisti, al club dei
Paesi potenzialmente capaci di provocare il prossimo crash
finanziario, adesso stiamo crescendo decisamente sopra il nostro
potenziale, che è vicino allo zero, a un tasso che è stimato
dell'1,2-1,3%, per una serie di fattori che vanno dalle migliorate
condizioni finanziarie, al ritorno della fiducia dei consumatori e
delle imprese. In sintesi stiamo molto meglio di quanto ci
potessimo aspettare fino a 12 mesi fa. Per il lungo termine,
comunque, andranno affrontati i temi strutturali del debito
pubblico e della bassa produttività.
D. Il calo delle borse è stato innescato da aspettative di
aumenti dei tassi di interesse oltre il consensus, a causa delle
previsioni sull'aumento dell'inflazione, che però attualmente resta
molto bassa.
R. È vero, c'è più inflazione, ma è modesta, anche nei Paesi che
sono più avanti nel ciclo economico. Quello che è cambiato rispetto
a due anni fa è che si è ridotta la probabilità di una calo
dell'indice dei prezzi. In Eurolandia la probabilità di deflazione
è scesa e negli Stati Uniti l'inflazione sta aumentando, ma molto
gradualmente verso il 2%, perché nonostante il mercato del lavoro
sia vicino alla piena occupazione gli incrementi dei salari non
sono ancora tali da portare a una crescita dell'indice.
D. Alla crescita hanno contribuito le misure molto espansive
adottate negli scorsi anni dalle banche centrali, che mantengono
per ora un atteggiamento attendista. Ma cosa cambia negli Stati
Uniti con la nomina di Powell?
R. In questa fase è mancato il meccanismo di trasmissione del
credito. Il credito è cresciuto pochissimo anche negli Stati Uniti.
Ma il fatto che a guidare la Fed sia ora un presidente che, in
virtù della sua formazione, presumibilmente renderà meno stringenti
le normative volute dopo la crisi Lehman andando non verso una
deregulation bensì verso un'attenuazione delle rigidità, potrà
aumentare la leva delle banche consentendo di sbloccare situazioni
difficili. È un punto essenziale della politica di Powell, così
come la gradualità e la continuità rispetto agli orientamenti dei
suoi predecessori.
D. Il ciclo degli investimenti potrà così ripartire?
R. Gli investimenti dal punto di vista macro sono una voce della
domanda aggregata. Favorendo l'efficienza dell'economia questi
potranno assumere un importante impatto micro sulla produttività
delle singole imprese, generando così un effetto virtuoso anche a
livello macro. Grazie al reinvestimento degli utili e alle
agevolazioni fiscali c'è infatti la possibilità di trasformare la
crescita da ciclica a strutturale. E, per concludere, questo fa ben
sperare sulle possibilità di ulteriore rialzo dei listini.
red/fch
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February 12, 2018 02:32 ET (07:32 GMT)
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